Il Sindaco di Ravenna ha informato la cittadinanza che tutti i mercoledì avrebbe fatto “il punto insieme ai professionisti e alle professioniste del mondo della sanità sulla situazione COVID-19”, iniziativa meritoria che, se ben utilizzata, potrebbe aiutare a spiegare e tenere aggiornata la situazione in cui stiamo vivendo. Il 18 novembre è stata la volta di Tiziano Carradori, direttore generale dell’AUSL Romagna. Tra i maggiori problemi rilevati da Carradori è stato particolarmente evidenziato quello relativo al personale medico.
A maggio di quest’anno l’ISTAT ha diffuso un proprio report intitolato “L’occupazione nella sanità pubblica”:
«Al 31 dicembre 2018, risultano occupati nella sanità pubblica circa 692 mila dipendenti, di cui 650 mila a tempo indeterminato, ossia circa un quinto del personale stabilmente assunto nella pubblica amministrazione. Dal 2009 si è registrata una progressiva riduzione degli occupati a tempo indeterminato per effetto delle politiche di contenimento della spesa per il personale nel settore pubblico e, soprattutto, dell’applicazione in alcune regioni dei piani di rientro della spesa sanitaria. Tra il 2009 e il 2018, la diminuzione complessiva è stata di circa 44mila unità (-6,4%). Tale riduzione è stata solo parzialmente compensata dall’innalzamento dei requisiti per l’accesso alla pensione – che, trattenendo i lavoratori più anziani, ha velocizzato il processo di invecchiamento del personale – e dalla crescita del ricorso al lavoro flessibile (a tempo determinato e in somministrazione). Nel 2018, gli occupati con forme di lavoro flessibile sono circa 42mila, contro i 38 mila del 2009 e i 31 mila del 2013. La diminuzione più marcata di personale stabile (-13,5%) ha riguardato i dirigenti non medici (con ruoli tecnici, amministrativi o professionali, inclusi i sanitari non medici). Il maggior ricorso a forme di lavoro flessibile (+64%), infatti, è riuscito a compensare solo un quarto delle cessazioni. Tra i medici (inclusi odontoiatri e veterinari) la contrazione del personale stabile è stata del 5,4%; anche in questo caso solo un quarto delle cessazioni è stato controbilanciato dall’incremento del lavoro flessibile (+26%). Tra il personale non dirigente (che include amministrativi, sanitari, professionali e tecnici) si è registrata una diminuzione, pari a 34.600 unità (-6,3%) che ha portato il numero di dipendenti a tempo indeterminato a circa 518 mila dai 553 mila del 2009. Il ricorso a personale flessibile (+5,3%), per il 20% rappresentato da prestazioni in somministrazione, ha solo minimamente compensato la riduzione di personale stabile».
Abbiamo raccontato pochi giorni fa di come questo trend stia continuando: anche le nuove assunzioni sono per lo più a termine, infatti. Lo dimostrano i bandi appena scaduti all’inizio di questo mese, indetti proprio da Carradori.
Ad oggi in Italia ci sono 403.454 medici iscritti all’ordine. Di questi, 22.969 sono specializzati in cardiologia, 12.444 in neurologia e 29.737 in medicina interna. Per quanto riguarda le professioni che svolgono, 131.695 sono medici ospedalieri, 114.806 medici specialisti in attività privata e 43.927 medici di medicina generale. 17.852 sono invece i medici in Casa di Cura. Già pre-pandemia si stimava che nel prossimo decennio la carenza di personale si sarebbe aggravata: 45 mila medici in meno, tra specialisti e medici di famiglia. Secondo Eurostat in Italia negli ospedali nel 2016 operavano circa 213 medici ogni 100.000 abitanti, mentre in Francia erano 264, in Germania 237 e in Spagna 227. Senza interventi in Italia nel 2025 si rischia di passare a 181 medici ogni 100.000 abitanti.
L’Emilia-Romagna non ha dovuto sopportare l’assurdità dei “piani di rientro della spesa sanitaria” che, invece, hanno interessato Lazio, Campania, Molise, Abruzzo, Sicilia, Puglia, Piemonte e Calabria. Non sono le uniche regioni che balzano agli onori delle cronache in questi giorni per i difetti dei rispettivi sistemi sanitari nell’affrontare il Covid-19 ma, certo, ne rappresentano una buona parte. Il collegamento tra i tagli e l’emergenza che ne è conseguita è evidente Ma se l’Emilia-Romagna è passata indenne dai “piani” è anche perché aveva già tagliato di suo.
Uno studio dell’ANAO diffuso lo scorso anno esponeva così le carenze: «In Emilia Romagna, secondo le nostre stime, è previsto un ammanco netto di 597 medici al 2025. Le carenze principali riguarderanno la cardiologia, con un ammanco di 145 unità, la pediatria con 95, la psichiatria con 93, la radiodiagnostica con 91, la medicina dell’emergenza e urgenza con 76 e la medicina interna con ben 238 medici».
Ci ricordiamo tutti della propaganda elettorale di Bonaccini che, poco prima che esplodesse l’emergenza Covid-19, poneva ai vertici la sanità emiliano-romagnola potendo contare, più che altro, sul fatto che in molte altre regioni la situazione era già peggiore. Ora la Regione si è autodichiarata in emergenza sanitaria (livello rosso secondo la pianificazione delle emergenze che aveva presentato solo pochi mesi prima) prima ancora di essere posta per tutto il territorio nei limiti delle zone arancione definite dallo Stato centrale.
La Regione, costituzionalmente competente in materia sanitaria, è amministrata dal PD, lo è da anni e, prima ancora, da PDS e poi DS, con tutti i loro alleati. Il Comune e la Provincia? Stessa storia. Il Paese tutto negli ultimi 25 anni è stato governato alternativamente da PDS/DS e poi PD e da Berlusconi e soci. Le scelte compiute che hanno portato alle condizioni attuali sono in buona parte da porre in carica al partito di riferimento del Sindaco/Presidente della Provincia e del Presidente della Regione. Che, peraltro, hanno visto la compartecipazione diretta di altri partiti, non solo del centrosinistra, ma della sinistra vera e propria. E Carradori? Dov’era prima di luglio?
Basta consultare il suo curriculum pubblicato dall’Ausl Romagna, proprio quella Auslona voluta dal predecessore di Bonaccini e curata da Carradori prima sul territorio e poi direttamente nelle stanze dei bottoni:
Dal 1988 al ‘95 è vice direttore sanitario del Servizio per l’Assistenza Ospedaliera (Usl di Cesena). Dopo quattro mesi come vice direttore Sanitario del Presidio Ospedaliero Maggiore dell’Ausl “Bologna Città”, è stato nominato direttore sanitario dell’Ausl di Rimini fino a settembre del 1996, e successivamente direttore sanitario dell’Ausl di “Bologna Città” fino al 31 gennaio 1999. Quindi, fino a fine settembre dello stesso anno, la prima nomina a direttore generale dell’assessorato alla Sanità e dell’assessorato alle Politiche sociali della Regione Emilia-Romagna. Dal ‘99 al 2004 ha lavorato di nuovo in Romagna, con la nomina a direttore generale dell’Ausl di Rimini e, dal 2004 al 2012, direttore generale dell’Ausl di Ravenna, nonché coordinatore dell’Area Vasta Romagna, che rappresenta l’embrione dell’Ausl Romagna. Dal 6 giugno 2012 il secondo incarico alla Direzione generale dell’Assessorato regionale, che ha ricoperto fino al 28 febbraio 2015, quando è stato nominato direttore generale della Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara. E dal 26 giugno scorso è nominato alla direzione dell’Ausl Romagna.
Dunque il Sindaco ha sicuramente ragione quando dice che è responsabilità di tutte e tutti noi assumere comportamenti adeguati per contrastare la diffusione del virus. Non dice, però, che è responsabilità anche del suo partito e di tutte le persone che ha piazzato ai vertici istituzionali e della sanità nazionale e regionale se ci si è trovati ad affrontare la pandemia con una sanità pubblica in condizioni peggiori di quella di molti altri paesi.
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Pochi medici e ospedali in tilt: il Covid piega la sanità
Fonte: RavennaToday del 18 novembre 2020