Esaurita la lunga pausa estiva, che dal punto di vista climatico si è inoltrata ben dentro la stagione autunnale, si avvia una fase in cui le precipitazioni possono essere più frequenti. E l’esperienza degli ultimi anni insegna che possono risultare eccezionalmente violente e intense: è, né più né meno, quanto ci porta il cambiamento climatico. È dunque importante ascoltare la parola dei geologi sulla capacità del nostro territorio di farvi fronte. Così dice il presidente dell’ordine dell’Emilia Romagna, il cesenate Paride Antolini: «Le zone più a rischio sono tutta la montagna per quanto concerne le frane, dove la riparazione delle strade non è naturalmente ancora terminata e molte non sarebbero in grado di resistere ad un inverno impegnativo. In collina Modigliana, Rocca San Casciano, Brisighella è il perimetro con ancora molte criticità. Escludendo la prima collina, ma subito a monte della Vena del Gesso ci sono rimaste zone molto sensibili ai possibili eventi atmosferici invernali. Poi c’è il tema dei fiumi a valle, la rete idrografica va “aggiornata”, dovremo fare i conti con piogge sempre più intense in brevi lassi di tempo, il problema è questo. C’è molto lavoro da fare, anche in pianura». E in cosa consiste questo indispensabile “lavoro”? «Bisogna dare spazio all’acqua, è necessario allargare gli spazi, in altri casi bisogna addirittura delocalizzare. Nel Dopoguerra si lavorò sempre per arginare i fiumi, per avere nuovi terreni agricoli o soprattutto nuove zone edificabili. Oggi bisogna fare un percorso inverso, bisogna trovare e dare spazio di sfogo ai corsi dei fiumi, altrimenti se lo riprendono in maniera violenta in caso di piogge molto intense». Questo significa, tra le altre cose, «limitare il sistema arginale in altezza per evitare gravi danni da rotture, e integrare e modificare l’uso del suolo e attività produttive in ampi spazi di destinazione fluviale». Questo perché «Il cosiddetto approccio ingegneristico, utilizzato in tutte le regioni indipendentemente dal colore politico, che intendeva gestire il territorio attraverso arginature, difese spondali, briglie, opere in genere, ci ha portato a un sistema della gestione fluviale e territoriale costoso e inadeguato. Continuare su questa strada, guardando gli eventi che si susseguono, non ci rassicura per nulla».
Come Ravenna in Comune ci rassicura ancora meno l’approccio alla sicurezza del territorio che ha in mente il Sindaco di Ravenna, la sua Giunta e la maggioranza che lo sostiene. Infatti è proprio l’approccio ingegneristico, indicato come sbagliato dai geologi, quello che favorisce. Il suo «intendiamo ricostruire tutto, ma in modo migliore perché ci troviamo ad affrontare sfide enormi» si traduce nel trasformare gli alvei dei fiumi in enormi condutture per il trasporto dell’acqua dai monti al mare. Tantissima acqua che arriva giù velocissima. È chiarissimo de Pascale: «Il fiume se lo si lascia naturale esonda. Se non si vuole che esondi bisogna rifare gli argini con la logica delle opere pubbliche». Ossia dare il via a grandi opere con argini sempre più alti, sempre meno naturali, con sempre più cemento, nella vana speranza che arrestino quell’acqua che non ha spazio da nessuna parte per alleggerire il flusso. Con il relativo grande giro di soldi che ci va dietro. Ed è chiarissimo, de Pascale, nelle politiche che continua a portare avanti, di impermeabilizzazione del territorio anche dove le alluvioni di maggio hanno insegnato che il rischio di allagamento non è teorico ma dimostrato dalle sofferenze inflitte alla cittadinanza. Pensiamo a Fornace Zarattini, giusto per fare uno dei tanti esempi. Giorni e giorni immersi, letteralmente, nel fango hanno portato alla presentazione di una petizione perché di quella sofferenza si tenesse conto in debiti ristori e altrettanto corretti impieghi delle donazioni effettuate in liberalità con causale “alluvione”. È stata respinta al mittente dopo una discussione in Consiglio al limite della beffa per la cittadinanza presente. E, contemporaneamente, proprio a Fornace si dà il via libera a nuove costruzioni, ampliamenti, centri commerciali, parcheggi in zone la cui criticità è stata dimostrata dal mare di acqua che per giorni vi ha ristagnato. Evidente cosa conti di più, agli occhi di questa politica, tra gli interessi di chi vuol far fruttare una lottizzazione e l’anelito alla sicurezza della cittadinanza!
Ravenna in Comune torna a chiedere una moratoria: di sospendere, meglio ancora bloccare, il rilascio di nuove autorizzazioni che implichino un incremento del consumo di suolo. Non diamo per scontato che a ogni demolizione di superfici già edificate debba corrispondere altra cementificazione. Valutiamo caso per caso l’opzione della non ricostruzione e, anzi, della delocalizzazione. Adottiamo l’annullamento in autotutela di autorizzazioni già rilasciate in relazione a costruzioni da realizzarsi in aree dove è grave il rischio di sommersione negli eventi alluvionali. Introduciamo misure che disincentivino l’inutilizzo del costruito e ne agevolino l’immissione nel mercato degli affitti calmierati. I morti, i feriti, i danni delle alluvioni di maggio reclamano un’attenzione che, ad oggi, non hanno ricevuto.
[Nell’immagine: nuovo centro commerciale in progetto lungo via Faentina in aree sommerse dall’alluvione di maggio]
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Piani per evitare altre alluvioni: il presidente dell’Ordine dei geologi indica la via, gli errori e gli ostacoli
Fonte: Corriere Romagna del 27 novembre 2023
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POST ALLUVIONE | Frane e altri rischi, parla il romagnolo Paride Antolini, presidente regionale dei geologi
«Fra Modigliana e Brisighella la zona più a rischio,
sarà un inverno impegnativo, le ferite sono profonde»