Oggi, 25 novembre, è il 34° anniversario della più pesante strage di lavoratori che ha colpito Ravenna a parità di morti con la strage della Elisabetta Montanari. Però i 13 morti della Mecnavi sono commemorati ogni anno facendo riferimento ad un criminale attentato alla sicurezza del lavoro, mentre le 13 vittime di 34 anni fa precipitate con l’elicottero sono piante come frutto di una fatalità.
Il 25 novembre 1990 alle 9 del mattino un elicottero della Elitos si era alzato in volo con 10 passeggeri, oltre ai due piloti e il motorista, diretto verso alcune piattaforme estrattive off-shore di AGIP, società del gruppo ENI: Angelo Aprea, Giancarlo Baroncelli, Alberto Bellinelli, Claudio Beltrami, Antonio Graziani, Giovanni Melfi, Domenico Montingelli, Idilio Nonnato, Giuseppe Paolillo, Nicola Pelusio, Simone Ratti, Giancarlo Semenzato e Stanislao Serpe. Quattro lavoratori dovevano raggiungere una piattaforma davanti a Porto Corsini e altri quattro un’altra davanti a Cervia. E poi c’erano i due cuochi della ditta che si era aggiudicata l’appalto per la ristorazione. Era domenica. Una ordinaria domenica lavorativa. Il volo durò solo pochissimo. Poi ci fu lo scoppio, l’impennata dell’elicottero e la sua caduta dopo essersi spezzato. Nessun superstite e nessun condannato.
Eppure non è mai per fatalità che non si rientra a casa da una giornata di lavoro. C’è sempre una causa (o più) e dietro di essa una responsabilità (o più). Che la giustizia l’accerti o meno fa molta differenza. Ma non cambia i fatti: se ci si fa male è perché il rischio possibile è diventato accadimento. E questo continua ad essere inaccettabile, così come le parole di circostanza, sempre uguali, pronunciate dopo.
Dunque, il miglior modo di ricordare quelle persone, per rispettare il dolore che la loro morte causò 34 anni fa e si rinnova ogni anno, è insistere perché di tutti gli infortuni su lavoro sia data notizia completa, la causa di ogni morte e di ogni ferimento su lavoro vengano alla luce, ogni responsabilità sia accertata, ogni colpevole sia condannato, ogni pena carceraria sia effettivamente subita. Come spesso, troppo spesso, non accade.
Anche a questo fine Ravenna in Comune aveva nel proprio programma elettorale un Osservatorio per la legalità e la sicurezza del lavoro. La sua attuazione fu deliberata senza voti contrari nel 2019 ma, di fatto, non è mai stato attuato nonostante tanti annunci a vuoto. L’Osservatorio avrebbe dovuto raccogliere e diffondere i dati sulle ricorrenze infortunistiche per consentire un puntuale e continuativo lavoro ispettivo. Perché solo un’efficace e continuativa attività di accertamento delle eventuali violazioni delle norme sulla sicurezza può evitare che al nome di un morto se ne aggiunga prima o poi (più prima che poi) un altro.
Tra non molto anche questo Consiglio Comunale, che è succeduto a quello che aveva deliberato l’Osservatorio, entrambi con lo stesso Sindaco vincolato dal voto dell’aula all’attuazione di quella decisione, si concluderà con un nulla di fatto. Questa, lasciatecelo dire, non è democrazia. È prendere in giro i lavoratori morti e chi li ha pianti o li piangerà. Come Ravenna in Comune avevamo promesso alla cittadinanza che avremmo continuato a pretendere l’istituzione dell’Osservatorio e continuiamo ad onorare l’impegno assunto. Chi parte per Bologna dopo due mandati da Sindaco, invece, il proprio non lo sta onorando.
[Nell’immagine: l’Unità del 27 novembre 1990]
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Lunedì 25 novembre, Marina di Ravenna ricorda le 13 vittime dell’incidente Agip del 1990