Oggi ricorre il 58esimo anniversario del disastro del Paguro. Il Paguro era una piattaforma costruita dall’AGIP (Gruppo ENI) a Porto Corsini nel 1963 per l’estrazione del metano. A metà del 1965 la piattaforma fu posizionata nell’Alto Adriatico sul pozzo denominato PC7 (Porto Corsini 7). Accadde quello che si pensava impossibile accadesse. Dalla colonna di perforazione alle 21 del 29 settembre 1965 si sollevò una colonna di acqua e fango, poi seguì il metano da 3.000 metri di profondità, che prese fuoco e distrusse ogni cosa, inabissando per sempre la piattaforma. Per giorni e giorni dalla città si videro le lingue di fuoco del gas che bruciava sul mare sino a 30 metri di altezza. Delle 38 persone che lavoravano sulla piattaforma furono in 3 a non essere riportate a terra sane e salve: Arturo, Pietro e Bernardo rimasero tra le vittime. Altri vennero recuperati feriti ma se la cavarono. Occorsero tre mesi per tappare il pozzo PC7.
Ormai del Paguro si parla solo per il fatto che è diventata un’oasi subacquea di inestimabile valore e dal 1995 è il nome di un sito di interesse ambientale comunitario. Il sito, che ha coordinate lat. 44°23’11” N, long. 12°34’98” E, ha il cratere dell’esplosione tuttora evidente sul fondale fangoso a sud del relitto, con una profondità massima che raggiunge i 33 metri, mentre la parte più alta dei tralicci giace a 10 metri di profondità. Si trova a circa 11 miglia dalla costa ed è sottoposto alla gestione dell’Ente di gestione per i Parchi e la Biodiversità – Delta del Po. Ci si organizzano pure delle visite.
Oggi però non celebriamo la sua rinascita come polo di attrazione per la flora e la fauna marina. Oggi ricordiamo i lavoratori morti in un incidente che non sarebbe dovuto accadere. Ma accadde ugualmente. Il rigassificatore galleggiante di Ravenna sarà collocato a poco più di 4 miglia dalla costa. Molto meno della metà della distanza da terra del Paguro. Le analisi effettuate per accertare i possibili rischi non si basano su quanto può accadere ma partono da una “stima delle conseguenze degli scenari incidentali ragionevolmente credibili”. Qualunque ragionamento è fondato solo su quanto già accaduto attraverso una “analisi storica basata sui dati ottenuti dalla consultazione di banche dati degli incidenti aggiornate all’ultima versione disponibile”. È SNAM a riferirlo in risposta alle osservazioni presentate da Legambiente durante il procedimento commissariale. Procedimento che, vale la pena ricordarlo una volta ancora, ha saltato completamente le verifiche richieste dalla normativa Seveso per gli impianti a grande rischio industriale. Ossia le verifiche a cui è stato sottoposto l’impianto di Livorno non si sono svolte per quello di Ravenna. Ci racconta SNAM che “Dall’analisi delle banche dati non sono emersi incidenti relativi a navi FSRU o similari (floating LNG e Floating Production Storage and Offloading Unit) che ne hanno comportato rotture catastrofiche”. E per quanto riguarda gli eventi estremi meteomarini: “Nell’area del Terminale FSRU il rischio Tsunami è basso come riportato nelle mappe di rischio/probabilità presenti nel database TSUMAPS-NEAM progetto europeo Probabilistic TSUnami Hazard MAPS for the NEAM Region). Inoltre, non sono stati registrati Tornado, come riportato nel database European Severe Weather Database. In base a queste informazioni si può ragionevolmente escludere il pericolo di trombe d’aria per il sito offshore in esame”.
In buona sostanza SNAM esclude dal ragionamento tutti i rischi che l’analisi degli eventi passati non riportano in quanto “mai verificatisi”, o sono considerati “bassi” o, ancora, “non ragionevolmente credibili”. Vale la pena di ricordare che il cambiamento climatico in atto sta conducendo alla comparsa di fenomeni mai registrati prima, ad una intensificazione di eventi estremi già registrati e alla compresenza inedita di eventi estremi tra loro distinti. In Romagna ne abbiamo avuto degli esempi recenti con le mareggiate e le alluvioni “eccezionali” dei mesi scorsi. Piero Angela definiva il rilascio causa incidente degli enormi quantitativi di gas liquefatto trasportato dalla navi metaniere, come quelle dirette al rigassificatore, “il peggior scenario energetico possibile. Cioè l’incidente più catastrofico immaginabile fra tutte le fonti energetiche”. SNAM, nelle sue valutazioni, per i motivi sopra esposti, esclude il rischio: “rispetto a nessuno scenario incidentale la nube di gas naturale rilasciata potrebbe raggiungere la costa con una concentrazione entro i limiti di infiammabilità della miscela”. Piero Angela, che non basava le sue osservazioni sui soli precedenti storici, la vedeva diversamente: “Se questa miscela gassosa, invisibile e inodore, investisse una città, qualsiasi (inevitabile) scintilla farebbe esplodere la gigantesca nube. La potenza liberata in una o più esplosioni potrebbe avvicinarsi a un megaton: un milione di tonnellate di tritolo, questa volta nell’ordine di potenza distruttiva delle bombe atomiche. Le vittime immediate potrebbero essere decine di migliaia, mentre le sostanze cancerogene sviluppate dagli enormi incendi scatenati dall’esplosione, ricadendo su aree vastissime, sarebbero inalate in piccole dosi, dando luogo a un numero non calcolabile, ma sicuramente alto, di morti differite nell’arco di 80 anni. Si tratta di uno scenario assolutamente improbabile, ma non impossibile”.
Il Sindaco, che notoriamente è un sostenitore di ogni cosa ENI vuole si faccia, appoggia il rigassificatore e lo ha definito “un progetto sicuro perché ultraverificato”. Ravenna in Comune, considerati i limiti consapevolmente adottati da SNAM nelle proprie verifiche, la fenomenologia degli eventi estremi in incremento e intensificazione annuale, la lunga durata (un quarto di secolo) accordata al funzionamento dell’impianto, la mancata effettuazione delle verifiche previste dalla normativa Seveso e l’esistenza di rischi potenzialmente enormi, non condivide (come altrettanto noto) la tranquillità del Sindaco. Se a tutto ciò si aggiunge il numero di errori che compaiono nel progetto “ultraverificato” a seguito delle puntuali denunce dell’ing. Riccardo Merendi, il timore per quello che è stato definito “l’incidente più catastrofico immaginabile fra tutte le fonti energetiche” dovrebbe guidare le azioni di qualunque Amministrazione abbia a cuore l’interesse della cittadinanza. Ciò che oggi è considerato incredibile domani può verificarsi e l’improbabile di ieri oggi è già possibile. Il disastro del Paguro di 58 anni fa è là per ricordarcelo.
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Cinquant’anni fa la catastrofe del Paguro al largo di Marina