Nel 1977 usciva Berlinguer ti voglio bene di Giuseppe Bertolucci, film che naturalmente era tutt’altro che una biografia del leader comunista, ma il cui titolo ci è venuto in mente leggendo del tentativo di Schlein di nascondersi dietro il segretario del PCI in chiusura della campagna elettorale per le europee. Il palco era nella stessa città, Padova, dove Enrico Berliguer aveva tenuto il 7 giugno 1984 il suo ultimo comizio. E dove fu colpito dal malore che lo condusse a morte l’11 giugno successivo senza che fosse uscito dal coma.
Cosa c’entra Schlein con Berlinguer? La risposta affidata alla segretaria del PD suona così: «La sua eredità è attuale ed esigente, ci spinge a migliorarci, indica la strada, ci chiede di fare di meglio per chi non ce la fa. Organizziamo la speranza e riempiamo di lotta la nostra vita». Di fatto Schlein e il PD c’entrano con Berlinguer e il PCI come La Russa con le celebrazioni per il 25 aprile: niente.
Berlinguer è stato l’ultimo leader popolare del più grande partito comunista dell’Europa occidentale. Era un uomo vissuto nel suo tempo e ha poco senso esprimere una valutazione sulla sua conduzione politica prendendola in esame dal punto di vista del nostro tempo. Più corretto esaminarne la figura inserendola nel suo contesto storico. Che nulla ha che fare con questo, come nulla ha a che fare Schlein con quello.
Il PD è un partito liberista che si autodefinisce di centrosinistra sorto tra il 2001 e il 2002 dalla fusione a freddo di due partiti, i DS e la Margherita, nessuno dei quali aveva mai avuto direttamente niente a che spartire con il PCI. Vale la pena ricordare che i DS eliminarono appositamente dal proprio simbolo quella falce e martello che invece il PDS, sorto dalla svolta della Bolognina, aveva conservato sino alla sua dissoluzione. Il PCI è stato fondato nel 1921 come partito di sinistra per il perseguimento del comunismo. Nulla ha a che vedere il primo con il secondo, tant’è che i parlamentari europei eletti nelle liste del PD hanno votato la famigerata risoluzione che ha equiparato, nel 2019, il comunismo al nazismo. Che un partito (che quando finirà giù per lo scarico della storia non sarà mai troppo presto) come il PD provi ad appropriarsi della popolarità di un leader orgogliosamente comunista è ridicolo se non vomitevole. Che la segretaria di quel partito (che quando si dedicherà ad attività più utili rispetto alla politica, ad esempio l’armocromia, non sarà mai troppo presto) ne faccia oggetto di un pistolotto a fini di propaganda per le prossime europee è ridicolo se non vomitevole.
Berlinguer credeva nel partito come forza rivoluzionaria, con il compito di sviluppare la trasformazione socialista della realtà storica e sociale italiana. Perseguiva la via democratica al socialismo, intendendola come una trasformazione progressiva, da realizzarsi nell’ambito della Costituzione antifascista, dell’intera struttura economica e sociale del nostro Paese. Il PD crede ed opera con l’obiettivo unico della divisione del malloppo. Da una parte un partito che si identificava completamente con la classe lavoratrice. Dall’altra un partito che si identifica compiutamente negli ideali della Banda Bassotti.
Nessuno può impedire, purtroppo, al PD di inventarsi qualunque glorioso passato, per quanto inesistente, e di citare a sproposito italiane e italiani che restano ancora oggi care e cari alla memoria di chi li ha conosciuti. Nessuno però può impedire a Ravenna in Comune di denunciare tutto ciò come una vergognosa ed indegna falsificazione storica.
[nella fotografia: Enrico Berlinguer ai cancelli di Mirafiori durante lo storico sciopero contro la Fiat nel 1980]
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Schlein a Padova per ricordare Berlinguer, 40 anni dopo