Si torna a parlare di “porto”. E sarebbe il caso di dire: finalmente! Lo si deve a un de Pascale evidentemente a corto di successi da accreditarsi in campagna elettorale. Certo, si fa un po’ fatica a parlare di “alluvione”, schivando il fatto che l’entità del disastro non può essere disgiunta da chi negli anni precedenti ha gestito (male) il territorio. La favoletta delle nutrie non regge più… Ed anche l’argomento “sanità” è poco attraente quando si considera che la continuità gestionale del sistema sanitario regionale attira automaticamente le critiche per l’esito a cui lo ha fatto pervenire. Anche in questo caso, due anni scarsi di Governo cattivo non riescono a far dimenticare il ruolo svolto dal PD come infaticabile demolitore del pubblico, a tutto vantaggio del privato. Ed ecco allora che rispunta il porto. Senza nessuna analisi, però. Solo tante parole di autocelebrazione. Vediamo se c’è della sostanza dietro gli slogan.
Al festival del suo partito ha detto: «È per me un motivo di grande orgoglio che il nuovo porto di Ravenna ora sia rilanciato e non sia più il porto bloccato del 2016». Che è sarebbero solo parole vuote, in effetti, se non le avesse dotate un po’ più di significato nelle interviste di fine mandato che rilascia a tutto busso. In queste ha specificato che, mentre adesso il porto va benone, nel 2016 era tutto fermo a causa di «uno scontro “termonucleare” tra Ap e Confindustria»; che nel 2016 i lavori non partivano mentre ora non fa in tempo a chiudersi la fase 1 che già si apre quella 2. E poi ha aggiunto un po’ di campanilismo rispetto a Venezia sulle crociere ed ha elogiato gli investimenti nella cantieristica di Ferretti. Per fortuna non ha ritirato fuori il tema dell’antifascismo dei fondali, che tanto gli piaceva…
Ritorniamo allora ai dati che dovrebbero dare sostanza alle sue affermazioni sul rilancio del porto e che, invece, dimostrano che, a bene andare, siamo al palo e il contesto è irto di difficoltà. Nel primo anno di mandato del Sindaco, quel 2016 che gli piace ricordare, la movimentazione del porto ammontava complessivamente a 25.962.764 tonnellate annue tra carico e scarico. Se era una crisi, allora adesso facciamo peggio: lo scorso anno, il 2023, la movimentazione è scesa a 25.503.131 tonnellate annue. Se prendiamo in considerazione i container è anche peggio: nel 2016 venivano movimentati 231.076 TEUs tra vuoti e pieni, mentre nel 2023 sono scesi a 216.981. Come detto le prospettive per il futuro sono anche peggiori. Nei primi 6 mesi del 2024 i traffici sono calati del 5,8% rispetto al primo semestre dell’anno precedente. I container? Sotto del 7%. Se questo è un rilancio, cos’è una débâcle?
Andiamo allora a quello che è stato definito come un conflitto tra l’Autorità Portuale e Confindustria. Andrebbe allora ricordato che Confindustria era guidata dal principale azionista portuale privato di SAPIR. E che, dietro a Confindustria, si allinearono prontamente tutte le Istituzioni guidate dal PD e che persino il ministro piddino di allora si mise in riga. Di cosa si discuteva? Del fatto che un soggetto teoricamente pubblico-privato, ma in realtà a conduzione privata e privatistica, cioè SAPIR, deteneva privatamente le aree di sviluppo del porto, impedendo di fatto lo svolgimento di lavori di escavo se non a condizioni capestro. L’ultimo Presidente dell’Autorità Portuale, prima che questo ente venisse degradato ad AdSP, stava cercando di rimettere in moto il porto trasferendo al demanio, e quindi rendendo indisponibili per gli affari dei privati, le aree di cui negli anni si era impossessata SAPIR, attraverso espropri teoricamente finalizzati allo svolgimento di opere. Dunque, un (raro) dirigente pubblico che stava facendo l’interesse pubblico fu cacciato da una congiura orchestrata dal PD, che mise a disposizione dei soci privati di SAPIR sia le Istituzioni che di SAPIR detengono la maggioranza che gli organismi governativi che controllava. Il risultato? È sotto gli occhi di tutti: i lavori che si sono realizzati servono principalmente a valorizzare i terreni incolti rimasti in proprietà privata, con un chilometro di banchine inutili poiché il privato si è ben guardato dall’infrastrutturare le aree retrostanti. Tant’è che, nei prossimi mesi, quelle banchine ospiteranno solo i bacini galleggianti per il riempimento dei cassoni della diga frangiflutti a protezione del rigassificatore. Un altro chilometro di opera, una diga, questa volta in mare, realizzata da zero perché quella piattaforma che veniva spacciata come idonea ad attraccarvi un rigassificatore, in realtà, non lo era. E chi ne ha beneficiato? Lo stesso socio privato di SAPIR che l’ha venduta a SNAM…
I lavori svolti in questi anni avranno apportato dei benefici almeno alla possibilità di accedere da parte di navi con maggior pescaggio? Dai dati non si direbbe. In quel 2016 preso a riferimento da de Pascale, le navi più grandi che riuscivano ad accedere al porto, con marea favorevole, avevano un pescaggio di 10,50 metri. Nel 2024, almeno sino ad oggi, il pescaggio massimo consentito con marea favorevole non è mutato di un centimetro!
Per quanto riguarda le crociere e il fatidico 2016, a noi risulta che già in quell’anno il ruolo guida della compagine del precedente concessionario del molo di Porto Corsini fosse in capo a un gruppo turco. E che l’attuale concessionario che l’ha soppiantato sia invece statunitense. Mentre le “sfortune” di Venezia che stanno facendo le “fortune” di Ravenna derivano da decisioni prese in tavoli dove non risulta de Pascale abbia mai avuto occasione di sedersi. Non si capisce dunque quale ruolo ritenga di aver giocato de Pascale nella “partita” Terminal Crociere che, secondo lui, grazie a lui, avrebbe escluso Venezia…
Infine il capitolo investimenti portuali. In tanti in effetti hanno investito. Non c’è solo solo Ferretti, che è controllato da un gruppo cinese, con un consiglio di amministrazione a maggioranza cinese e un presidente cinese. C’è un fondo londinese. Un grande gruppo ginevrino. Un altro fondo statunitense. Quelli che de Pascale loda come investimenti si chiamano più propriamente acquisti. Una fetta alla volta il porto è passato di mano. Mani che sono al di fuori di ogni possibilità di influenza da parte dell’Amministrazione ravennate. Mani che, a loro volta, possono far passare di mano i terminal che adesso controllano con conseguenze non preventivabili sui traffici, sul lavoro, sulla fonte di reddito rappresentata dal porto. Già da giorni, ad esempio, si vocifera di una cessione data per certa del pacchetto azionario di controllo di Ferretti da parte del Gruppo Weichai. Cioè proprio quell’investimento che tanto ha entusiasmato de Pascale.
La conclusione è che in tutti questi anni de Pascale e i suoi hanno solo subito le decisioni altrui, a tutto vantaggio di privati, spesso nemmeno ravennati. Sicuramente il Sindaco non è stato in grado di prendersi cura del porto di Ravenna, costruito con risorse pubbliche e costato anche in termini di vite dei lavoratori. Altro che assumersi il merito di un inesistente rilancio. L’unica cosa che ci sentiamo di aggiungere, come Ravenna in Comune, a sua parziale discolpa, è che, probabilmente, non lo ha capito nemmeno lui.
In ogni caso, prima se ne va e meglio sarà per il porto, per chi ci lavora e per la collettività ravennate.
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De Pascale, 8 anni da sindaco: «Soddisfatto per il porto»