«Qui non può accadere» è un preconcetto instillato a forza nel cervello della totalità dei politici che siedono in Consiglio Comunale. La dimostrazione indiretta di quanto sia pervasivo questo bias cognitivo, strettamente imparentato con alcune forme di pensiero magico, l’abbiamo avuta ieri, dopo l’esplosione di Calenzano. Riassumiamo per i disattenti: intorno alle 10.20 di lunedì 9, nel deposito di stoccaggio dell’ENI a Pratignone, nel comune di Calenzano, vicino a Firenze, c’è stato un gran botto, roba da sollevare ad un’altezza di due metri vetture e furgoni prima di farli ricadere a terra. L’attività svolta nello stabilimento consiste nella ricezione, deposito (stoccaggio) e spedizione di benzina, gasolio e petrolio (kerosene). I prodotti vengono stoccati nei 24 serbatoi in attesa dell’invio alle 10 pensiline di carico delle autobotti. L’esplosione, a detta di ENI, non ha riguardato il parco serbatoi ma solo la zona di carico. La conseguenza comunque, descritta da testimoni presenti nelle aziende vicine, è stata «un’esplosione enorme, tutti i vetri sono andati in frantumi e le scaffalature sono cadute per terra. Siamo usciti fuori terrorizzati per proteggerci e capire che cosa era successo. Qualcuno ha pensato che avessero gettato una bomba, come in guerra». Ci sono 5 morti e 26 feriti per una strage che, se le fiamme fossero arrivate ai serbatoi, avrebbe fatto impallidire quella di Viareggio. Perché escludere a priori che a Ravenna si possano correre rischi simili? Eppure nessun consigliere comunale di maggioranza o opposizione ha interrogato la Giunta de Pascale.
Ci preoccupa, non poco, il rifiuto, che ha del patologico, da parte dei politici che siedono in Consiglio Comunale, rispetto alla possibilità che quanto accaduto a Calenzano possa verificarsi anche a Ravenna. «No, a Ravenna no» è quanto ci è stato ripetuto dopo le esplosioni avvenute nel porto di Beirut 4 anni fa. Addirittura all’inizio era stata negata la presenza di nitrato d’ammonio (la causa dell’esplosione di Beirut) stoccato nel porto di Ravenna. Naturalmente, come denunciammo prontamente, il porto di Ravenna ha depositi di nitrati d’ammonio in area portuale sin dagli anni “50 del secolo scorso. A Beirut morirono più di 200 persone (più o meno come nel porto cinese di Tientsin 5 anni prima). Non stupisce che quello di Yara, a Ravenna, sia considerato un impianto di soglia superiore nella categoria di rischio dei grandi incidenti industriali elaborata dalla normativa Seveso, adottata dalla UE dopo il disastro accaduto, appunto, a Seveso, in Brianza, nel 1976. Sono contemplati i rischi alla salute delle persone sia dovuti all’evento che al disastro ambientale ad esso connesso. Alle nostre richieste di sapere quali rischi si corressero a Ravenna venne risposto che l’azienda che a Ravenna tratta il nitrato d’ammonio è seria, regolarmente autorizzata e sottoposta a controlli: in altre parole: «Qui non può accadere», appunto.
Calenzano nel suo Comune, oltre a quello esploso, ha solo un altro impianto a rischio Seveso, classificato tuttavia in soglia inferiore. Tutta la provincia di Firenze (ora città metropolitana), dove si trova Calenzano, ha 10 impianti a rischio di grave incidente industriale, 5 classificati in soglia superiore e 5 in soglia inferiore. In provincia di Ravenna ce ne sono 36, di cui 27 tutti dislocati nel Comune di Ravenna, tranne poche eccezioni concentrati lungo il porto, a pochi chilometri di strada dal centro cittadino e a poche centinaia di metri di distanza, in linea d’aria, dai lidi di Marina di Ravenna e Porto Corsini. A Ravenna risultano 6 impianti del tipo di quello di Calenzano. La normativa è la stessa, quindi, si può presumere, che anche gli impianti di Ravenna, come quello di Calenzano siano condotti da aziende “serie, regolarmente autorizzate e sottoposte a controlli”. E tuttavia a Calenzano l’esplosione c’è stata, ha fatto strage di lavoratori e l’hanno sentita sino a Prato e Firenze.
Ravenna in Comune è stata l’unica forza politica in Consiglio Comunale a votare contro la realizzazione di un deposito di GNL a poca distanza delle scuole di Marina di Ravenna. Ora che non siamo in Consiglio, nessun consigliere si è espresso contrariamente alla realizzazione dell’impianto di rigassificazione del GNL a poca distanza dalle spiagge turistiche ravennati. Peraltro l’impianto è stato escluso per legge dai doverosi controlli Seveso. Ma nessun consigliere se ne preoccupa. Perché? Perché siamo a Ravenna, appunto, e «Qui non può accadere». Ma da dove ci viene questa falsa sicurezza? Come si fa a ritenere che il rischio per la popolazione rispetto al quale fare esercitazioni sia rappresentato dalle manifestazioni non violente degli ambientalisti, come da simulazione organizzata nei giorni scorsi dalla Prefettura proprio in un centro ENI di Ravenna?
Come scrivevamo all’epoca dell’esplosione di Beirut, «se è vero che il rischio zero non esiste è però opportuno sia fare di tutto per arrivare vicino all’obiettivo che consentire alla collettività di sapere quale sviluppo economico si è scelto per il territorio e quali conseguenze, anche a livello di sicurezza, questo implica». Come Ravenna in Comune rileviamo che durante il mandato de Pascale, invece di calare, gli impianti a rischio Seveso nel nostro Comune sono aumentati. Pensiamo anche che nascondere la testa sotto la sabbia e ripetere compulsivamente «Qui non può accadere» non riduca il rischio che un disastro accada realmente. Un programma politico serio deve prevedere i passi, sostenibili anche economicamente, da compiere per ridurre urgentemente questo rischio. Questo è il programma di Ravenna in Comune.
[Nell’immagine: l’incidente industriale di tipo Seveso all’ENI di Calenzano; in sovrapposizione, il numero di impianti a rischio Seveso nel Comune di Ravenna]
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Esplosione nel deposito Eni a Calenzano, due morti, nove feriti e tre dispersi
Fonte: Domani del 9 dicembre 2024