Il 12 novembre 2003 un camion bomba guidato da un attentatore suicida provocò un’esplosione nella base italiana di Nassiryia, una città dell’Iraq del sud. Morirono 27 persone. 19 italiani e 8 civili iracheni.Dei 19 italiani, 12 erano carabinieri, 5 soldati e 2 civili.
Ma cosa facevano i militari italiani in Iraq?
La spiegazione più immediata è che erano in Iraq con la missione umanitaria “Antica Babilonia”, a seguito della risoluzione 1483 delle Nazioni Unite.Questa missione umanitaria era auspicata dalle Nazioni Unite perché l’Iraq era stato invaso il 20 marzo dello stesso anno da una coalizione occidentale formata da ben 49 Stati a guida USA. L’allora Presidente USA George W. Bush dichiarò che la guerra voleva disarmare l’Iraq delle armi di distruzione di massa. Questa motivazione si dimostrò poi essere un pretesto, senza alcun fondamento, per invadere l’Iraq. Di questa coalizione che mosse guerra agli iracheni faceva parte anche l’Italia.Dalla fine degli anni ‘80 l’Italia si trova regolarmente dalla parte sbagliata o comunque contro la propria Costituzione che all’articolo 11 dichiara di ripudiare la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. La Prima guerra irachena (1991) poi l’aggressione alla Jugoslavia (1998), Afghanistan (2001), poi ancora Iraq (2003), Libia (2011) fino ad oggi con l’invio di armi e denaroall’Ucraina.
Le poche settimane di guerra nel 2003 avevano distrutto lo Stato e la società irachena per cui le Nazioni Unite avevano sollecitato gli Stati aderenti a fornire agli iracheni cibo, medicinali e le risorse necessarie alla ricostruzione delle infrastrutture. Con la consueta doppiezza che caratterizza l’Occidente, ad intervenire furono gli stessi Stati che avevano causato una guerra senza alcuna legittimità internazionale. L’Italia dopo avere contribuito all’invasione, approntò quindi la missione umanitaria “Antica Babilonia”. L’aiuto umanitario che si cercò di portare faceva quindi seguito alla distruzione che volutamente, e colpevolmente, l’Italia aveva sostenuto.
A 20 anni dall’attentato di Nassiryia, a Ravenna, il 10 novembre scorso è stato organizzato un concerto al teatro Alighieri in cui è stata eseguita la Sinfonia N.3 “Eroica” di Beethoven. Alla luce dello svolgimento dei fatti che portarono circa 3.200 militari in Iraq, sarebbe da capire perché ricordare questi morti con una sinfonia che Beethoven entusiasticamente dedicò in origine a Napoleone Bonaparte. Come Ravenna in Comune riteniamo che le forze armate debbano conformarsi all’articolo 11 della Costituzione e non partecipare a missioni di aggressione. Fu infatti proprio l’essere identificati come componenti di forza occupante che rese i militari italiani obiettivi dei gruppi armati iracheni che si stavano formando nel caos seguito alla distruzione dello Stato iracheno.
Per Ravenna in Comune l’uso della retorica dell’eroismo è funzionale al conforto dei militari feriti e dei familiari dei caduti. E’ necessarioper costruire consenso sociale e politico. Dall’altra parte riferirsi ad eroi serve per minimizzare se non a nascondere le pesanti responsabilità di chi non ebbe la forza né il coraggio di rifiutarsi di partecipare ad un’alleanza militare che andava a distruggere lo Stato iracheno. Si misero le basi per quell’instabilità politica e sociale che nel Medio Oriente stiamo vedendo anche in questi giorni con la catastrofe umanitaria nella Striscia di Gaza.
Non stupisce che il Sindaco di Ravenna, Michele de Pascale, abbia fatto propri impalpabili e vuoti messaggi sulla “musica in grado di veicolare con grande forza messaggi di pace e speranza” in occasione di un anniversario così significativo. Sarebbe stata l’occasione per invitare i ravennati a ragionare su un’Italia che all’estero intervenga solo per portare cibo, medicine, libri.
Mai per sostenere armi e guerra.
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