Oggi pomeriggio, 23 dicembre, dalle 17.00, si terrà in piazza XX Settembre a Ravenna un presidio per la pace. Ravenna in Comune parteciperà, come sempre ha fatto in tutte le iniziative coerenti con la promozione della pace. Che sono poi quelle, come in questo caso, in cui è al centro della manifestazione l’obiettivo di un cessate il fuoco a tutela della popolazione civile, non l’invio di armi per alimentare il conflitto. La nota di “Insieme per la pace”, che l’organizza, ricorda giustamente che “Dopo la fragile tregua di 7 giorni per lo scambio di ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi, sono ripresi i bombardamenti su tutta la Striscia di Gaza. Gli attacchi israeliani colpiscono indiscriminatamente ospedali, ambulanze, chiese, moschee, scuole, università, campi profughi, interi quartieri, infrastrutture e mercati”.
Ci riconosciamo pertanto nella richiesta di “un cessate il fuoco permanente, la liberazione degli ostaggi, la fine della complicità dell’Occidente e una vera soluzione politica a partire dalla fine dell’occupazione militare israeliana, del regime di colonizzazione e di apartheid. Non potrà esserci sicurezza per i palestinesi, gli israeliani e tutti noi, senza giustizia, eguaglianza, diritti, libertà. Sosteniamo tutte quelle organizzazioni della società civile israeliana e palestinese che da anni lavorano per la coesistenza pacifica dei due popoli”.
Come Ravenna in Comune ricordiamo, come già detto, che «Israele è uno Stato in cui vige il regime di apartheid, è uno Stato colonialista, è uno Stato fascista che reprime con violenza il dissenso degli stessi cittadini israeliani, uno Stato che viola il diritto continuando a detenere 5mila palestinesi strafregandosene delle convenzioni internazionali, di cui 1.200 senza aver mai formulato un’accusa o avviato un processo. Il Governo Netanyahu sta attuando una politica di deliberata “pulizia etnica”. E tutto questo non da oggi: la pulizia etnica trae origine dalla Nakba nel 1948 e da allora è proseguita a dispetto di tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite che hanno condannato le azioni di Israele». La triste conta dei morti tra Gaza e Cisgiordania è arrivata ad almeno 20mila e 500 persone assassinate dall’esercito israeliano, senza contare i corpi ancora sotto le macerie. Gli uccisi israeliani durante l’attacco del 7 ottobre sono stati 1.139. Fermo restando che tutte le deliberate uccisioni di persone civili meritano sempre una ferma condanna, stiamo parlando di un rapporto di venti a uno! Il computo dei feriti è di 60mila palestinesi per 8mila israeliani. Si ritiene che ad oggi siano 129 gli ostaggi ancora trattenuti dalle milizie palestinesi. Si contano invece a migliaia quelli trattenuti dalle autorità israeliane, incrementati a dismisura dal 7 ottobre in avanti. L’occupazione israeliana ha ereditato dal mandato britannico la pratica della detenzione amministrativa per la quale è possibile incarcerare un palestinese per periodi di detenzione rinnovabili – di sei mesi in sei mesi – potenzialmente all’infinito, senza la necessità di formalizzare accuse e senza accordare la possibilità di un processo. Ad oggi nessun bambino israeliano è rimasto tra gli ostaggi mentre il trattenimento in tale condizione dei bambini palestinesi è assolutamente frequente.
Uno dei pochi prigionieri rilasciati da Israele è stato Khaled El Qaisi, italo-palestinese fermato il 31 agosto al valico di Allenby senza muovergli alcuna accusa e di cui abbiamo parlato chiamando alla solidarietà quante e quanti hanno a cuore la causa della pace e della giustizia giusta. Ha raccontato le condizioni della sua prigionia di “privilegiato”, in quanto dotato di cittadinanza italiana: “Dal momento in cui sono arrivato ho perso completamente la cognizione del tempo. Ho provato a orientarmi contando i pasti che dovrebbero essere tre al giorno, colazione, pranzo e cena. Sono però tutti uguali per cui non capivo se fosse giorno o notte. Sono sempre stato solo, in isolamento in una cella angusta, con la luce accesa 24 ore su 24, molto forte, era difficile prendere sonno. Non c’erano finestre. Le pareti di intonaco ruvido erano grigio scuro, come il pavimento. C’era un bagno turco intasato, ho evitato di scaricare per non allargare la cella. C’era un minuscolo lavandino per lavarsi e bere, solo acqua calda, e una grata di areazione che sparava un getto di aria gelida, collocata in un punto per cui era impossibile dormire senza stare sotto il getto. Il materasso era alto appena due-tre centimetri. Non mi lasciavano tenere niente, avevo solo un bicchiere di plastica trasparente che veniva cambiato ogni qualche giorno dietro richiesta, un asciugamano e una copertina di pile marrone fetida. Avevo anche un cucchiaio di plastica che mi cambiavano dopo giorni e giorni e molta insistenza. Gli interrogatori duravano ore, me ne rendevo perché quando tornavo in cella trovavo due pasti. Credo che in media si andasse dalle dieci alle 14 ore, anche perché i funzionari si alternavano tra un turno e l’altro. Ero seduto su una sedia fissata al pavimento, di quelle che si usano a scuola ma rialzata al centro e pendente in avanti: era impossibile rimanerci seduto per più di qualche minuto senza provare un notevole fastidio. Avevo mani e piedi legati alla sedia e un condizionatore a 40-50 centimetri di distanza che sparava aria fredda”. Questo è un trattamento “di favore”. Amnesty riferisce che torture, denudamenti, umiliazioni e violenze che a volte conducono alla morte sono i tattamenti “normali” riservati ai prigionieri palestinesi, uomini e donne di qualunque età.
Perché finisca tutto ciò, per una pace giusta in Palestina, per la liberazione di tutti gli ostaggi sia israeliani che palestinesi, “perché non possiamo restare in silenzio davanti al genocidio in corso a Gaza e alla spirale di violenza in Medio Oriente”, saremo in Piazza dell’Aquila oggi pomeriggio ed invitiamo chiunque condivide i nostri valori a partecipare.
[Nella foto di Ohad Zwigenberg/AP Photo per Al Jazeera: truppe israeliane nella striscia di Gaza distrutta dai bombardamenti israeliani]
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A Ravenna presidio in piazza dell’Aquila per il cessate il fuoco permanente a Gaza, liberare gli ostaggi e porre fine all’occupazione