Il messaggio dei medici del servizio di continuità assistenziale (Guardia Medica) è stato dato: forte e chiaro. E deve aver dato fastidio agli smantellatori della sanità pubblica che infatti hanno reagito per bocca della direzione dell’Ausl Romagna. Reazione piccata, velenosa e chiaramente volta a demonizzare “l’avversario”. Che sono poi i lavoratori che cercano di far funzionare la sanità pubblica nonostante i pluridecennali sforzi del centrosinistra locale per smantellarla a vantaggio della sanità privata.
L’accusa coraggiosamente sottoscritta con nome e cognome da ben 130 medici era ben chiara: si vuol far passare per riorganizzazione del servizio di Guardia Medica “l’eutanasia del Servizio”. È la parola dei medici che ci lavorano: “Non riusciremo più a garantire, con la nuova riorganizzazione e smantellamento proposto dall’AUSL, la corretta presa in carico dei pazienti in maniera tempestiva ed efficace”. E anche l’impegno ad andare fino in fondo: “la maggior parte dei circa 160 medici che lavorano per la Continuità Assistenziale della Romagna sarà costretta a dare le dimissioni”.
La risposta, come dicevamo, invece di aprire ad un ripensamento, chiude le porte al dialogo e cerca di squalificare i professionisti del settore accusandoli, con tipica metodica padronale, di essere loro a non aver a cuore il servizio e, quindi, la cura dei cittadini che ne abbisognano. Testuali parole della direzione: “tanto per essere chiari, abbiamo individuato alcune magagne che c’erano nel precedente sistema, perché c’era gente che non rispondeva al telefono. Non so se mi spiego! Io ho segnalato questo alla Procura e all’Ordine dei medici. Capisco che alcuni preferiscano continuare così, però non è che possono perseguire il loro obiettivo raccontando delle cose che non sono corrispondenti alla realtà dei fatti”. La stessa direzione afferma trattarsi di “alcuni casi particolari” e non “un comportamento generalizzato”, peraltro non attuale (“risale a circa un mese fa”), eppure trova modo di esplicitare tutto ciò nell’ambito dell’attuale confronto sindacale.
Analoga durezza e stile “padronale”, del resto, erano stati messi in mostra sul tema della cosiddetta “pronta reperibilità” che si voleva tradurre nella “spremitura” degli infermieri che erano stati costretti a replicare: «Si chiede agli infermieri di coprire turni che l’Ausl Romagna non sa come gestire a causa della carenza di personale. Chi la mattina smonterà dal turno di notte potrà diventare reperibile già a partire dalle 16 del pomeriggio. E non per forza nel suo abituale reparto: la logica del dipartimento fa sì che un infermiere che abitualmente lavora ad esempio a Brisighella, potrebbe essere chiamato a Ravenna o Lugo, anche per un turno di notte».
E lo stesso “stile” era stato adottato con la “riorganizzazione” delle automediche. Eccetera eccetera. Quello che cercano di occultare, prendendosela con gli operatori della sanità, è il danno che con le loro scelte pseudo-organizzative hanno arrecato ad una sanità di eccellenza. Parlano da soli lo sfacelo del nostro Pronto Soccorso, le lunghe liste di attesa per visite ed esami, la chiusura di ginecologia come reparto autonomo a Ravenna, la chiusura dell’unità di terapia intensiva coronarica a Faenza e quella del punto nascita a Lugo, eccetera eccetera.
Ravenna in Comune manifesta solidarietà e vicinanza al personale medico, infermieristico e sanitario tutto che non si arrende agli attacchi portati avanti dalla politica che governa a Ravenna, a Bologna e a Roma. Si raccontano diversi eppure tendono allo stesso obiettivo: sottrarre al sistema pubblico le risorse indispensabili a far funzionare il sistema sanitario nazionale al solo scopo di avvantaggiare il privato. Oggi più che mai la sanità pubblica si regge solo sulle spalle delle lavoratrici e dei lavoratori. Fino a quando?
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Guardia medica non risponde al telefono, l’Ausl Romagna segnala il caso in Procura