Sono passati 45 anni dal 7 aprile 1979, 45 lunghi anni in cui il mondo si è rovesciato come un calzino per rimanere, almeno in Italia, comunque un calzino, rotto e spaiato. Sono passati 45 anni da quel delirio del teorema Calogero, che indicava Toni Negri come l’ispiratore di 17 omicidi, che faceva arrestare decine di persone ed altrettante costringeva all’esilio sulla base di un teorema, appunto, che faceva coincidere l’Autonomia Operaia con le Brigate Rosse. Con qualche ottimismo Sergio Bologna, uno dei maestri dell’operaismo ed uno dei maggiori esperti di logistica del nostro Paese, ha dichiarato che: «L’arresto di Toni Negri e di molti suoi compagni il 7 aprile 1979 è stato il primo atto di una persecuzione giudiziaria e di un linciaggio mediatico che non aveva precedenti nella storia d’Italia dal 1945 ad allora e non ha avuto eguali nei trent’anni successivi». L’ottimismo deriva dal fatto che anche altri linciaggi mediatici ed altre persecuzioni giudiziarie hanno insozzato e continuano ad insozzare quella che continua a cercare di essere una democrazia. Perché parlarne ancora oggi, al di là dell’anniversario, e senza per questo tentare nemmeno di sfuggita alcuna ricostruzione storica di quel periodo, di cosa lo aveva fatto nascere e di cosa ne sarebbe seguito? Per due parole che ritornano con forza in questi giorni e che ci riportano a quelli così lontani. Apparentemente. Forse.
Una è la repressione. Perché questa fu la retata del 7 aprile ed i processi che ne seguirono, le vite distrutte ed anche la pressoché contemporanea sconfitta del movimento operaio che pure l’anno immediatamente successivo avrebbe visto Enrico Berlinguer davanti ai cancelli di Mirafiori avallare l’occupazione della fabbrica da parte dei lavoratori. Di acqua, come si suol dire, sotto i ponti ne è passata tanta ma la repressione è in buona salute, anche se praticata in forme diverse, ma sempre attenta all’essenziale: selezionare gli anelli da colpire nella catena per riuscire a spezzarla. Venerdì, a Ravenna, si è svolto un corteo preceduto da una manifestazione. Partecipato per lo più da ragazze e ragazzi che denunciavano la repressione dilagante anche nell’apparentemente bonario e provinciale capoluogo. Un esito positivo niente affatto scontato con la presenza fra i manifestanti del ragazzo al centro dell’episodio che ha fatto da detonatore alla protesta. Ne abbiamo già parlato e non ne ripetiamo i dettagli. Restano le brutte immagini, di una repressione violenta, che parlano da sole. Da sole anche perché continuano a non essere diffuse pubblicamente le altre immagini che, secondo il vice Sindaco, supporterebbero la ragionevolezza dell’intervento degli 8 (otto!) agenti motorizzati della polizia municipale per far cessare la musica nella zona del silenzio… E sarà forse un caso che la zona del silenzio sia stata istituita dal fascismo? Intanto si moltiplicano gli interventi per riportare al silenzio le proteste. Dovunque. Per qualunque motivo. Si tratti degli studenti di Pisa e Firenze che contestano il sostegno del Governo di destra al genocidio di palestinesi operato da Israele. O dei manifestanti di Bologna che difendono assieme agli alberi del Don Bosco un’altra idea di Città da quella incarnata dall’Amministrazione cittadina piddina. Ravenna in Comune si è schierata apertamente partecipando alla manifestazione ravennate. Restiamo coerenti con quanto più volte affermato sull’emergenza rappresentata da: «misure repressive che si fanno di giorno in giorno più pesanti nei confronti di chi non si astiene dalla critica al potere. L’altro ieri era stato il turno di chi contestava il corto circuito democratico nei giorni in cui si faceva passare di tutto come contrasto al Covid, ieri è toccato a chi si permetteva di criticare le decisioni del potere nei giorni dell’alluvione ed oggi tocca a chi vuole ricordare che il potere ha dato il via libera alla mattanza dei palestinesi a Gaza e dintorni».
L’altra è la democrazia. Perché era questa sotto attacco quando 45 anni fa si scatenò la repressione che voleva colpire il lavoro, il lavoro che si ribella e alza la testa. La condizione perché nel nostro Paese ci sia democrazia passa attraverso la dignità del lavoro, delle lavoratrici e dei lavoratori. Ma anche attraverso la tutela dei luoghi di lavoro. Anche della memoria di quelli passati. Che è appunto quella che si vuole cancellare in questi giorni con la demolizione delle Torri Hamon, unica sopravvivenza dello stabilimento SAROM. La loro demolizione è l’ennesima riprova della crisi della democrazia. Perché, a cosa serve una democrazia, se non a prendere delle decisioni politiche in forma, appunto, democratica dopo un dibattito informato? E tutto questo si è negato con la comunicazione della distruzione, senza spazio alcuno per consentire una discussione politica su quanto stava per accadere, con conseguenze definitive ed irreparabili. Il Sindaco ha detto: «Ho immediatamente dato comunicazione a tutta la comunità perché giustamente si potesse aprire un dibattito pubblico fra istituzioni e cittadini». Dopo la smentita di ENI, che ha comprensibilmente negato di essersi mossa all’improvviso ed anzi ribadendo di aver concordato ogni azione con l’Amministrazione Comunale, come Ravenna in Comune gli abbiamo chiesto: «E quale dibattito poteva mai pensare si svolgesse, signor Sindaco, con la pinza elettromeccanica entrata immediatamente in azione a smantellare le torri pezzo a pezzo?». E di che democrazia parliamo quando vediamo negata la possibilità stessa di assumere decisioni, perfino in un contesto in cui tutti gli attori sono pubblici o controllati dal pubblico? Soggetti che dovrebbero avere, come prioritario, il rispetto della libera espressione della volontà, attraverso la democrazia, ed invece agiscono proprio per negarla. Con l’Ente Porto che pretende la demolizione delle Torri anticipatamente all’acquisto dei terreni per non produrre l’automatica acquisizione pubblica delle Torri stesse. Eliminare la possibilità stessa di decidere cosa farne eliminandole fisicamente. In spregio totale alla possibilità di un controllo democratico della gestione del territorio. Per la tutela delle Torri Hamon e della democrazia. Ravenna in Comune invita la cittadinanza alla manifestazione di oggi, domenica 7 aprile, alle ore 16.00 in testata Darsena a Ravenna.
[nell’immagine: i luoghi della SAROM negli anni “50 del secolo scorso (a sx) ed oggi (a dx)]
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