Il primo gennaio scorso abbiamo dedicato «simbolicamente il momento del passaggio a Marta, giunta al 25simo giorno di sciopero della fame. È una resistenza, la sua, che oppone ad un altro “passaggio”, quello di SNAM che vorrebbe far piazza pulita del bosco e del rifugio per animali che ha tirato su assieme a Federico, suo marito. SNAM intende far passare di lì quella roba che viene chiamata Linea Adriatica, il “metanodotto dei terremoti” che attraverserà le zone più a rischio sismico d’Italia, da Sulmona, nell’aquilano, a Minerbio, nel bolognese. E tra le zone che attraverserà c’è anche la realtà di Marta e Federico, un angolo di terra di Romagna. La ragione non sta in una qualche emergenza energetica ma negli affari, di SNAM, di ENI, della lobby del fossile: portare in Nord Europa molto più gas di quel che serve esportandolo da Algeria, Azerbaijan e Libia, con il “sogno” di fare dell’Italia l’hub europeo del metano».
Dopo le tubazioni già stese da Massafra, nel tarantino, stanno avanzando gli altri 430 km, lungo il cui tracciato si trova Marta, la sua famiglia, i suoi animali e suoi alberi. È già contemplato dal progetto l’abbattimento di milioni di alberi. E per la sua realizzazione saranno spesi due miliardi e mezzo di euro, se saranno rispettate le previsioni. Sono 13 i comuni romagnoli attraversati in aggiunta a quello di Ravenna: Sogliano, Roncofreddo, Sarsina, Mercato Saraceno, Sant’Agata Feltria, Pennabilli, Casteldelci, Forlì, Bertinoro, Russi, Bagnacavallo, Conselice e Alfonsine. Come detto, il progetto ha 20 anni. In tutto questo tempo il territorio è stato profondamente alterato, da ultimo dagli eventi delle alluvioni. È fuori da ogni regola tenere per buono un procedimento avviato agli inizi del secolo senza considerare i mutamenti prodotti in queste due decadi da terremoti, frane e alluvioni. Eppure è ciò che si sta facendo: il business non ammette ripensamenti. Nonostante Marta abbia proposto alternative, nessuna di queste è stata accolta ed ora sono arrivati a lei.
Leggiamo che Marta, per non essersi piegata, per non aver accettato l’inevitabile scempio che ha attraversato, letteralmente, casa sua, per non aver subito in silenzio, insomma per aver «contrastato l’accesso dei mezzi, salendo sulla benna di una ruspa», ciò che si chiama resistenza passiva e non violenta, la si voleva denunciare e sottoporre a TSO (trattamento sanitario obbligatorio). Tutto questo senza che ancora sia entrato in vigore il famigerato e repressivo DDL 1660. In attesa della completa criminalizzazione di ogni manifestazione del pensiero sgradito ci fanno da subito assaggiare la psichiatrizzazione del dissenso.
Come Ravenna in Comune torniamo ad esprimere solidarietà a Marta e alla sua famiglia, oltre che alle tante e tanti che si sono visti attraversare casa da un’autostrada, perché a questo equivale il cantiere di quell’incubo chiamato Linea Adriatica. Ma non basta. Esprimiamo anche rabbia, tanta rabbia per come viene trattata l’opposizione non violenta ai poteri forti, un diritto costituzionalmente garantito, per di più quando esercitato a casa propria.
Grazie Marta, come Ravenna in Comune siamo tutte e tutti con te.
[nell’immagine: il cantiere della Linea Adriatica all’inizio di dicembre – foto di Marta Garaffoni]
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