Julian Assange è stato liberato dalla prigione inglese in cui era detenuto da 62 mesi. Vi era stato rinchiuso nella sezione di massima sicurezza dall’11 aprile 2019, quando fu arrestato nella capitale britannica dopo l’intrusione della polizia inglese nell’ambasciata dell’Ecuador, con il consenso della rappresentanza diplomatica che gli aveva precedentemente garantito asilo. Dal 19 giugno 2012, infatti, era bloccato all’interno dell’ambasciata londinese dell’Ecuador, Paese dal quale aveva ottenuto anche il riconoscimento della cittadinanza poi revocata. Il 18 novembre 2010 il tribunale di Stoccolma aveva spiccato un mandato d’arresto in contumacia nei suoi confronti con l’accusa di stupro, molestie e coercizione illegale, dopo averne già emesso un altro in agosto poi ritirato per insufficienza di prove. Assange negò l’accusa sostenendo che era solo un pretesto per estradarlo negli Stati Uniti. Tutte le accuse infamanti sono successivamente cadute ma il meccanismo di annientamento iniziò formalmente allora. Quegli eventi erano di poco stati preceduti, il 25 luglio del 2010, dal più conosciuto degli scoop giornalistici di WikiLeaks, fondata da Assange nel 2006. In quella data gli abitanti del pianeta furono portati a conoscenza degli Afghan War Logs, 76.910 documenti segreti che descrivevano la guerra, qualsiasi guerra anche se l’oggetto era limitato all’Afghanistan, come mai prima era stato possibile. Contenevano informazioni fattuali, incluse latitudine e longitudine dei luoghi in cui erano avvenuti scontri, incidenti e stragi di civili dal gennaio del 2004 al dicembre del 2009, ovvero negli anni che andavano dal secondo mandato presidenziale di George W. Bush fino al primo anno dell’amministrazione di Barack Obama. WikiLeaks, grazie alla sua fonte, Chelsea Manning, aveva fatto emergere i segreti che la macchina della propaganda del Pentagono aveva accuratamente nascosto. E se conosci i segreti di una sporca guerra, riconosci tutte le guerre. In aprile era già stato diffuso il video Collateral Murder e in ottobre sarebbero stati resi noti i diari della guerra in Iraq e in novembre i Cable Gates.
Subito dopo la pubblicazione dei documenti sull’Afghanistan, il settimanale tedesco Der Spiegel aveva intervistato Julian Assange chiedendogli: «Lei avrebbe potuto creare un’azienda nella Silicon Valley e vivere a Palo Alto in una casa con piscina. Perché ha invece deciso di dedicarsi alla creazione di WikiLeaks?».
Assange aveva risposto: «Si vive solo una volta e quindi abbiamo il dovere di far un buon uso del tempo a disposizione e di impiegarlo per compiere qualcosa di significativo e soddisfacente. Questo è qualcosa che io considero significativo e soddisfacente. È la mia natura: mi piace creare sistemi su larga scala, mi piace aiutare le persone vulnerabili e mi piace fare a pezzi i bastardi. E quindi è un lavoro che mi fa sentire bene».
La democrazia è tale quando consente al popolo di esercitare liberamente il diritto di determinare la politica della comunità. Perché il diritto non sia fittizio deve essere disponibile al popolo una pluralità di scelte. E perché la democrazia non sia a sua volta finta il popolo deve aver accesso alle conoscenze che consentono di esercitare scelte non preventivamente condizionate.
Gli ultimi 14 anni del limitato tempo a disposizione di Julian Assange gli sono stati sottratti. È il tempo che ha pagato di suo, con la sua vita, per consentire alla comunità umana del pianeta di apprendere una fondamentale lezione sulla sottrazione di democrazia che ogni giorno ognuno di noi subisce. Ora Assange, cittadino australiano, è di nuovo in patria. L’Australia è uno Stato vassallo degli Stati Uniti, compresa l’intelligence, e con una capacità di proteggere la popolazione civile inferiore a zero. Come l’Italia del resto. La speranza che l’Impero consideri saldato il conto è solo una speranza. Ravenna in Comune ha partecipato, vissuto, coordinato, sottoscritto tantissime iniziative per la liberazione di Julian Assange. L’ultima, partecipatissima, è stata l’iniziativa svolta il 31 gennaio scorso con la conduzione di Stefania Maurizi, come Coordinamento per la Libera Informazione, a pochi giorni dalla prima udienza dell’Alta Corte inglese sulla sua estradizione negli Stati Uniti. Il nostro impegno per la Libera Informazione non può certo finire con la vicenda Assange ed anzi le modalità della sua liberazione rinforzano la nostra determinazione.
Grazie Julian
#RavennainComune #Ravenna #JulianAssange #WikiLeaks
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Assange a Canberra, libero ma stremato: «Parlerò, ma non ora»
Fonte: il manifesto del 27 giugno 2024
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Collateral Murder
5th April 2010 10:44 EST WikiLeaks has released a classified US military video depicting three airstrikes from a US Apache helicopter on July 12, 2007 in New Baghdad, Iraq. At least eighteen people were killed in the airstrikes, including two journalists working for Reuters, Saeed Chmagh and Namir Noor-Eldeen.
The video was recorded by the gunsight camera on the Apache helicopter, identified as Crazyhorse 18, and is accompanied by the radio communications of the helicopter gunmen as they communicate with their commanders and troops on the ground.
When the video begins, the helicopter is circling above the city. It then focuses in on a group of men walking in the street, including the Reuters journalists. The soldiers in the helicopter state that they see members of the group carrying weapons, ask their commanding officers for permission to engage (fire), and fire upon the group with 30mm rounds.
The camera then follows Chmagh as he crawls along the road, and the soldiers can be heard urging him to pick up a weapon. A van, which was later learned to be carrying two children to school along with their father, arrives and several men pick Chmagh up and begin to carry him toward the van. The helicopter requests and is given permission to fire upon the van as it tries to leave. They fire upon the van with 30mm rounds.
The video then shows ground troops arriving at the area. A soldier can be seen running as he carries one of the children wounded in the attack on the van.
In the third attack depicted in the video, the Apache helicopter fires upon a building with Hellfire missiles. The video shows several armed and unarmed people entering the building, which is described as abandoned or under construction. The building was later learned to be occupied by three families. The helicopter requests and receives permission to fire upon the building, and shoots three Hellfire missiles. A man can be seen walking in front of the building as the first missile is shot, and several people helping the wounded are visible around the building as the second and third missiles hit.
After the incidents, Reuters filed a Freedom of Information Act request for the video, without success. Several scenes from this video were described by the Washington Post reporter David Finkel in his book “The Good Soldiers”. The Washington Post later stated that they never had the video.
Fonte: WikiLeaks del 5 aprile 2010