Una delle cose su cui più conta la politica politicante, quella che campa di rilanci giornalistici di commenti sui social spacciati come verità indiscutibili, è la scarsa memoria di quei “tossicodipendenti” a cui la dose quotidiana di fake news viene abitualmente propinata. Vale a dire che gioca tutto sul fatto che nessuno si ricorderà di quanto detto una settimana, un mese o un anno prima. Con Ravenna in Comune, però, hanno sbagliato i conti.
Ieri è stata diffusa la notizia della firma da parte di AdSP, ossia dell’Autorità Portuale ravennate, e di FRSU Italia, cioè la società veicolo di SNAM, di un accordo per cui sarà la prima a realizzare una diga frangiflutti per conto della seconda. Si tratta di un’infrastruttura considerata indispensabile dal progetto di rigassificazione, in continua modificazione, «per proteggere l’impianto e le navi metaniere da potenziali mareggiate». Così recita il comunicato di AdSP, che precisa che si tratta di «opera sostenuta da Cassa Depositi e Prestiti», vale a dire da tutti noi, e che «sarà lunga complessivamente circa 900 metri e larga circa 23,5, che in corrispondenza delle due testate si estendono per circa 38 m». Quanto al rigassificatore, aggiunge il comunicato, «sarà operativo nel corso del 2025».
E allora, chi si ricorda della primavera 2022, quando il de Pascale Sindaco, ribaltando con piglio autoritario e senza consultare nessuno la decisione assunta dall’Amministrazione Matteucci, apriva a quel rigassificatore che la comunità ravennate aveva respinto già nel 2008? «La situazione è drammatica. Abbiamo dato sicuramente disponibilità per l’installazione di un rigassificatore al largo delle nostre coste. Abbiamo le condizioni per farlo». Quali condizioni? «Credo sia oggettivo che rispetto alla eventuale necessità di collocazione di un rigassificatore off-shore nessun altro sito in Italia avrebbe le condizioni tecnico logistiche e le competenze di Ravenna». Ci pensava poi l’Ente Porto a certificare la correttezza delle ineguagliabili condizioni tecnico logistiche di Ravenna. Dopo quelle di de Pascale, infatti, nella stessa primavera 2022 i giornali citavano le rassicurazioni di Rossi: «Siamo disponibili, il terminale del nostro porto è adatto all’installazione di questa struttura perché abbiamo già le tubature adeguate. Il gas che arriva in Italia da fuori potrebbe essere stoccato nelle piattaforme non attive». Di seguito salivano sul carro tanti politici ma anche tanti confindustriali, grandi e piccoli, e soprattutto il grande circo delle mosche cocchiere. Ai primi di maggio 2022 i modi e i tempi di quello che veniva presentato come un progetto già ben definito erano dati per sicuri: «A Ravenna esiste già un terminale marino e questo permette tempi di attivazione della piattaforma di stoccaggio e rigassificazione inferiori ai 12 mesi, rispetto ai tre anni altrimenti necessari per la costruzione di una nuova struttura altrove. Inoltre, il progetto prevede il gioco di squadra fra Governo, Regione Emilia-Romagna, Comune di Ravenna, Autorità portuale e l’intero comparto ravennate, assieme a Snam, che gestisce la rete di distribuzione del gas, e Saipem. Il progetto si svilupperebbe quindi attorno all’ormeggio esistente, oggi in concessione al gruppo privato Pir, in un distretto completamente vocato all’energia, in grado di gestire al meglio le verifiche e le implementazioni necessarie, oltre agli investimenti che serviranno». Si era creato il contesto e la spinta per tirare la volata a Bonaccini che così poteva pontificare il 3 maggio 2022: «Domani vedrò il ministro Cingolani e annuncio che l’Emilia-Romagna si candida a essere uno dei due hub nazionali sul tema del gas per l’arrivo di una delle più grandi navi di Gnl e per fare un nuovo rigassificatore in un Paese che ha perso qualche anno fa una sfida che invece andava vinta e che ora dobbiamo recuperare».
Ed ecco così il Presidente della Regione investito da Draghi dei galloni di commissario il 6 giugno 2022. In quattro mesi veniva chiuso un procedimento che avrebbe normalmente richiesto verifiche attente molto più lunghe, saltando a piè pari passaggi essenziali come quello sui grandi rischi industriali (Seveso) e la valutazione di impatto ambientale (VIA). Il 7 novembre 2022 Bonaccini firmava il decreto di autorizzazione.
Sembra un’era fa, invece dalle prime notizie di stampa non sono passati nemmeno due anni. Come Ravenna in Comune denunciammo subito la rappresentazione scorretta della realtà spacciata come autentica. E piano piano la verità è venuta a galla. Prima sono emersi gli errori progettuali grazie alle molte denunce e segnalazioni, tra cui quelle estremamente puntuali dell’Ing. Riccardo Merendi. Poi si è dovuto riconoscere che l’intero sistema di tubazioni esistente era inadeguato e andava rifatto, aggiungendosi peraltro al rifacimento già in corso dei gasdotti attorno a Ravenna e alla famigerata Linea Adriatica pronta ad attraversare (anche) il nostro territorio. Poi è emersa l’inadeguatezza del cosiddetto Ragno, nonostante fosse stata proprio l’ex struttura di ENEL ad aver portato a mettere l’impianto ad un terzo della distanza considerata sicura per Livorno. E poi si è trattato di provvedere al rischio mareggiate con un chilometro di diga nuova di zecca in mezzo al mare, senza che alcuno si sia degnato di informare sulle conseguenze di questa nel gioco delle correnti e dei movimenti della linea costiera. Nel frattempo sono lievitati i tempi per l’entrata in funzione che, lo ricordiamo, doveva sopperire a presunte carenze dovute alla guerra in Ucraina. I tempi “inferiori ai 12 mesi” dati per certi a maggio 2022, che piazzavano invalicabili paletti entro il “primo semestre del 2023″, sono diventati “il terzo trimestre 2024”, prima, ed “entro il 2025” ora. Ma la conclusione dell’indispensabile diga non è prevista prima della “fine del 2026”. Dunque… E poi sono lievitati anche i costi, che ad oggi hanno superato il miliardo di euro, senza tener conto delle opere di smantellamento. Già, perché di opere da smantellare dopo averle realizzate apposta ce ne saranno parecchie: 40 chilometri di gasdotto tra terra e acqua, un chilometro di calcestruzzo in mezzo al mare, la centrale di Punta Marina e poi, naturalmente, il ragno e l’originaria tubazione già ora da dismettere…
L’allora ministro Cingolani, in un’informativa alla Camera del 22 marzo 2022, dichiarava che le strutture di rigassificazione galleggianti «Hanno il vantaggio che possono essere utilizzate finché servono e tolte in qualsiasi momento. Non sono infrastrutture permanenti». Ravenna in Comune già il 25 giugno 2022 (“Un rigassificatore galleggiante sulle fake news”) aveva denunciato le tante falsità «che si sono sparate in questi mesi: dalla soluzione di emergenza che durerà solo qualche anno, alla urgenza di scaldarci il prossimo inverno, all’assenza di pericoli, alla transizione verso le rinnovabili. Tutte fake news», a partire «dall’affermazione per cui a Ravenna sarebbe bastato attaccare una manichetta ed aprire il rubinetto». Il fatto che ancora una volta avevamo ragione noi ci impone di continuare nella denuncia della grande truffa della rigassificazione e della classe politica e padronale che l’ha fortemente voluta.
[nell’immagine: un momento del corteo contro il rigassificatore durante la manifestazione nazionale del 6 maggio 2023 a Ravenna]
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Ravenna. Accordo per realizzare la diga frangiflutti del progetto rigassificatore