Solo in Italia dopo due referendum che hanno seppellito per sempre l’incubo della fissione nucleare si torna a parlare di nucleare. E, addirittura, nonostante l’irrisolto problema della contaminazione, delle scorie e via andare, si cerca di spacciarlo per una scelta “green”!
Solo a Ravenna, con tutte le problematiche di abbassamento del suolo, di aria velenosa e di bolletta alle stelle causata dalla dipendenza dal gas si cercano di promuovere nuove estrazioni. E, anche in questo caso, nonostante sia diventato un peso planetario nella lotta al cambiamento climatico, si pratica un sistematico “greenwashing”!
Ravenna in Comune aderisce convintamente alla giornata di mobilitazione nazionale, SABATO 12 FEBBRAIO e invita a partecipare ai presidi che si stanno organizzando in tutta Italia e in Emilia-Romagna. A RAVENNA ALLE 10.30 IL flash mob è presso la centrale a gas di ENI a Casalborsetti. Il luogo è stato scelto per contestare l’impianto di CCS preteso da ENI al largo di Ravenna che inizierà la propria sperimentazione proprio a partire dalla centrale di Casalborsetti. Il ritrovo è presso lo stradello sterrato traversa di via Lacchini.
Ravenna in Comune è sempre stata al fianco dei movimenti ambientalisti per tutto il quinquennio in cui ha rappresentato queste istanze in Consiglio Comunale. Siamo state e stati nelle piazze e sul territorio in tutte le manifestazioni e i presidi a sostegno di un futuro sostenibile per l’ambiente, per la vita e per il lavoro. Continueremo a esserci e chiediamo a chi condivide i nostri valori di essere al nostro fianco e a quello dei Comitati e delle associazioni ambientaliste locali e nazionali che hanno indetto la mobilitazione. La transizione energetica dei ministri nazionali e degli assessori comunali è una farsa. Le dichiarazioni di appoggio a questa mobilitazione da parte di chi sta nella maggioranza a traino PD e PRI mancano della coerenza minima per essere prese sul serio. Non ci regaleranno niente. Neanche l’aria che respiriamo. Continuiamo nella direzione giusta verso la svolta delle rinnovabili.
#RavennainComune #Ravenna #rinnovabili #fossile #CO2
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A TUTTO GAS. MA NELLA DIREZIONE SBAGLIATA.
CONTRO LE BUFALE FOSSILI E NUCLEARI
Il cambiamento climatico continua la sua inarrestabile corsa e il limite di 1,5°C è sempre più vicino. Secondo il Climate Action Tracker, infatti, continuando con le attuali politiche globali si avrà un aumento delle temperature fino a circa 2,7°C, di molto oltre gli obiettivi fissati negli Accordi di Parigi. Eppure, gli eventi catastrofici che già oggi viviamo dimostrano come ogni minimo ritardo nell’avviare un processo reale di transizione ecologica abbia effetti tangibili e drastici sulle vite di miliardi di esseri umani.
Il nostro Paese è uno dei primi 20 emettitori mondiali di CO2 e, anche se le emissioni sono risultate in leggero calo negli ultimi anni, siamo lontanissimi dagli obiettivi di riduzione richiesti sia dalla comunità scientifica internazionale sia a livello comunitario: dovremmo infatti ridurre le nostre emissioni di un 9-10% anno e non di un modestissimo 1-2% per nulla in linea con un piano ambizioso di contrasto al cambiamento climatico. L’attuale interesse a costruire la transizione ecologica in Italia attorno ad investimenti massicci direzionati sul gas fossile mette in luce come valutazioni di carattere ambientale e sociale siano passate completamente in ultimo piano rispetto ad altri interessi, come quelli economici.
Partendo da ciò che è previsto nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) fino ad arrivare alla Strategia Italiana di Lungo Termine sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra (LTS) e nella proposta di piano per la transizione ecologica (PTE) attualmente in discussione, sembra che l’obiettivo principale del governo italiano non sia quello di una giusta transizione dalle fonti fossili a quelle rinnovabili, ma una transizione dal carbone al gas fossile, vale a dire da una fonte altamente climalterante ad un’altra.
Inoltre, in contraddizione con il mandato popolare di ben due referendum contro il nucleare, nel 1987 e nel 2011, in cui la cittadinanza si è opposta all’ipotesi dell’utilizzo di questa energia in Italia, il governo fantastica su questa fonte anche grazie alla proposta di inserire nella tassonomia UE nucleare e gas tra gli investimenti sostenibili. Di base un gioco di prestigio per far passare delle risorse altamente inquinanti e pericolose come energia pulita sulla quale sarà legittimo fare investimenti miliardari.
Secondo quanto riportato dal Sole24ore il Ministero della Transizione Ecologica sta valutando interventi legati a 50 centrali a gas per 20.000 MW di nuova potenza distribuita in 16 Regioni italiane tra nuove realizzazioni, ampliamenti e riaccensioni. 50 centrali che sono parte di un piano fatto da più di 115 interventi infrastrutturali del gas tra metanodotti, impianti di rigassificazione, impianti di stoccaggio, piattaforme di estrazione, e altre false soluzioni come il CCS (il confinamento geologico della CO2).
Tra questi troviamo 22 investimenti per l’ampliamento della rete di metanodotti per ulteriori 1.289,6 km, con una spesa stimata di 3,39 milioni di euro per ogni km realizzato. Senza dimenticare che il prossimo 7 marzo il Parlamento Europeo voterà la quinta lista dei Progetti di Interesse Comune (PCI list) all’interno della quale si prevede il finanziamento di 4 gasdotti di interconnessione con l’estero che ricadranno sul territorio italiano, tra cui Eastmed
Poseidon, la cui valutazione di impatto ambientale è stata bocciata dall’UE ma anche gasdotto Melita-Malta-Gela, quello Matagiola-Massafra e la Rete Adriatica Snam.
Un piano di investimenti e sussidi da più di 30 miliardi di euro direzionati solamente sul gas fossile, cifra che non tiene conto dei costi per i depositi e i rigassificatori. Di questi, 15 miliardi di euro sono destinati al nuovo sussidio del Capacity Market destinato in gran parte al gas fossile.
Perché il metano è parte del problema e non può essere una soluzione?
Il metano non può essere considerato come una soluzione ma come parte del problema. E ne abbiamo conferma solo se lo analizziamo sotto ogni aspetto che caratterizza questa risorsa.
Dal punto di vista della sicurezza energetica alla chiusura di tutte le centrali a carbone, prevista entro il 2025, i 7.961 MW dismessi potrebbero essere tranquillamente assorbiti dalla potenza a gas fossile già presente in Italia. Questo vuol dire che la quasi totalità delle nuove infrastrutture è assolutamente non necessaria e che la retorica della sicurezza energetica non sta in piedi. Le infrastrutture già esistenti sono più che sufficienti ad accompagnare la transizione ecologica verso un utilizzo diffuso e massiccio di rinnovabili. Infatti, in caso di assoluta necessità, basterebbe far lavorare, temporaneamente, queste centrali da una media di 3.200 ore l’anno a 4.000. Per quanto questa scelta non risolverebbe il problema dell’impatto ambientale e climatico, e dovrebbe quindi essere provvisoria e giustificata caso per caso, dimostra quanto nessuna delle nuove infrastrutture previste siano realmente necessarie, e come avremmo più risorse da poter investire in energie rinnovabili, accumuli, pompaggi e nell’adeguamento della rete elettrica che ad oggi è una delle principali cause di inefficienza energetica.
Prendendo in considerazione, invece, gli aspetti economici, va sottolineato come se gli stessi investimenti fossero direzionati alle energie rinnovabili, agli accumuli e alle reti non solo si affronterebbero i problemi legati alla sua tenuta e a quelli dei picchi dei consumi, ma come racconta il rapporto Smettere di premere il pedale sul gas di Carbon Tracker che analizza l’attuabilità finanziaria di nuove centrali a gas nel nostro Paese e confronta il costo con lo sviluppo da fonti rinnovabili in grado di offrire gli stessi servizi e che prende in
considerazione solo 14 dei 20 GW di nuova capacità, investire sulle rinnovabili consentirebbe una riduzione delle emissioni climalteranti di almeno 18 milioni di tonnellate, pari al 6% delle emissioni totali nel 2019.
Dal punto di vista ambientale, invece, la molecola CH4 (metano) ha un effetto climalterante 83 volte superiore alle CO2 nei primi 20 anni dal suo rilascio in atmosfera. La gran parte di queste emissioni sono legate alle perdite sistematiche che si hanno nel ciclo produttivo dalla sua estrazione fino al suo stoccaggio e consumo. Oltre a questo aspetto, il metano resta pur sempre una fonte fossile e la sua combustione, seppur in maniera minore rispetto al carbone, produce CO2 contribuendo al peggioramento dell’attuale situazione climatica.
Dal punto di vista del rapporto tra produzioni energetiche e ricadute sanitarie, segnaliamo che importanti effetti sulla salute umana da gas fossile sono accertati indiscutibilmente sul piano scientifico, come l’impatto misurabile sulla salute umana generato dalle centrali alimentate a metano, soprattutto se inserite in zone precedentemente inquinate e comunemente sino ad ora ritenute “innocue” ed “ecosostenibili”.
Da non sottovalutare nemmeno gli aspetti lavorativi e sociali: è ampiamente dimostrato che le capacità occupazionali di impianti rinnovabili siano in larghissima misura maggiori rispetto a quelle di centrali a fonti fossili. Si pensi al caso della centrale a carbone di Civitavecchia che conta sui 700 posti di lavoro tra diretti e indiretti per una potenza di 1.980 MW, vale a dire circa 0,35 posti di lavoro ogni MW. Per il nuovo progetto di conversione a gas da 1680 MW saranno occupate meno di 0,08 persone per MW. Ben altri numeri quelli delle rinnovabili, dove ad esempio per il solare fotovoltaico si stima 1 posto di lavoro a MW installato, 2 per l’eolica onshore, 3 ogni MW nel caso dell’eolico offshore. Dunque, se l’obiettivo di questi investimenti sul gas fosse quello di tutelare dei posti di lavoro, in realtà la conservazione di un sistema di produzione incentrato sulle fonti fossili contribuirebbe a limitare l’occupazione.
A questo si aggiungano gli effetti sociali dovuti agli aumenti dei costi in bolletta, di cui la fluttuazione dei prezzi del gas è la prima causa, e i costi indiretti dovuti al cambiamento climatico, dei quali come detto il metano è una delle cause, legati alla devastazione di interi territori e all’inevitabile perdita di mezzi di sussistenza in grado di garantire standard di vita dignitosi. Basti pensare ai continui eventi meteorologici estremi che di stagione in stagione costringono a buttare ingenti quantitativi di produzione agricola, alle alluvioni che devastano intere città, all’innalzamento di mari che renderà intere aree invivibili. Christian Aid ha stimato che solo i primi 10 eventi climatici estremi più catastrofici del 2021 abbiano avuto un
costo di almeno 170 miliardi di dollari, che si sommano agli oltre 150 miliardi del 2020. In Italia, dal 2010 ad oggi se ne sono verificati almeno 1.171, pari ad una media di 106 l’anno[4]. Secondo il Global Climate Risk Index del 2021 l‘Italia è al 6° posto a livello globale per numero di vittime dirette di eventi estremi tra il 2000 e il 2019.
Guardando al metano dal punto di vista geopolitico continuare ad investire nel gas vuol dire condannare l’Italia ad una costante dipendenza dalle importazioni dall’estero, non essendo grandi produttori di questa risorsa. Ma anche ad alimentare guerre e flussi migratori causati dagli stessi conflitti e dai cambiamenti climatici.
In Italia le riserve provate sono minime e la produzione interna lo è altrettanto (parliamo di 45,8 miliardi di Smc, fonte UNMIG). Attualmente vengono estratti circa 4,5 miliardi di metri cubi di gas, un ritmo che farebbe finire tale risorsa nell’arco di 10 anni. Da notare come il consumo interno di gas fossile sia pari a 70,8 miliardi di smc, vale a dire che circa il 94% del gas utilizzato è importato dall’estero.
Tra i principali fornitori troviamo la Russia, dalla quale l’intera Unione Europea è dipendente coprendo quasi il 40% delle importazioni, il Qatar, l’Algeria, la Libia e l’Azerbaijan. Si pensi inoltre a paesi dove le infrastrutture del gas transitano e che allo stesso modo detengono uno strumento di ricatto da utilizzare a proprio piacimento, come Bielorussia e Turchia. Una dipendenza in gran parte con paesi governati da regimi autoritari o localizzati in regioni altamente instabili che rendono vulnerabile l’Italia a stravolgimenti politici lontani migliaia di chilometri. A questo aspetto si aggiunga la dimensione etica. L’ipotesi di importare gas o di stare alle dipendenze di un regime dittatoriale come alcuni di quelli elencati è sicuramente in contraddizione con i principi democratici sui quali si dovrebbe fondare la politica estera italiana. D’altra parte, l’ipotesi reiteratamente avanzata dal mondo oil&gas e sostenuta dal MITE, di aumentare (raddoppiare) l’estrazione di gas nazionale non risolverebbe minimamente il problema. Se è vero che il gas che utilizziamo è importato per il 94%, portare quello nazionale dal 6 al 12% non inciderebbe che in misura irrisoria sui prezzi.
Infine, rispetto alla dimensione temporale non possiamo permetterci di sprecare altro tempo emettendo gas climalteranti e rallentando la transizione ecologica. Si tenga conto che una centrale a gas ha una vita media di 20/25 anni, un gasdotto di 40 anni, tempi talvolta necessari a ricoprire i costi di investimento. Costruire da oggi al 2025 infrastrutture del genere vuol dire condannare l’Italia all’utilizzo del metano almeno fino al 2050/2060. Anche considerando l’ipotesi del nucleare, nella migliore delle ipotesi, se avviassimo i lavori di realizzazione di centrali oggi queste non sarebbero operative prima di 10 anni,
esacerbando il ritardo nell’avvio della transizione ecologica e risultando inutile in termini di abbassamento dei costi delle bollette.
Cosa chiediamo al Governo?
In considerazione del raggiungimento degli obiettivi climatici, la crisi energetica in atto che sta portando le bollette dei consumatori alle stelle, ma anche per ragioni di riscatto sociale ed ambientale e per offrire maggiori e migliori opportunità di lavoro e di formazione, chiediamo al Governo italiano:
Di assumere seriamente l’emergenza climatica come prioritaria nelle agende politiche.
Di avviare un piano di phase out dal gas fossile allo stesso modo di come lo si è fatto con il carbone, bloccando tutti i nuovi investimenti attualmente previsti e indirizzandoli sulle rinnovabili. Il gas fossile va considerato, infatti, come parte del problema ed è necessario quindi definire con chiarezza tempi e step che l’Italia deve intraprendere per il suo abbandono.
Di esprimere una netta contrarietà all’inserimento del gas e del nucleare nella tassonomia green, opponendosi con fermezza nelle sedi opportune, al fine di rispettare la volontà del popolo italiano ed evitare inutili sprechi di risorse e di tempo nella transizione.
Di trattare l’emergenza climatica al pari di altre emergenze, come quella sanitaria, mettendo da subito in campo azioni urgenti e concrete di sviluppo delle fonti rinnovabili, degli accumuli, di valorizzazione dei pompaggi esistenti e di investimento nelle reti smart le uniche tecnologie in grado non solo di rispondere alle esigenze climatiche ed energetiche, ma anche di rispondere alle sfide sociali e lavorative per una giusta transizione.
Per far questo è necessario mettere mano alla normativa vigente, aggiornandola e rendendola in grado di affrontare la sfida che deve vedere l’Italia installare oltre 8 GW di nuova potenza da fonti rinnovabili all’anno per raggiungere gli obiettivi del 2030, ossia circa 8 volte quella attualmente installata. Semplificazione dei processi, certezze nei tempi e nelle regole di integrazione e di partecipazione, per far sì che la realizzazione dei diversi impianti tenga conto della migliore integrazione possibile.
Di aggiornare il Piano Nazionale integrato Energia e Clima entro 3 mesi, in linea con le indicazioni della comunitá scientifica per evitare l’innalzamento della temperatura globale di 1.5°C rispetto al periodo preindustriale, e di costruire un piano per una reale transizione ecologica da qui al 2050 definendo chiaramente tappe, obiettivi, strumenti e mezzi e
considerando, da subito, il gas fossile come fonte energetica residuale, stabilendo l’obiettivo di uscita definitiva al 2040 e escludendo false soluzioni come il CCS e il nucleare.
Di stimolare, con urgenza, le Regioni e le Amministrazioni comunali a sviluppare politiche finalizzate a favorire la realizzazione di nuovi impianti da fonti rinnovabili, a cominciare dalle aree SIN in cui ad oggi si verificano spesso impedimenti legati ad esempio all’assenza di analisi di rischio. Ma anche ad adottare strumenti e azioni, come quelli delle comunità energetiche, efficientamento dell’edilizia popolare, risparmio energetico, mobilità sostenibile e riassetto e rinaturalizzazione del territorio secondo un principio di giustizia sociale proprio con l’obiettivo di combattere le diseguaglianze sociali e con esse il crescente problema dell’energy poverty (anche attraverso una revisione dei sistemi di incentivazione), trasformando la crisi climatica in opportunità.
Di stimolare una campagna nazionale che spinga gli enti locali (Comuni, Province e Regioni) ad approvare norme che vincolino il territorio allo sviluppo di sole attività produttive sostenibili, escludendo nuovi insediamenti produttivi altamente inquinanti e ad emissioni climalteranti, così da poter accelerare i tempi verso una vera transizione energetica ed ecologica.
Di sviluppare un piano che preveda entro il 2025 l’eliminazione e la rimodulazione dei sussidi fonti fossili, come il Capacity Market, mantenendo gli incentivi alle energie rinnovabili e chiedendo contributi di solidarietà alle grandi imprese energetiche che oggi ricavano crescenti utili, con l’intento di contrastare il caro bollette.