A Ravenna, per l’Amministrazione Comunale e per le altre istituzioni, l’archeologia industriale si riduce ad una barzelletta. Ad una fonte di ispirazione per farci sopra battute di dubbio gusto. In poche parole, per prendere in giro chi ci crede. E chi ci crede? A Ravenna sono state e nonostante tutto sono ancora tante persone. Nel 2011 fu estremamente partecipato il percorso di acquisizione degli elementi che avrebbero costituito il POC tematico Darsena, quello seppellito senza tante lacrime da de Pascale, per intenderci. Il Piano Operativo fu adottato nel 2013 ed entrò in vigore nel 2015. Ad esito della partecipazione e sulla base di quanto richiesto dalla cittadinanza era stato identificato un “Sistema di Archeologia Industriale” con precisa individuazione degli edifici di cui si sostanziava. Non c’era dubbio su quale fosse il compito attribuito alla pianificazione: il piano «persegue l’obiettivo di salvaguardare la memoria industriale del quartiere che vede nelle archeologie industriali la memoria più significativa» e, a questo fine, «prescrive la salvaguardia e la valorizzazione degli edifici di archeologia industriale, quali interventi prioritari, cui sono subordinati gli interventi di nuova costruzione nei subcomparti ad essi relativi» (così la relazione).
Ce lo ha ricordato, in occasione dell’abbattimento delle Torri Hamon, l’Ordine degli Architetti di Ravenna: «La gente chiedeva uno sviluppo a vocazione pubblica tramite un sistema integrato e cooperante di luoghi e infrastrutture collegate al resto della città, che potesse dare un nuovo senso e significato all’acqua, alle banchine, agli edifici di archeologia industriale e alle nuove attività lavorative e residenziali. All’epoca i partecipanti espressero la volontà di un recupero delle archeologie industriali, fra cui le torri Hamon e tutti quegli edifici che sono simbolo di una Ravenna che si industrializzò a partire dagli anni ’50. In quella occasione si avanzarono ipotesi di riutilizzo di tali strutture che il PUG, giacente da quasi due anni negli uffici comunali, ha prospettato di recuperare».
Ecco, appunto, è così emerso che il Piano Urbanistico Generale (la cui definitività viene appositamente ritardata per continuare a costruire secondo regole che avrebbero dovuto essere già scadute) aveva mantenuto a livello di programmazione l’obiettivo di salvaguardia della memoria già delineato dal POC Darsena: «La persistenza di alcune importanti e robuste tracce della natura e dell’industria preesistenti si configura come una risorsa strategica: […] i due straordinari monumenti di archeologia industriale delle torri di raffreddamento dell’ex raffineria che si fronteggiano a poca distanza dal Canale Candiano […], archeologia industriale da recuperare e rifunzionalizzare, le due torri Hamon […] costituiscono una componente strutturante […] che punta alla conservazione e attualizzazione dell’identità storica delle aree industriali. I “camini sonori” rappresentano i landmark riconoscibili e connotanti il nuovo paesaggio urbano, e potranno consentire la sua percezione dall’alto e accogliere funzioni compatibili con la particolare tipologia che li caratterizza».
De Pascale ha preferito buttare nella carta straccia il valore della programmazione urbanistica, una idea di gestione delle modifiche del territorio che ha visto Ravenna all’avanguardia in Italia, che ha trovato il suo vertice nella gestione partecipata del POC Darsena, piuttosto che salvaguardare le torri. Troppo grande il rischio di creare un precedente, di porre un ostacolo, di qualunque tipo, alla volontà sacra della proprietà. Quel che sta scritto sugli strumenti di programmazione sono solo delle possibilità per i cementificatori, ha fatto capire il Sindaco, cioè finché si tratta di consentire di consumare suolo nuovo valgono eccome, ma per scongiurare la perdita del patrimonio di memoria storica non servono a niente. Letteralmente: «In questo senso anche le varie cose che erano scritte nei diversi piani erano opportunità non erano vincoli perché non è compito del Comune porre vincoli». Italia Nostra ha definito tutto ciò «Una pagina nera della democrazia e della partecipazione, scritta senza colpo ferire dal Sindaco di Ravenna, dall’Autorità Portuale, dalla Soprintendenza e dall’ENI, le cui attività sul nostro territorio possono continuare nella più assoluta accondiscendenza e senza nemmeno un tentativo di trattativa». E, con il sostegno di semplici cittidini e di Potere al Popolo, ha denunciato quanto avvenuto alla Procura della Repubblica.
Come Ravenna in Comune abbiamo preso atto che la strumentazione urbanistica comunale ha la pregnanza di una barzelletta e ci piacerebbe dunque capire perché dopo tanto tempo il Sindaco stia ancora facendo di tutto per evitare che il PUG diventi definitivo. Barzelletta per barzelletta, allora, dovremo considerare tale anche l’ultima sparata dell’Assessora Del Conte sul Sigarone, il paraboloide ex SIR che la proprietà CONAD vorrebbe demolire. «Non credo proprio possa considerarsi una strada percorribile, non è possibile abbatterlo». Fino a nuovo ordine del padrone, naturalmente, avrebbe dovuto aggiungere.
[Nell’immagine l’espressione della volontà dell’Amministrazione Comunale nel 2015]
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Sigarone in Darsena a Ravenna. Del Conte: “ancora presto per immaginare cosa diventerà, ma è escluso che si abbatta, né oggi né mai”
Fonte: RavennaNotizie del 26 aprile 2024
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Abbattimento torri Hamon, Italia Nostra ha presentato denuncia in Procura