«Non è tempo di fare regali ai palestinesi». Questo è stato il commento ufficialmente rilasciato, tramite portavoce, dal Governo Netanyahu in risposta ad un piano statunitense per la nascita di uno Stato palestinese. Gli ultimi dati (aggiornati al 16 febbraio) diffusi da Al Jazeera parlano di un numero molto vicino ai 30mila morti (29.170 persone decedute) tra i palestinesi di Gaza e della Cisgiordania. Superata la soglia di 73mila feriti. E poi ci sono ancora 7mila persone che risultano disperse da aggiungere a queste cifre.
Non è una guerra. L’Esercito israeliano e i coloni israeliani compiono la loro mattanza prevalentemente sui civili. Il 70 per cento delle vittime è costituito da donne e bambini. Del resto quasi la metà della popolazione di Gaza è costituita da minori! Sono bersagli abituali le abitazioni civili (la metà delle case di Gaza è stata distrutta o danneggiata in modo tale da renderla inabitabile), gli ospedali (l’ultimo in ordine di tempo è stato l’Ospedale Nasser di Khan Younis), le ambulanze (123 quelle colpite), le scuole (quasi in 400 sono state prese di mira), chiese e moschee (267 quelle distrutte). Un obiettivo che viene costantemente centrato è poi quello dei giornalisti: risulta un centinaio il numero degli assassinati.
Chi compie questa strage si nasconde dietro la Shoah, dietro l’attacco palestinese del 7 ottobre (1.139 morti israeliani), dietro il diritto di difesa, dietro l’Occidente, dietro qualunque cosa. Ma nulla può giustificare il massacro in atto. Se si tratta di spiegarlo, invece, ci si riesce benissimo. Il genocidio è tirato in ballo quando è messa in campo la volontà di conseguire la sistematica distruzione di una popolazione. E a Gaza è in atto il tentativo di eliminare dal territorio ogni presenza palestinese. Si sta compiendo un genocidio, dunque. Lo si vuol lasciare portare a termine?
Tra le tante storie che non si raccontano nei telegiornali italiani, che invece non mancano mai di iniziare con un riferimento al 7 ottobre, c’è la storia di Hind. Hind Rajab, una bambina palestinese di 6 anni, il 29 gennaio scorso ha chiamato la Palestine Red Crescent Society, il corrispettivo della Croce Rossa, implorando: «Sono così spaventata, per favore venite. Per favore, chiamate qualcuno che venga a prendermi». L’operatrice della Mezzaluna Rossa ha parlato al telefono tre ore con la bambina nel tentativo di tranquillizzarla mentre veniva organizzato il soccorso per raggiungerla ai sobborghi di Tal al-Hawa, a sud di Gaza City. Era l’unica superstite in un’auto civile deliberatamente colpita dagli israeliani. Solo dopo aver ottenuto l’assenso al soccorso da parte degli israeliani è stata inviata l’ambulanza. Ci sono voluti 12 giorni perché si potesse accertare cosa ne era stato dopo che si erano persi tutti i contatti. Il 10 febbraio l’auto e l’ambulanza sono state raggiunte e ritrovate crivellate di proiettili. Nessuno degli occupanti dell’auto, compresa Hind, e nessuno dell’equipaggio dell’ambulanza inviata per il soccorso è sopravvissuto al deliberato assassinio.
La popolazione palestinese non chiede regali. Pretende il riconoscimento del proprio diritto a vivere in libertà e dignità. Chi accampa scuse per negarglielo è colpevole del massacro al pari degli assassini dell’Esercito israeliano, del Governo di quel Paese e dei coloni.
[nella foto: Hind Rajab]
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Body of 6-year-old killed in ‘deliberate’ Israeli fire found after 12 days
Relatives find body of Hind Rajab who had begged rescuers to send help after being trapped by Israeli military fire