UN ALTRO CASO ZAKI, QUESTA VOLTA IN ISRAELE

Torniamo sull’argomento dell’apartheid israeliana per denunciare il fermo arbitrario di un cittadino italiano, Khaled El Qaisi, studente universitario a Roma, da parte delle autorità israeliane al valico di Allenby, tra la Cisgiordania occupata e la Giordania. È accaduto il 31 agosto e si trova ancora trattenuto senza che sia stata formulata nessuna accusa. Il 7 settembre si è tenuta a Rishon Lezion l’udienza relativa alla proroga del trattenimento in carcere di Khaled. Il giudice ha deciso il prolungamento della detenzione fino al 14 settembre quando il ricercatore dovrà comparire di nuovo davanti alla corte. Khaled, che è stato trasferito nel carcere di Ashkelon, non ha ancora potuto incontrare il proprio avvocato.  

Come spiega il suo avvocato, siamo di fronte al «totale spregio dei diritti di civiltà giuridica operati dalla legislazione israeliana ovvero la violazione di tutele, comunemente riconosciute in Italia (art. 13-24-111 della Cost.) e in Europa (art 6 CEDU) e in seno all’ONU (artt. 9-14 Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici), la cui osservanza consente di definire un processo ‘equo’ e un arresto ‘non arbitrario’». Si aggiunga che al giovane ricercatore non è consentito conoscere gli atti che hanno determinato la sua custodia né la sua possibile durata. Vi è anzi il timore che in mancanza di prove la detenzione penale venga sostituita con la detenzione amministrativa, allungando i tempi dell’arresto. Quella amministrativa viene applicata dalle autorità israeliane anche in mancanza di accuse formali e di prove concrete e prevede il carcere per periodi di alcuni mesi rinnovabili a discrezione del giudice. E le accuse di apartheid nei confronti di Israele sono ben motivate: come definire altrimenti la condizione per la quale in uno stesso territorio due persone possano essere sottoposte a processo sotto due distinti sistemi legali?

Dice Amnesty International Italia: «Temiamo che sull’arresto pesino le sue origini palestinesi. In tal caso, ciò confermerebbe la realtà dei palestinesi sotto l’occupazione israeliana da 56 anni.  Quello che sta succedendo a Khaled non è infatti un incidente isolato. Israele trattiene in detenzione in violazione del diritto internazionale e del giusto processo 5.000 palestinesi, di cui oltre 1.200 senza accusa né processo. Serve una risposta forte a livello internazionale».

Khaled, traduttore e studente di Lingue e Civiltà Orientali all’Università La Sapienza di Roma, stimato per il suo appassionato impegno nella raccolta e divulgazione e traduzione di materiale storico palestinese, è tra i fondatori del Centro Documentazione Palestinese, associazione che mira a promuovere la cultura palestinese in Italia. È per questa attività che è stato arrestato? Ravenna in Comune chiede alle Istituzioni ravennati di esprimere nei confronti dello studente Khaled dell’Università di Roma la stessa solidarietà espressa nei confronti dello studente Patrick dell’Università di Bologna. Cittadino italiano il primo e cittadino onorario in molte città italiane il secondo. Ci uniamo all’appello della madre Lucia Marchetti e della moglie Francesca Antinucci (che riportiamo integralmente sul nostro sito):

«Khaled è in completo isolamento, senza contatti col mondo esterno, senza percezione reale dello scorrere del tempo, sotto la pressione di continui interrogatori, probabilmente angosciato per la sorte del proprio figlio e di sua moglie lasciati allo sbaraglio con l’unica immagine negli occhi relativa alla sua deportazione in manette. La situazione è dunque gravissima. Attendiamo con grande ansia la risoluzione di questa ingiusta prigionia. Chiediamo a chiunque ne abbia il potere, che si accerti delle condizioni di salute di Khaled e che soprattutto eserciti tutte le pressioni necessarie per la sua celere liberazione».

[Nell’immagine: un disegno del nostro concittadino Gianluca Costantini dedicato a Khaled] 

#RavennainComune #Ravenna #AmnestyInternational #FreeKhaled

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Lettera aperta per l’immediata liberazione del cittadino italo palestinese Khaled El Qaisi, prigioniero delle autorità israeliane
 
Il 31 agosto Khaled El Qaisi, rispettivamente marito e figlio delle scriventi, è stato trattenuto dalle autorità israeliane ed è tuttora prigioniero in virtù di una misura precautelare in attesa di verifica di elementi per formulare un’accusa.
 
Lo scorso giovedì Khaled, che ha doppia cittadinanza, italiana e palestinese, attraversava con moglie e figlio il valico di frontiera di “Allenby” dopo aver trascorso le vacanze con la propria famiglia a Betlemme, in Palestina.
 
Al controllo dei bagagli e dei documenti, dopo una lunga attesa, è stato ammanettato sotto lo sguardo incredulo del figlio di 4 anni, della moglie nonché di tutti i presenti che erano in attesa di poter riprendere il proprio percorso.
 
Alle richieste di delucidazioni della moglie non è seguita risposta alcuna, piuttosto le sono state sottoposte domande per poi essere allontanata col proprio figlio verso il territorio giordano, senza telefono, senza contanti né contatti, in un paese straniero.  Nel tardo pomeriggio la moglie e il bambino sono riusciti a raggiungere l’Ambasciata Italiana solo grazie alla umana generosità di alcune signore palestinesi.
 
Khaled, traduttore e studente di Lingue e Civiltà Orientali all’Università La Sapienza di Roma, stimato per il suo appassionato impegno nella raccolta e divulgazione e traduzione di materiale storico palestinese, è tra i fondatori del Centro Documentazione Palestinese, associazione che mira a promuovere la cultura palestinese in Italia.
 
La famiglia, gli amici ma anche chi ha semplicemente avuto occasione di conoscerlo, sono in fremente attesa di avere aggiornamenti.  Al momento ancora non ha potuto incontrare il suo avvocato e sono ancora poche le notizie che si hanno riguardo alla sua incolumità.
 
Dal consolato e dal legale abbiamo saputo solo che affronterà un’udienza giovedì 7 settembre.
 
Immaginiamo intanto Khaled in completo isolamento, senza contatti col mondo esterno, senza percezione reale dello scorrere del tempo, sotto la pressione di continui interrogatori, in pensiero angosciato per la sorte del proprio figlio e di sua moglie lasciati allo sbaraglio con l’unica immagine negli occhi relativa alla sua deportazione in manette.
 
La situazione è dunque gravissima.
 
Attendiamo con grande ansia la risoluzione di questa ingiusta prigionia.
 
Chiediamo a chiunque ne abbia il potere, che si accerti delle condizioni di salute di Khaled e che soprattutto eserciti tutte le pressioni necessarie per la sua celere liberazione.
 
Le scriventi 
Francesca Antinucci, moglie
Lucia Marchetti, madre
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Flavio Albertini Rossi: «In Israele totale spregio dei diritti di civiltà giuridica»

Fonte: il manifesto del 10 settembre 2023

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