La Giunta de Pascale si è accorta che stiamo andando sotto. Lo ha “rivelato” a Ecomondo, la fiera riminese dedicata alla transizione ecologica, l’Assessora Annagiulia Randi con deleghe a sviluppo economico, commercio, artigianato, industria, porto, politiche europee e cooperazione internazionale. E già sarebbe da capire perché non sia stato l’Assessore competente in quanto delegato al coordinamento politiche ed investimenti per la transizione ecologica, PAESC (rifiuti, efficientamento energetico, mobilità, autorizzazioni ambientali), politiche sociali, politiche abitative, protezione civile… Comunque sia dalle parti di Palazzo Merlato hanno ammesso di sapere che il mare si sta innalzando, che la causa è il cambiamento climatico e che, parola dell’Assessora, Ravenna già ora è una «città iper fragile, dove non un solo chilometro quadrato è esente da rischio idraulico, come abbiamo purtroppo potuto riscontrare con la recente alluvione del maggio scorso». Poiché come Ravenna in Comune lanciamo l’allarme da anni dovremmo applaudire.
Ma c’è un “ma”, un grosso “ma”, perché ci si aspetterebbe a questo punto un comportamento coerente da parte della Giunta. Dopo tutto è dal 2019 che il Sindaco promette “un cambio di passo” sul fronte del “contrasto al cambiamento climatico”. Invece le misure a cui si pensa sono le stesse messe in opera negli ultimi dieci anni: «investimenti comunali per 16,5 milioni di euro, costituite da ripascimenti, posizionamento di scogliere artificiali, protezioni della costa emerse e sottomarine». C’è da attendersi per il futuro lo stesso successo che simili misure hanno avuto per il passato, in quanto equivalgono a tentare di spazzare il mare con una scopa. Come ben noto, anche all’Amministrazione de Pascale anche se continua a far finta di non saperlo, sono due le principali cause che determinano un livello del mare sempre più alto rispetto alla costa. Uno è rappresentato dal riscaldamento climatico originato dalle emissioni di gas serra. Principalmente la CO2 rilasciata quando vengono bruciati i combustibili fossili, tra cui ovviamente il gas metano; nonché dal rilascio dello stesso gas metano in atmosfera. L’altro deriva dalla subsidenza provocata dalle estrazioni dello stesso gas metano. Ma tutto questo il centrosinistra di de Pascale (ma anche il centrodestra che dovrebbe fare opposizione) lo rimuovono. Così come rimuovono che, nell’approvazione del PAESC (il Piano di Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima del Comune di Ravenna), a dicembre 2020, venne accolto emendamento di Ravenna in Comune perché la riduzione delle emissioni di CO2 del 60% entro il 2030, previsto anche dalla dichiarazione di emergenza climatica approvata l’anno prima, venisse raggiunto tramite “taglio” e non “bilanciamento” delle emissioni stesse. Fu molto chiaro in quell’occasione il consigliere proponente (assieme al gruppo misto) dell’emendamento poi approvato, Massimo Manzoli, capogruppo di Ravenna in Comune: «Il Consiglio Comunale di ieri, accettando l’emendamento, ha messo una parola chiara sulla pragmatica inutilità di impianti che continuano a investire sul fossile giocando sul bilancio di CO2 (la famosa CO2 spazzata sotto il tappeto dei Fridays for Future) e dall’altra ha chiesto a grande voce che si inizi seriamente a investire su fonti che taglino le emissioni e non le nascondano».
La rimozione arriva a tal punto che oggi ENI può annunciare senza tema di smentita da parte di de Pascale & co che «Ravenna è il luogo ideale per l’avvio del primo progetto CCS in Italia». Per poi aggiungere (a parlare è Salvatore Giammetti, Head of Carbon Capture, Utilization and Storage di ENI): «Prevediamo di avviare la Fase 1 nei primi mesi del 2024. Stiamo lavorando per avviare la Fase 2 nel 2026, con una capacità di iniezione di 4 milioni di tonnellate/anno. Va evidenziato, inoltre, che la capacità complessiva di stoccaggio dei giacimenti nell’Adriatico è di oltre 500 milioni di tonnellate di CO2, e ciò rende il progetto di Ravenna uno dei più grandi hub di stoccaggio al mondo con una capacità di iniezione che potrà essere incrementata fino a 16 milioni di tonnellate annue». La ragione per cui da parte di un grande produttore di gas naturale come ENI si vuole andare avanti con una tecnologia costosa, pericolosa e fallimentare è che «la CCS è vista come una tecnologia che può aiutare a mantenere lo status quo di utilizzo del gas naturale». Non siamo noi a dirlo ma il Dipartimento per le politiche economiche, scientifiche e di qualità della vita della Direzione generale Politiche interne della Commissione Europea, in uno studio appositamente realizzato due anni fa per la Commissione Industria, ricerca ed energia del Parlamento Europeo.
Rimozione e distacco dalla realtà sono meccanismi ben noti in psicoanalisi. Per il bene della collettività come Ravenna in Comune suggeriamo il ricorso urgente di tutta la Giunta ai servizi di qualche professionista del ramo, “uno strizzacervelli”. E che sia uno bravo, come si suol dire… Perché in gioco non ci sono “solo” i milioni di euro letteralmente buttati via di anno in anno in ripascimenti continuamente da rifare e in protezioni continuamente superate, ma è la stessa sopravvivenza di Ravenna e del suo territorio così come lo conosciamo e come vorremmo continuare ad abitarlo.
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