Nell’ambito delle valutazioni che stiamo raccogliendo su cosa aspettarci per il dopo Covid-19, Giorgio Stamboulis (di cui già abbiamo pubblicato una sua riflessione su questo sito: “La medicina è una «scienza» empirica molto fallibile”) ha intervistato per noi Massimo D’Angelillo.
Massimo D’Angelillo, ravennate, economista, svolge dal 1985 attività di consulenza, di formazione ed editoriale. Ha ricoperto incarichi in varie società di servizi, nel terziario avanzato e nel sociale.
Socio fondatore (1986) e attuale presidente della società bolognese di ricerca e consulenza Genesis.
Ha scritto numerose pubblicazioni sulla creazione di nuove imprese, tra cui: “Job Creation, il sostegno alle nuove imprese in Europa” (1985), “Marketing per nuovi imprenditori” (1989), “Come creare e gestire una piccola impresa” (2011 e 2017), ecc.
Ha partecipato a vari progetti internazionali, con una particolare attenzione alla realtà tedesca, su cui ha pubblicato il volume “La Germania e la crisi europea” (2016). Ha sottoscritto, assieme ad altri 100 economisti, l’appello al Governo italiano per rigettare l’accordo dell’Eurogruppo del 9 aprile scorso.
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La mattina del 25 aprile, raggiungiamo telefonicamente Massimo D’Angelillo economista e presidente della società di ricerca e consulenza Genesis e autori di diversi studi e ricerche. Massimo è anche uno degli aderenti all’appello da cui ha preso vita Ravenna in Comune. Come accade in questi casi, soprattutto in quarantena, discutiamo a lungo dell’economia locale e nazionale.
D. Buongiorno Massimo, intanto come te la passi con la quarantena?
R. Ha richiesto un periodo di adattamento, ma tutto sommato bene. Si studia e si legge, mentre il lavoro procede a distanza. Vista la situazione non posso lamentarmi.
D. Qual è la situazione del tessuto economico locale?
R. Per capire bene il contesto di Ravenna, come dell’Italia, dobbiamo valutare più da vicino l’andamento economico. La situazione presenta differenze in base ai settori: evidentemente, il commercio e il turismo sono in ginocchio e completamente bloccati e subiscono le conseguenze peggiori della quarantena; la sanità e la pubblica amministrazione in genere registrano un incremento delle risorse per ovvie ragioni e quindi non riscontrano una contrazione; Altri settori registrano perdite contenute come la chimica e la meccanica industriale che hanno rallentato ma non interrotto la produzione; L’agroalimentare e l’agricoltura non sono in crisi perché qui la domanda è forse aumentata in quanto beni essenziali e si registra o si lamenta una carenza di manodopera. Se dobbiamo fare una prima stima la produzione è calata di circa il 50% su base mensile, cioè del 4 o 5% su base annua, per questo due mesi di chiusura comportano un danno dell’8 o 10 % del PIL su base annua. Il quadro è quindi grave ma non devastante e permette di immaginare una ripartenza.
La disoccupazione farà un salto inevitabile. Purtroppo, gli studi sul monitoraggio del mercato del lavoro sono stati, negli anni scorsi, pressoché del tutto affossati, per cui oggi non abbiamo delle sentinelle per la stima del fenomeno. Possiamo però azzardare alcune stime di massima. Se il tasso di disoccupazione in un Comune come Ravenna stava viaggiando verso il 5% (con una faticosa ripresa rispetto alla crisi precedente), oggi possiamo immaginare che esso si rialzerà verso un livello del 10-15%. A ciò si aggiungerà un elevato numero di persone occupate ma poste a carico della Cassa Integrazione e del Fondo di Integrazione Salariale. Vi è poi l’ampia platea di lavoratori autonomi che non cesseranno l’attività, ma si troveranno in situazione di grave difficoltà a causa del crollo dei ricavi.
Anche dopo la fine del Lockdown i consumi privati subiranno un verosimile crollo.
D. Quali possono essere le specificità locali di ripresa, cosa e come può ripartire in maniera più efficace?
R. Il turismo rappresenta il problema più grave, ma qui la specificità di Ravenna può essere un vantaggio più che uno svantaggio. Gli spostamenti e i viaggi subiranno dei cambiamenti profondi che, forse, potranno condurre a un nuovo modello di turismo. Il primo dato saranno le forme di contingentamento, cioè la riduzione dei numeri assoluti. I centri con un modello di turismo di massa, come Venezia, Firenze e Rimini, registreranno perdite enormi perché si basano su presenze enormi. Ravenna, avendo numeri inferiori e non affidandosi ai grandi numeri, può sopportare meglio una riduzione e un contingentamento e continuare a puntare su una rete iniziative di scala medio-piccola.
Ravenna ha poi una presenza forte dell’agroalimentare, della pubblica amministrazione e dell’industria che rendono il profilo economico generale più equilibrato che altrove.
D. Da un punto di vista della disoccupazione e in genere degli effetti sociali, come sta evolvendo in questi mesi Ravenna?
R. La Caritas ha registrato un raddoppio dei poveri nella città e questo è già un dato molto indicativo. Inoltre c’è un aumento importante delle richieste di reddito di cittadinanza, Sicuramente i lavoratori stagionali del turismo e in genere i lavoratori giovani e precari sono stati duramente colpiti e non hanno prospettive di ripresa dell’attività lavorativa nell’immediato. In genere, però, credo che le ricadute saranno più miti che altrove perché la nostra comunità ha buone capacità di resilienza come dimostrato nella crisi del 2008.
D. Qual è il tuo giudizio sull’operato dell’amministrazione locale in queste condizioni?
R. L’impressione è che si sia mossa per tamponare l’emergenza e contenere i fenomeni di povertà e assistenza di tutte le categorie più fragili. Questo è avvenuto grazie ad una rete di resistenza fatta di volontariato e associazionismo abbastanza robusta e che per il momento sembra reggere allo sforzo. Nel 2008, la nostra città riusci grazie alle reti famigliari, al volontariato e all’amministrazione pubblica a contenere gli effetti della crisi e forse potrebbe succedere qualcosa di simile. Bisogna però anche riprogrammare e progettare un nuovo modello di sviluppo, non basta la gestione dell’emergenza. Quale sarà la direzione intrapresa? Questa direi che è una domanda fondamentale.
D. Mi pare che tu abbia accennato, recentemente, proprio a una forte riconversione ecologica come priorità da seguire?
R. C’è un dato che non viene discusso e forse è un po’ scomodo, ma che io ho riscontrato in maniera abbastanza evidente, cioè una concomitanza tra una forte diffusione del covid-19 e l’incidenza dei tumori ai polmoni. Le zone più colpite, come ad esempio Bergamo e Brescia, sono anche aree molto usurate da un punto di vista ambientale. La nuvola di inquinamento della pianura Padana sembra essere una zona di ampia trasmissione e letalità della malattia, come in altre zone a forte industrializzazione e inquinamento all’estero. Le forze ecologiste in genere dovrebbero rafforzarsi ed essere maggiormente ascoltate, e ovviamente la produzione e in genere l’economia vanno riorganizzate.
D. Passiamo invece al contesto nazionale e internazionale, il governo Conte come si è comportato e quali interventi economici traspaiono per il futuro? La questione riguarda solo il MES o gli eurobond, come sembra dalle cronache giornalistiche?
R. Le misure di contenimento dell’emergenza sociale e economica sono state giuste come i 600 euro e i 25 mila euro per le aziende. al netto delle critiche, il governo su questo fronte ha fatto quel che andava fatto cioè dare una risposta in una situazione eccezionale. Il problema, invece, è che manca un’idea di ripresa e sviluppo. Si sta discutendo molto di MES e eurobond, in pratica delle forme migliori di finanziamento degli interventi contro la crisi e per evitare forme di dipendenza e sfruttamento tra Stati e preferire forme di solidarietà e mutualizzazione dei rischi. Il problema è cosa si farà con queste risorse. Io credo sia essenziale il piano ecologico europeo annunciato dalla Von der Leyen, cioè un piano di sviluppo sostenibile europeo con risorse ingenti e che modifiche profondamente l’economia del nostro continente, ma che va quindi ora attuato e rafforzato. Bisogna poi mettere in campo interventi più specifici. Ad esempio dobbiamo immaginare un turismo diverso e sostenibile, diciamo più Delta del Po e meno Rimini per farci un’idea, un turismo nuovo che va quindi cambiato, finanziato e reso fruibile.
Poi pensiamo all’esplosione delle consegne, io non penso che sia un male che cresca un nuovo settore e che permetta di ottenere i beni direttamente a casa, ma questo non deve significare sfruttamento e delega alle multinazionali, credo che andrebbero promosse cooperative autentiche di consegna in stretta relazione con gli esercizi e le attività locali per soppiantare il monopolio di realtà come Amazon.
D. Ci sarà un ritorno all’intervento pubblico in economia? Molti preconizzano questa eventualità.
R. Sono caduti molti tabù, anche tra i maggiori difensori del neoliberismo e della Spending Review: oggi siamo di fronte alla fine dell’austerità fiscale, i parametri di Maastricht sono finalmente stati rottamati (come prevedevamo, io e altri autori, nel volume “Rottamare Maastricht” del 2016), tutti concordano che lo Stato debba spendere e fare sentire il proprio ruolo propulsore. Inoltre c’è una maggiore consapevolezza della necessità di presidiare i beni comuni, come la sanità. Ci vuole una forte regia e infrastruttura pubblica che presidi non solo l’eccellenza ma anche reti di base e il territorio. Il problema della Lombardia è stato l’impoverimento della rete dei medici di base e della medicina territoriale, da questo dobbiamo trarre una lezione e rifinanziare il sistema pubblico. La sanità non regge se è di mercato, ma se è un bene comune, così come la Scuola e altri settori.
D. Siamo alla fine della globalizzazione come crede qualche analista?
R. La globalizzazione subirà un rallentamento e le reti commerciali soffriranno, ma non ci sarà un inversione di tendenza. Tutti i settori ripartiranno compreso il turismo internazionale, si tratta di fenomeni ormai troppo interiorizzati a livello mondiale. Tuttavia si deve rinforzare l’autosufficienza su alcuni settori come la produzione di mascherine e la produzione sanitaria in genere dovrà essere internalizzata, cioè non potremmo dipendere dalla produzione in India, Cina o Brasile in certi ambiti. Su questo, sarebbe bene rafforzare l’Unione europea, ad esempio è curioso che non esista un’Organizzazione europea della sanità e che i singoli stati si muovano in ordine sparso.
D. Qualcuno ha proposto come possibile via d’uscita, la cosiddetta città in 15 minuti, cioè un’organizzazione sociale che permette di avere a disposizione le attività quotidiane: lavoro, acquisti, tempo libero, nel giro di quindici minuti anche nelle metropoli.
R. Si tratta di un aspetto importante perché è chiaro che sia necessario diminuire la mobilità in pianta stabile. Lo smart working sarà, a mio parere, irreversibile perché le nuove tecnologie sono utili e migliorano certi lavori, come quelli di professionisti, studenti, docenti e in genere lavori d’ufficio. Il futuro dovrebbe essere un mix tra lavoro vis-à-vis e a distanza, e compensa anche se non sostituisce la socialità.
Forse io vedo più i pericoli sullo smart working, ma magari può essere uno spunto di dibattito, più ampio.