Sono stati appena diffusi i dati relativi alle movimentazioni portuali nel 2023. A livello di sistema porto i valori del traffico merci sono risultati in calo, confermando il trend negativo visto durante tutto l’anno. Con 25.503.131 tonnellate il segno meno sfiora il 7% rispetto allo scorso anno (precisamente -6,9% con 27.389.886 tonnellate) e va molto male anche rispetto al 2021 (27.100.051 tonnellate). Bisogna tornare al 2020 e ai fermi dovuti al Covid per tornare al segno più nel confronto (22.407.481). Qui però ci vogliamo soffermare sui dati del traffico container che scontano un risultato negativo apparentemente migliore (meno peggio) della media merci. Con quasi 217mila TEUs movimentati (un container da 20 piedi ossia 6,1 m corrisponde a 1 teu, un container da 40 piedi ossia 12,2 m corrisponde a 2 teu) il calo sul 2022 si ferma al -5%. Il gap rispetto all’anno precedente si riduce ulteriormente guardando al peso delle merci trasportate nei contenitori (-2,9%), anche se poi si precipita ad una perdita secca di oltre il 10% rispetto al numero complessivo di portacontainer arrivate in porto.
Il punto, però, è un altro. Sono anni che i TEUs movimentati non si allontanano di molto dai 200mila TEUs. Erano 218.138 nel 2019, 194.868 nel 2020, 212.926 nel 2021, 228.435 nel 2022 e 216.981 nel 2023. Per trovare valori superiori bisogna tornare al 2015 in cui si raggiunse il record, ineguagliato, di 244.813 TEUs. Si tratta comunque di valori molto inferiori alla capacità complessiva (teorica) che sarebbero in grado di garantire i due principali operatori portuali ravennati del settore che dichiarano 380.000 teus l’anno, Terminal Container Ravenna, e 100.000 container l’anno, Setramar. Siamo fermi dunque da tempo ad una movimentazione che, nel settore, non riesce a saturare la metà della capacità offerta dal nostro scalo.
E i porti italiani alternativi del nord Adriatico? Sia Venezia che Trieste hanno subito un calo nei container movimentati lo scorso anno rispetto al precedente. Si tratta però di ben altri numeri rispetto alle statistiche ravennati. Nel 2023, infatti, Venezia ha movimentato 491.118 TEUs (contro i 533.991 del 2022) e Trieste 764.076 TEUs (contro gli 877.805 del 2022). Un altro pianeta dunque. Eppure, meno di 30 anni fa, nel 1995 Ravenna con 193.374 TEUs sviluppava una maggiore movimentazione di traffico container sia rispetto a Venezia, con 127.878 TEUs, che a Trieste, con 150.013 TEUs. Se ne ricava che, mentre il porto di Ravenna non ha approfittato dei maggiori volumi di merci che, nell’ultimo trentennio, si sono indirizzati verso l’Alto Adriatico, rimanendo sostanzialmente fermo al palo, questi maggiori volumi sono stati tutti movimentati dai porti italiani alternativi a Ravenna. Senza contare l’altro lato del mare, dove il porto croato di Rijeka ha superato nel 2023 i 400mila TEUs e quello sloveno di Koper il milione di TEUs.
La Presidenza TCR, che per equilibri politici consolidati interni al centrosinistra ravennate è nella disponibilità del PRI, che vi ha designato l’ex vicesindaco Mingozzi, ha recentemente dichiarato: «Circa 200 milioni di investimento e cambia radicalmente il volto del terminal container che si trasferirà in penisola Trattaroli nel 2026/2027 con fondali a 14,50 metri, un km di nuova banchina, nuovi binari, nuove gru, ampie aree logistiche a disposizione». Il rappresentante dell’Agenzia Seamond, specializzata in container, quattro anni fa, con movimentazioni pressappoco uguali e situazione internazionale parimenti problematica, puntualizzava: «Il traffico container dipende moltissimo dalla situazione internazionale e, per inciso, questo non è il migliore dei momenti. Non credo serva un nuovo terminal container, per il traffico che c’è in questo momento basta l’attuale area TCR che lavora a metà della sua potenzialità. Il nostro rimarrà un porto per i “feeder”», ossia le navi di dimensioni medio-piccole. Ancora nel 2017, del resto, la stessa vicepresidente di TCR, Cecilia Battistello, presidente di quel gruppo Contship che è in società con SAPIR in TCR e parte di Eurokai-Eurogate, leader europeo nella logistica dei container, era stata tassativa: «Il Gruppo Contship in passato ha già dichiarato in modo molto chiaro la sua posizione in merito al progetto di sviluppo del porto. Contship, con il suo azionista di riferimento Eurokai, ha richiesto la condizione che ci siano almeno 14,5 m. di pescaggio in modo da poter attrarre navi da 8000/8500 teus. Diversamente, ogni altra ipotesi di sviluppo si trasformerà in uno spreco di risorse e un’inutile perdita di tempo». Giova ricordare che 14,5 metri di pescaggio non corrispondono ai 14,50 metri di fondali decantati da Mingozzi. Il pescaggio riguarda la nave, per cui per consentire l’accesso ad un naviglio che “pesca” sino a 14,5 metri occorre un fondale posto almeno a -15,5 metri. Oggi fuori dalle dighe ci sono circa 12 metri di profondità ed il progettato nuovo terminal potrebbe accogliere al massimo navi da 4.500 teus. Che senso ha un chilometro di nuove banchine destinate ad un nuovo terminal container solo per confermare navi e quantitativi odierni? Non sarà che servono solo a valorizzare l’incolto retrostante di proprietà Sapir? Vale la pena intasare ogni spazio disponibile (e non) per stiparlo dei fanghi portuali necessari ad un nuovo approfondimento che non trova riscontro fuori dalle dighe? C’è qualcuno della maggioranza, che ne capisca almeno un po’ di portualità, in grado di rispondere? Astenersi chi parla di antifascismo dei fondali, grazie.
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Bilancio in rosso. Guerre e alluvione: per il porto in archivio un 2023 negativo
Fonte: il Resto del Carlino del 13 febbraio 2024
“Il Terminal container cambierà volto: sarà così”