L’ESCLUSIVA DEL GENOCIDIO – COSE FUORI DAL COMUNE

Il “genocidio” come vocabolo è una creazione novecentesca. È stato coniato per la necessità di definire la politica nazista di sistematico sterminio di gruppi che gli stessi nazisti ritenevano ben determinati, in primis quello degli ebrei. Ma non è una creazione nazista. I nazisti adottarono altri termini per definire la stessa cosa, come ad esempio “Soluzione Finale del Problema Ebraico”. Il primo utilizzo del termine “genocidio” si deve a Raphael Lemkin, giurista polacco fuggito negli USA proprio per scampare alle persecuzioni naziste in quanto figlio di ebrei. È impiegato nel 1944 in un testo, Axis Rule in Occupied Europe, e Lemkin spiega che serve a definire “la distruzione di una nazione o di un gruppo etnico”: “In generale, il genocidio non significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione, tranne quando viene compiuto con l’uccisione di massa di tutti i membri di una nazione. Si vuole piuttosto intendere un piano coordinato di diverse azioni miranti alla distruzione dei fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali, con lo scopo di annientare i gruppi stessi”. Dunque, fin dall’inizio, non è l’equivalente di Shoah, termine in lingua ebraica di origine biblica applicato specificamente dagli ebrei pensando agli ebrei. Così come non è l’equivalente di Porrajmos o di Samudaripen applicato specificamente dalle comunità romaní pensando alle comunità romaní, altro enorme gruppo interessato dallo sterminio nazista. Né si può per lo stesso motivo circoscriverlo al cosiddetto omocausto, il genocidio praticato nei confronti dei non eterosessuali. Eccetera eccetera. Lo stesso Lemkin lo ha utilizzato per definire lo sterminio di diversi gruppi di persone intervenuto al di fuori del regime nazista. Questo perché si tratta di un termine fin dall’inizio pensato per una definizione generale, non riconducibile allo sterminio storico di un particolare esclusivo gruppo etnico. Tanto meno di quello ebraico. Scriveva Lemkin: “This new word, coined by the author to denote an old practice in its modern development, is made from the ancient Greek word genos (race, tribe) and the Latin cide (killing), thus corresponding in its formation to such words as tyrannicide, homocide, infanticide, etc.”.

Il genocidio dopo la fine della seconda guerra mondiale ha ricevuto una codificazione internazionale come reato. In particolare lo si è inteso reprimere con la Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, approvata dalle Nazioni Unite nel 1948, ratificata dall’Italia nel 1952 e dallo Stato di Israele già nel 1950. Stabilisce la convenzione che  “per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro”.

Quanto sopra descritto è la base giuridica per cui la Corte internazionale di Giustizia ha potuto legittimamente adottare misure cautelari nei confronti dello stato di Israele, accusato con ricorso del Sud Africa di violazioni nei confronti dei palestinesi della Convenzione contro il crimine di genocidio. Del resto, basta una lettura veloce di quanto identifica le pratiche genocidarie all’interno della Convenzione, sopra riportate, per associarvi quanto avviene giornalmente nella Striscia di Gaza (ma anche in Cisgiordania). Il provvedimento del 26 gennaio scorso ha ordinato ad Israele di impedire la commissione di tutti gli atti sopra descritti, di garantire con effetto immediato che le sue forze militari non commettano nessuno degli atti predetti e di adottare tutte le misure a sua disposizione per prevenire e punire l’istigazione diretta e pubblica di atti di genocidio contro il gruppo palestinese. L’ordinanza ha imposto ad Israele di adottare immediate misure per consentire la fornitura di servizi di base e assistenza umanitaria in favore dei palestinesi, e misure efficaci per prevenire la distruzione e garantire la conservazione delle prove relative all’accusa di genocidio. Israele avrebbe dovuto presentare un rapporto alla Corte su tutte le misure adottate per dare attuazione all’ordinanza entro la fine di febbraio. Il 28 marzo, poi, la corte ha ordinato a Israele di adottare misure per migliorare la situazione umanitaria a Gaza, inclusa l’apertura di ulteriori valichi di terra per consentire l’ingresso di cibo, acqua, carburante e altri rifornimenti nella regione devastata dalla guerra. Niente di tutto questo è stato attuato da Israele che si è posto ancora una volta come Stato in una condizione di eccezione, al di fuori del diritto internazionale riconosciuto dalla comunità umana sul pianeta Terra. Senza patirne conseguenze.

L’esistenza stessa dello Stato di Israele si fonda su una condizione di eccezione che, a sua volta, non trova fondamento giuridico ma piuttosto politico in una logica risarcitoria dello sterminio degli ebrei europei perpetrato dalla Germania nazista, con il supporto attivo o quanto meno l’indifferenza degli altri paesi occidentali. L’eccezionalità di Israele, dunque, e del suo operato internazionale si nutre del riconoscimento che anche lo sterminio ebraico sia stato qualcosa senza pari nella storia umana. E questo porta all’impossibilità di fatto, in occidente, di impiegare il termine “genocidio” quando si tratta di non ebrei. Benché nessun supporto della storia della lingua e delle idee e della scienza giuridica consenta di restringere l’uso del vocabolo sino a farlo coincidere con la shoah, ciò avviene ogni giorno. Con tanto di accusa per chi non vi si adegua di praticare razzismo nei confronti degli ebrei (termine decisamente più corretto di antisemitismo) ovvero di negazionismo ogni volta che la legittimità dell’eccezione dello Stato di Israele o dell’esclusiva degli ebrei al genocidio venga messa in dubbio.

Come Ravenna in Comune respingiamo sia il negazionismo che il razzismo contro chiunque venga rivolto. La storia dell’Occidente riconosce trattarsi di concetti fatti propri dalle forze politiche di destra, che non possono trovare alcuna giustificazione presso di noi. Tuttavia respingiamo allo stesso modo la narrazione di una esclusiva nell’aver subito il crimine del genocidio da parte dei gruppi ebraici e di una presunta legittimità fondativa di uno Stato israeliano, in cui i soli cittadini a pieno titolo siano appartenenti a gruppi ebraici, quale eccezione rispetto al diritto internazionale, consentita dal risarcimento per la presunta unicità del genocidio. L’enorme ingiustizia storicamente subita da milioni di persone da parte della Germania Nazista e dai suoi collaboratori in quanto ritenute appartenenti a gruppi ebraici non può assolvere l’ingiustizia successivamente arrecata dallo Stato Israeliano e dai suoi collaboratori a milioni di persone palestinesi. Un genocidio non ne cancella un altro, può solo rendere la comunità umana direttamente o indirettamente responsabile di un altro genocidio.

[nell’immagine di sx una protesta a Rotterdam contro il genocidio in atto a Gaza; a dx le scarpe degli internati conservate ad Auschwitz]

#RavennainComune #Ravenna #Genocidio #Palestina #Israele

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Genocide Continues – Israeli Strikes Intensify in Central Gaza Strip

Fonte: The Palestine Chronicle del 13 aprile 2024

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Usa, Austin al Congresso: “Non ci sono prove di un genocidio a Gaza”. Contestato dai manifestanti

Fonte: il Fatto Quotidiano del 9 aprile 2024

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