De Pascale informa il mondo che ha rilasciato un’intervista al prestigioso The New York Times. Morite d’invidia voi miseri mortali! Non lo dice proprio così, apertamente, ma sembra questo il sottotesto del post sulla sua pagina ufficiale fb in cui annuncia, un po’ enfaticamente: «Sono entusiasta di condividere con voi l’intervista rilasciata a Stanley Reed per il The New York Times in cui ho avuto l’opportunità di discutere di un tema cruciale per la nostra comunità». E visto che, in effetti, un po’ invidiose e invidiosi lo eravamo veramente, la lettura dell’articolo l’abbiamo fatta. Lo riportiamo per esteso, debitamente tradotto in italiano, sul nostro sito.
Anticipiamo che si avvicina a un redazionale, ossia a una pubblicità non dichiarata come tale, che pubblicizza le attività di ENI, mettendo in luce quanto sia tutt’oro quello che luccica. Senza nessuna controindicazione o dubbio, per capirci. Ne diamo qui di seguito giusto un assaggio:
«Il colosso italiano dell’energia, Eni, che ha una grande presenza a Ravenna, sta promuovendo un piano che secondo il sindaco potrebbe aiutare a preservare le industrie pesanti della regione: realizzare un collettore delle emissioni inquinanti di natura industriale. L’azienda propone di costruire una rete di condotte per spazzare via l’anidride carbonica dai siti produttivi e immagazzinarla nei vecchi pozzi di gas naturale. Vede questo processo, noto come cattura e stoccaggio del carbonio, come una nuova promettente linea di business che aiuterebbe il passaggio ad attività più pulite. Esistono altri progetti di cattura della CO2 in tutto il mondo, compresi gli Stati Uniti, spesso volti a ridurre le emissioni derivanti dalla produzione di petrolio e gas naturale. Descalzi [amministratore delegato di ENI] prevede di trasformare la cattura della CO2 in una società “satellite” che potrebbe attrarre altri investitori in cerca di profitti che, secondo le sue previsioni, potrebbero essere di circa il 10% all’anno. La transizione verso un’energia più pulita avrà successo solo se genererà imprese sostenibili, ha affermato Descalzi. “Altrimenti fallirà”, ha aggiunto. “Perché le risorse sono limitate e non si possono sprecare gli investimenti”».
Niente dallo scritto rivela che, in realtà, quella della cattura della CO2 (CCS) sia un’attività del tutto fallimentare sia sotto il profilo economico che sotto quello dell’effettività dei risultati. In tutto il mondo in effetti i tentativi di diffonderla aumentano solo perché serve alle grandi compagnie estrattiviste per raccontare che esiste una soluzione “magica” che consente loro di continuare a fare il loro lucroso business senza doversi preoccupare per le conseguenze climatiche. Purtroppo non è così e infatti, così come tanti aprono, altrettanti progetti di captazione chiudono. L’unico funzionante è in Islanda, dove però la particolarità del suolo islandese, un unicum per il pianeta Terra, lo rende un progetto non replicabile.
Niente viene detto nemmeno dei rischi di introdurre CO2 negli ex pozzi e delle conseguenze terrificanti di una eventuale fuoriuscita. Niente nemmeno sui tempi strettissimi per agire sul piano della riduzione effettiva delle emissioni, salvo andare incontro ad un aumento drastico permanente delle temperature, scioglimento dei ghiacci ecc.; tempi stretti che non sono assolutamente compatibili con quelli di una implementazione significativa del CCS. Eccetera eccetera. Il pezzo racconta una bella storiella tutta rose e fiori. Che però resta una storiella, non un articolo.
E, quasi ci dimenticavamo, la famosa intervista al Sindaco? Non sappiamo quante domande gli siano state poste nell’incontro avuto col giornalista: dobbiamo accontentarci della stringata sintesi riportata nel pezzo intitolato “Il piano per nascondere l’inquinamento in fondo al mare potrebbe far risparmiare denaro e posti di lavoro”. Evidentemente non si è ritenuto ci fosse molto di interessante nemmeno per un redazionale. Ecco comunque tutto quanto se ne ricava:
«“Abbiamo molta paura per il futuro delle nostre industrie”, ha affermato Michele De Pascale, sindaco di Ravenna. “Dobbiamo raggiungere questo obiettivo per ridurre le emissioni di CO2, ma vogliamo farlo senza distruggere le nostre industrie”, ha affermato».
Punto, punto e virgola, punto e punto e virgola, avrebbe concluso Totò!
[nell’immagine: ecco Ravenna per The New York Times! In una delle fotografie che illustra l’articolo (Maurizio Fiorino for The New York Times), la didascalia che accompagna l’infelice rappresentazione del retro porto recita, con poco guadagno per la Ravenna turistica: “Non lontano dai siti turistici di Ravenna si stende una vasta zona industriale”]
#RavennainComune #Ravenna #TheNewYorkTimes #CO2 #CCS #ENI
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Plan to Stash Pollution Beneath the Sea Could Save Money and Jobs.
The Italian energy giant Eni sees future profits from collecting carbon dioxide and pumping it into natural gas fields that have been exhausted
Il piano per nascondere l’inquinamento in fondo al mare potrebbe far risparmiare denaro e posti di lavoro
Il colosso italiano dell’energia Eni vede profitti futuri dalla raccolta dell’anidride carbonica e dal pompaggio nei giacimenti di gas naturale esauriti.
4 aprile 2024
Rinomata per le antiche chiese e la tomba di Dante, il poeta del XIV secolo, la città di Ravenna e i suoi dintorni lungo la costa adriatica italiana ospitano anche industrie tradizionali come quelle dell’acciaio e dei fertilizzanti. Gli stabilimenti produttivi sono di scarso interesse per i numerosi turisti che contribuiscono a sostenere l’economia della zona, ma questi siti danno lavoro a decine di migliaia di persone.
La domanda è: per quanto tempo? Le fabbriche, come altre in Europa, si trovano ad affrontare una crescente pressione da parte delle autorità per ridurre i gas climalteranti prodotti dalle loro attività. La preoccupazione è che l’aumento dei costi derivanti dalla regolamentazione le costringerà a chiudere.
“Abbiamo molta paura per il futuro delle nostre industrie”, ha affermato Michele De Pascale, sindaco di Ravenna. “Dobbiamo raggiungere questo obiettivo per ridurre le emissioni di CO2, ma vogliamo farlo senza distruggere le nostre industrie”, ha affermato.
Il colosso italiano dell’energia, Eni, che ha una grande presenza a Ravenna, sta promuovendo un piano che secondo il sindaco potrebbe aiutare a preservare le industrie pesanti della regione: realizzare un collettore delle emissioni inquinanti di natura industriale.
L’azienda propone di costruire una rete di condotte per spazzare via l’anidride carbonica dai siti produttivi e immagazzinarla nei vecchi pozzi di gas naturale. Vede questo processo, noto come cattura e stoccaggio della CO2, come una nuova promettente linea di business che aiuterebbe il passaggio ad attività più pulite.
Eni sta lavorando a piani simili altrove in Europa, in particolare in Gran Bretagna, dove molti giacimenti esauriti di petrolio e gas offrono grandi volumi di potenziale di stoccaggio. Esistono altri progetti di cattura della CO2 in tutto il mondo, compresi gli Stati Uniti, spesso volti a ridurre le emissioni derivanti dalla produzione di petrolio e gas naturale.
L’azienda vuole diversificare le vendite di petrolio e gas che sono state per lungo tempo il suo pilastro, ma si trova ad affrontare un futuro incerto a causa delle preoccupazioni relative al cambiamento climatico. I dirigenti di Eni calcolano che avranno un vantaggio perché potranno utilizzare le infrastrutture esistenti dell’azienda come pozzi e oleodotti e reimpiegarvi i dipendenti.
“È molto facile riqualificare o ridispiegare le persone”, ha affermato Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni.
Descalzi prevede di trasformare la cattura della CO2 in una società “satellite” che potrebbe attrarre altri investitori in cerca di profitti che, secondo le sue previsioni, potrebbero essere di circa il 10% all’anno.
La transizione verso un’energia più pulita avrà successo solo se genererà imprese sostenibili, ha affermato Descalzi. “Altrimenti fallirà”, ha aggiunto. “Perché le risorse sono limitate e non si possono sprecare gli investimenti”.
Eni ha circa 50 piattaforme petrolifere operative nel mare Adriatico al largo di Ravenna, al di là di lagune punteggiate di fenicotteri. Con il calo della produzione, Eni prevede di pompare anidride carbonica nei giacimenti di gas esauriti, che fungeranno da spugne giganti per la CO2.
L’azienda sta investendo circa 100 milioni di euro in modifiche progettate per rimuovere circa la metà dell’anidride carbonica emessa da un impianto di trattamento del gas nella vicina Casalborsetti. Il lavoro è in gran parte completato ed Eni prevede di iniziare presto a inviare l’anidride carbonica attraverso un nuovo pozzo in un giacimento di gas a circa 12 miglia dalla costa e 10.000 piedi sotto il fondale marino.
Se questa prima fase andrà bene, Eni passerà a un piano molto più ampio, dal costo iniziale di 1,5 miliardi di euro, che collegherà fabbriche e altri grandi fonti di produzione di CO2 in Italia e forse anche in Francia, per raccogliere fino a 16 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno che verrebbe incapsulata.
Proprio come gli esperti dell’industria petrolifera utilizzano potenti computer che trasformano i dati in immagini tridimensionali per capire come estrarre in modo efficiente il gas dal suolo, si stanno ora utilizzando tecniche simili per una modellizzazione di come iniettare in modo sicuro l’anidride carbonica nella roccia porosa.
Il lancio di progetti di cattura della CO2, tuttavia, si sta rivelando faticoso, un’indicazione di quanto possa essere impegnativa la transizione energetica mentre i paesi passano da alcune delle aree più facili da ripulire, come l’energia elettrica, a settori più difficili come il cemento e l’acciaio.
Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, un’organizzazione intergovernativa, la cattura della CO2 deve rappresentare l’8% delle riduzioni cumulative delle emissioni se si vuole che il mondo raggiunga lo zero netto entro il 2050. Tuttavia, per restare sulla buona strada, il volume di anidride carbonica immagazzinata deve aumentare di venti volte entro il 2030, fino a raggiungere un miliardo di tonnellate all’anno: “un’impresa molto ambiziosa”, ha affermato Carl Greenfield, analista dell’agenzia.
Chi inquina fatica a valutare se valga la pena spendere decine o addirittura centinaia di milioni per ammodernare i propri impianti. “Non hanno nemmeno le competenze per capire quale sia la tecnologia migliore”, ha affermato Guido Brusco, direttore operativo delle risorse naturali di Eni.
Ma la pressione dei clienti e le tasse stanno spingendo le aziende a considerare seriamente i progetti di cattura della CO2.
Alcuni analisti prevedono che la carbon tax dell’Unione Europea salirà ben al di sopra dei 100 euro a tonnellata nei prossimi anni. Proposte come quella di Eni, che secondo Brusco costerà in media meno di 80 euro a tonnellata, diventeranno così più facili da vendere.
Andrea Ramonda, amministratore delegato di Herambiente, che brucia i rifiuti urbani per produrre energia, sta valutando i pro e i contro. Secondo lui, costruire quella che lui chiama una “lavatrice dei gas” nello stabilimento potrebbe comportare il raddoppio dei 110 euro per tonnellata che ora costa ai clienti bruciare i loro rifiuti.
“Dobbiamo essere molto prudenti” nella gestione del denaro dei cittadini, ha affermato.
Costi elevati e altri ostacoli fanno sì che questi progetti richiedano il sostegno del governo, almeno nelle fasi iniziali.
“Alla fine, è necessario avere una sorta di sostegno da parte del governo”, ha affermato Bassam Fattouh, direttore dell’Oxford Institute for Energy Studies, un organismo di ricerca. “Altrimenti molti di questi progetti non verranno realizzati”.
Il governo britannico sostiene da anni il lavoro dell’Eni, compreso un piano per ripulire le emissioni intorno a Liverpool e Manchester, nel nord-ovest dell’Inghilterra. Nell’ambito del progetto, noto come HyNet North West, Eni costruirà e gestirà un gasdotto di 40 miglia per raccogliere l’anidride carbonica dalle fabbriche e da altri fonti nell’area e pompare il gas nei pozzi sotto la baia di Liverpool. L’Eni afferma di aver raggiunto un accordo preliminare con il governo britannico per ricevere un profitto garantito.
“Stiamo sostenendo questo settore con 20 miliardi di sterline”, ha affermato Martin Callanan, ministro britannico per l’efficienza energetica e la finanza verde, in una dichiarazione inviata via email.
I negoziati con il governo italiano sono meno avanzati, anche se i dirigenti di Eni sperano che l’Italia copi l’approccio britannico. Vannia Gava, viceministro italiano dell’Energia, ha recentemente visitato il progetto di Ravenna e ha dichiarato in seguito: “Questa è un’enorme opportunità per l’Italia”.
Eni e altri operatori di sistemi di cattura della CO2 stanno prendendo di mira i grandi produttori come gli impianti di cemento e fertilizzanti che secondo gli analisti non hanno opzioni per ripulire le loro attività.
Heidelberg Materials, ad esempio, gestisce un grande cementificio a Padeswood nel Galles che vuole collegare alla rete HyNet. Simon Willis, amministratore delegato della divisione britannica dell’azienda, ha affermato che circa il 60% delle emissioni dell’impianto provengono da una reazione chimica nel processo di produzione del cemento.
“Non possiamo fare altro che raccoglierlo e conservarlo”, ha detto.
Persino alcuni gruppi ambientalisti sono propensi a garantire un tiepido via libera alla cattura della CO2 purché non sia un mezzo per prolungare l’uso di combustibili fossili.
“Se il rilascio di CO2 nell’atmosfera è altrimenti inevitabile da parte di un impianto industriale, allora è meglio catturarlo”, ha affermato Doug Parr, capo scienziato di Greenpeace UK.
di Stanley Reed