Lunedì avrebbe dovuto esserci il nono attracco di una nave di salvataggio nel porto di Ravenna. Millecinquecento chilometri di viaggio di troppo per chi già veniva da molto lontano per scampare a situazioni ritenute peggiori del rischio di morire durante il tragitto. E c’è proprio voluto il morto per ricondurre a buon senso una politica improntata al sadismo. La morte di un ragazzo di soli diciassette anni ha costretto il ministero a fare un sofferto dietro-front ed a consentire alla Sea Watch, la nave dell’omonima ONG, di attraccare a Pozzallo, in Sicilia, e di sbarcarvi vivi e morti.
Prima di ottenere il via libera a fermarsi in un porto più vicino rispetto a quello assegnato di Ravenna, l’ONG aveva dichiarato: «Non c’è bisogno di spiegare cosa significa uno sforzo fisico e mentale un viaggio di 7 giorni attraverso il Mediterraneo per tutti i sopravvissuti a bordo. Più persone soffrono di disidratazione e ustioni da carburante, 4 dei nostri ospiti sono minori non accompagnati, e il corpo del ragazzo deceduto è ancora a bordo. Nulla di questa situazione è necessario, tutto in questa situazione è calcolo politico. Autorità europee – rapide ed efficaci quando si tratta di bloccare i salvataggi civili, ma inattive quando si tratta di vita e di morte nel Mediterraneo».
Quando ancora la nave e il suo carico sembravano destinati al lunghissimo viaggio fino a Ravenna, bene aveva fatto il Sindaco a dire: «Il Comune di Ravenna è a completa disposizione per garantire le esequie e per il possibile rimpatrio della salma, lo sentiamo come un dovere nei confronti del giovane e di tutte le vittime che, nell’ultima parte di un viaggio già atroce, si scontrano con scelte politiche disumane, con rimpalli di responsabilità che ricadono su vite disperate molto spesso di donne, bambini, ragazzi».
Se la Sea Watch fosse arrivata fino a Ravenna si era già deciso di approcciare lo sbarco ricorrendo a soluzioni approntate appositamente per l’occasione. Come tutte le altre volte. A volte le navi vengono fatte attraccare a banchine commerciali, sbarcando le persone come se fossero merci, tra sacconi e rinfuse. Altre volte alla Fabbrica Vecchia. Altre ancora al molo crociere. Ed i controlli medici avvengono un po’ qua e un po’ là. Raramente sulla banchina deputata all’arrivo di passeggeri; più spesso al Pala de André; ma anche al circolo Canottieri alla Standiana! Ed anche per i trasporti si va alla bisogna: a volte i mezzi della Croce Rossa ed altri invece dei pullman. Dunque il vanto del Sindaco di «accogliere e gestire con professionalità e massima attenzione gli sbarchi» va preso con le molle.
Ripetiamo dunque quanto già detto dopo l’arrivo della Geo Barents lo scorso 10 febbraio: «Ravenna in Comune condivide pienamente le critiche mosse a questo Governo, che peraltro andrebbero riferite anche a quelli precedenti: tra centrodestra e centrosinistra non salviamo nessuno. Torniamo però a domandare che Ravenna prenda atto di essere un porto di arrivo cui vengono dirottate le navi umanitarie. Dopo 8 arrivi e 868 persone sbarcate è tempo che Ravenna si strutturi per una gestione organizzata che non debba far punto a capo ogni volta. La nostra città ha competenze limitate al momento dell’arrivo ma ha il dovere di non aggravare quello che è già un fardello pesantissimo per chi sbarca».
[Nella foto: i superstiti salvati dalla Sea Watch in una foto tratta dalla pagina fb dell’ONG]
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Mille polemiche. La rabbia del sindaco. Poi la nave cambia rotta e attracca in Sicilia