In occasione dell’ultimo incontro dell’anno del Consiglio Europeo (e del primo della presidenza di António Costa), Ursula von der Leyen ha dichiarato:
«Finora l’Europa ha fornito all’Ucraina quasi 130 miliardi di euro. Abbiamo garantito stabilità economica e finanziaria fino alla fine del 2025. Questa è una buona notizia. E con l’Ukraine Facility e il nostro prestito G7, stiamo addirittura coprendo la maggior parte del deficit finanziario dell’Ucraina per il 2025. Questo è un risultato importante. E consentirà inoltre all’Ucraina di avere più spazio fiscale per acquistare l’equipaggiamento militare tanto necessario».
La somma fornita all’Ucraina è dunque pari al totale delle spese in conto capitale (ossia gli investimenti che non finanziano la gestione ordinaria) del bilancio italiano per l’anno appena trascorso e a 4,5 volte il valore della manovra per l’anno prossimo che il Parlamento sta approvando. Con la stessa somma l’Italia si prova a finanziare il servizio sanitario nazionale. E però sono tutti soldi di cui non beneficia il welfare nazionale, che non ha risorse per consentire di andare in pensione ad una età decente, non ha denaro a sufficienza perché la sanità funzioni, non investe sul futuro del Paese facendo mancare l’occorrente alla ricerca ed all’istruzione. Manca la possibilità di destinare fondi a spese essenziali per la cittadinanza italiana in quanto la stessa Commissione Europea, che si vanta di aver buttato 130 miliardi di euro nel buco nero ucraino, impedisce all’Italia di finanziare con risorse adeguate i settori fondamentali dello Stato.
Cosa questo significhi per le Italiane e gli Italiani lo sappiamo: vediamo bene i risultati sotto il profilo di scuola, sanità, ricerca, pensioni. Cosa hanno prodotto invece in terra ucraina? Secondo il Wall Street Journal nei soli ultimi 2 anni e mezzo di conflitto (operazione militare speciale o guerra che sia) sarebbe stato superato il milione tra morti e feriti tra entrambe le parti.
Ma c’è comunque qualcuno che ci guadagna, anche se non si trova tra la carne da macello ucraina e russa. Quei 130 miliardi infatti (per tacere degli altri finanziamenti occidentali) fanno luccicare di bramosia i grandi gruppi impegnati nella produzione di armamenti. Nell’esportazione di armamenti a livello mondiale le imprese degli Stati Uniti occupano il primo posto con una quota pari al 42%, seguiti da Francia e Russia (11%), Cina e Germania (rispettivamente 5,8% e 5,6%) e Italia (4,3%). Tra i gruppi italiani, nella classifica mondiale, Leonardo si colloca al 9° posto con un fatturato di 11,5 miliardi di euro e Fincantieri al 31° con 2 miliardi di euro. A livello europeo complessivamente i due gruppi pesano per il 14% del fatturato del settore.
Nonostante la martellante campagna mediatica a favore dell’impegno militare, in Italia i pochi sondaggi che vengono fatti danno una netta maggioranza della popolazione contraria all’invio di armi in Ucraina ed anche contraria ad un aumento delle spese nella difesa. Se si considera l’opzione di invio truppe, la contrarietà registrata tra la popolazione italiana arriva all’80%.
Lo scollamento tra i rappresentanti e i rappresentati in tema di guerra e pace non potrebbe essere più evidente. Così come evidente è il perché ad ogni tornata elettorale cali il numero di quante e quanti ritengono utile l’esercizio democratico a fronte del palese disinteresse di elette ed eletti verso una corretta rappresentanza della volontà dell’elettorato. Questo modello di Europa come Ravenna in Comune non ci rappresenta e siamo sempre più in buona e numerosa compagnia.
[nell’immagine: disegno di George Grosz]
#RavennainComune #Ravenna #armi
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European Council Leaders discuss the EU’s role in the world, with emphasis on Ukraine and the Middle East
No all’invio di armi in Ucraina. No ai mercanti di armi.