Passate alcune settimane dalla rovinosa alluvione dello scorso mese di maggio, ancora non ci sono certezze su come sostenere chi ha subito danni. Per non dire delle opere da intraprendere per tutelare il territorio da eventi della stessa portata che potrebbero verificarsi in un futuro non troppo lontano.
Ripartiamo allora dai fondamentali.
La pianura padana è una pianura alluvionale formata dai materiali portati dai fiumi e le esondazioni rientrano tra gli eventi naturali e ricorrenti dei territori che abitiamo. La presenza umana sempre più diffusa ha tra l’altro determinato nel tempo la costruzione di argini sempre più alti per difendersi dalle alluvioni, la diversione del corso naturale dei fiumi ed estrazione di ghiaie e sabbie dal loro letto, l’uso delle loro acque per irrigazione oltre ad una serie di opere di bonifica idraulica.
Negli ultimi decenni, nel ravennate, le cronache registrano:
1959: rottura del Santerno con allagamento di Massalombarda, straripamento del Senio con interruzione della linea ferroviaria Bologna-Rimini e allagamenti da Riolo Terme fino Solarolo;
1960: il Senio straripò nei pressi di Castelbolognese bloccando la via Emilia e allagando terreni fino ad Alfonsine. Il Santerno tracimò interrompendo la strada San Vitale e allagando case e campi vicino Conselice. Altre esondazioni del Ronco e Montone nel forlivese;
1961:rottura del Savio tra Cervia e Ravenna;
1966: riconosciuto lo stato di calamità alla Provincia di Ravenna a seguito degli eventi atmosferici. Un anziano di Voltana in occasione dell’alluvione del 1996, dichiarò: “Non avevo mai assistito ad un tale scenario neppure nel 1966 quando sia la Canalina che il Tratturo ruppero in più punti”;
Più recentemente, proprio l’alluvione dell’8 e 9 ottobre 1996 che provocò allagamenti di campi e case in diverse zone della Provincia di Ravenna e Forlì.
“Eccezionale” è l’aggettivo ripetuto incessantemente per definire l’evento meteorologico di maggio 2023 che ha determinato alluvione, frane ed erosione costriera. Ruolo dei governanti e amministratori è gestire i fenomeni naturali per ridurne al massimo i danni causati. Esondazioni e rotture degli argini sono sempre state presenti nel ravennate, fin dall’antichità. Il racconto del Sindaco di Ravenna, Michele de Pascale, di: “una guerra contro le acque che a Ravenna e in Romagna non è iniziata nel 2023. Le opere realizzate nei secoli avevano reso questo territorio tutto sommato sicuro. I cambiamenti climatici hanno alzato immensamente l’asticella della sfida”. Per Ravenna in Comune questo è un racconto senza fondamenta. Come visto, solo negli ultimi decenni abbiamo avuto alluvioni e già quasi trenta anni fa c’era coscienza dei cambiamenti climatici tra chi allora amministrava la cosa pubblica.
Aveva già ben inquadrato la questione il caporedattore dell’edizione ravennate de Il Resto del Carlino, Uber Dondini, in un articolo del 10 ottobre 1996, intitolato significativamente “La natura è innocente”.
“In una Provincia che soffre dell’intera gamma dei dissesti ambientali ed idrogeologici, di fronte a drammi come quelli che i ravennati stanno vivendo, non ci sono innocenti. In realtà l’unica a non avere colpe è la natura mentre gli uomini hanno fatto tutto il possibile per aggravare le conseguenze di eventi che è sempre troppo comodo definire “eccezionali”. È soprattutto colpa dell’uomo se il suolo si abbassa, se il mare, dopo millenni di arretramenti ha cominciato a mangiare la costa, se la rete di scolo delle acque non riesce più a reggere nemmeno un piovasco, se la collina frana. Ad ogni disastro si ripete – e a questo punto doverosa – richiesta di riconoscimento dell’”eccezionale stato di calamità” quando in realtà non vi è nulla di più normalmente ricorrente. Sarebbe interessante infatti sapere quanto incidano su eventi come questi il disboscamento e l’abbandono della collina, l’eliminazione dei fossi poderali dettata da più conveniente ma spesso miopi criteri di meccanizzazione delle campagne”
Andiamo allora all’ultima alluvione, quella del 1996, facendo una ricognizione dalla stampa locale di un evento che non solo è ben presente nella memoria di chi la visse ma è ricca di testimonianze istituzionali che fecero dell’”eccezionalità” la premessa a qualsiasi dichiarazione.
Nell’ottobre 1996 si verificò, a detta degli amministratori e tecnici del tempo, un evento “eccezionale”. Per dare immediatamente l’idea dell’evento, Demetrio Egidi, responsabile regionale della Protezione Civile premettendo “la piovosità eccezionale” indicava tra l’altro “280 case evacuate, trentamila abitazioni allagate, 140 milioni di metri cubi d’acqua riversati sui campi […] 250 mila capi avicoli annegati”. Dopo più di una settimana, al 16 ottobre non tutti erano ancora rientrati nelle proprie abitazioni e nella zona di San Zaccaria diventava visibile il segno dell’acqua arrivato a tre metri dal piano di campagna.
Il 17 ottobre 1996 i tecnici del Consorzio di bonifica della Romagna Occidentale per il comprensorio di Lugo indicavano che “nello spazio di 30 ore si è abbattuto sul comprensorio consortile una massa d’acqua che oscilla fra i 197 e i 215 millimetri per metro quadrato, un fenomeno che non ha precedenti. A dimostrazione dell’assoluta eccezionalità dell’evento, al Consorzio citano lo studio dell’Idroser di Bologna sulle precipitazioni di massima intensità di Imola, una cittadina appartenente alla fascia pedecollinare lungo la via Emilia, notoriamente più piovosa dei terreni della bassa. Si tratta di una estrapolazione probabilistica dalla quale, per la durata di 24 ore, sono stati ottenuti 137 millimetri per una frequenza monosecolare e di 176 millimetri per una frequenza millenaria”.
Anche Mario Mazzotti, allora Sindaco di Bagnacavallo, poi eletto consigliere regionale per il PD non ebbe dubbi su “il carattere eccezionale del fenomeno che ha colpito il nostro territorio, il quale secondo gli esperti non ha precedenti a memoria d’uomo. In 30 ore sono piovuti 190-215 mm per metro quadrato di acqua, vale a dire oltre 200 litri di acqua per metro quadrato”.
A differenza del 2023, in cui l’”eccezionalità” è stata la parola che tutto ha sovrastato e giustificato qualsiasi impossibilità a contenere l’alluvione, nel 1996 si discusse però apertamente anche delle mancanze e possibili interventi per contenere simili eventi futuri.
Emerge chiaramente una gestione del territorio inadeguata anche a detta del Governo nazionale, di centrosinistra, come le Amministrazioni locali. Reti di scolo non più efficaci, consumo di suolo, subsidenza, il cambiamento climatico in atto, risorse mancanti. E cautela nel promettere ristori al contrario di oggi. Sul versamento di una somma a chi aveva subito danni l’allora Presidente della Regione, Antonio La Forgia, fu chiaro: “Sarebbe sacrosanta. Ne parliamo poco perché non vogliamo creare aspettative che poi rischiano di andare deluse”. Nel 2023, con vincoli di bilancio ben più pressanti, il Sindaco de Pascale è stato netto: “lo diamo per scontato, ma non è ancora detto che l’idea sia indennizzare il 100% di chi ha subito, come in emergenze precedenti“. Allo stesso modo il Presidente della Regione, Bonaccini: “Chiederemo al governo, come avvenuto per il terremoto, che il 100% dei danni dell’alluvione venga rimborsato ai cittadini e alle imprese”.
Rileggiamo le dichiarazioni di 27 anni fa.
Mario Randi, dirigente del settore Agricoltura della Provincia di Ravenna: “Non è solo un problema di pioggia eccezionale, qui è in crisi il sistema scolante”.
Il presidente del Consorzio di Bonifica di Lugo, Massimo Pederzoli: “Abbiamo 900 km di rete scolante da tenere sotto controllo e progetti di risistemazione fermi da vent’anni. Mancano i fondi”.
L’allora Assessore alle Attività Produttive, Vidmer Mercatali, poi Sindaco di Ravenna dal 1997 al 2006: “in trent’anni il territorio ravennate si è abbassato di un metro e mezzo”.
Claudio Miccoli, Assessore alla Protezione Civile del Comune di Ravenna: “È andato in tilt tutto il sistema di bonifica. O lo ristrutturiamo o non si potrà più contenere un’altra situazione come questa. Debbo dire che anche se si fossero fatte tutte le manutenzioni, si potevano al massimo limitare i danni. La verità è che 200-240 millimetri d’acqua non possono essere smaltiti con questa rete scolante. Nella Lama, per esempio, scarica un intero comprensorio, ma l’acqua viene smaltita a gravità e non con sollevamento meccanico, come dovrà essere in futuro. Questo perché la terra è scesa, nel ravennate, anche di 80-90 centimetri: molte terre che erano sopra il livello del mare di 30-40 centimetri, adesso sono sotto. E continua a scendere di 1, 1,5 centimetri all’anno. È importante quindi limitare le estrazioni di acqua dal sottosuolo”
L’ingegnere Dacone, direttore generale del Consorzio: “L’antropizzazione del territorio ha modificato profondamente il suolo: ora in occasione di forti piogge i vecchi canali sono sottoposti a portate in passato sconosciute, aggravate dall’aumentata impermeabilizzazione del terreno. Tutto ciò potrebbe portare a gravi allagamenti, che già tanti danni hanno provocato in altre zone d’Italia”
Ernesto Spizuoco, direttore del Consorzio di Bonifica competente su Ravenna, Faenza e Russi: “I nostri impianti non sono dimensionati a reggere la quantità eccezionale di acqua piovuta”.
In un incontro tenuto a Ravenna l’11 ottobre tra il sottosegretario Barberi, Prefetti e Amministratori delle Province emerse che la colpa del disastro era solo in parte da attribuire ai 270 millimetri di pioggia caduti in alcune aree bolognesi ed agli oltre duecento che avevano sommerso la Romagna: gli effetti furono “disastrosi per una errata gestione del territorio, dall’abbandono della collina all’urbanizzazione della pianura.”.
Il Ministro dell’Ambiente, Edo Ronchi: “Dobbiamo prendere atto che ci sono state grandi variazioni climatiche: se, fino a qualche anno fa, le alluvioni erano un caso eccezionale, ora succedono sempre pià spesso anche perché lo sfruttamento indiscriminato del territorio ha finito per indebolire tutte le difese naturali. Abbiamo preparato una carta del rischio da alluvione che individua le aree di maggior pericolo in modo da prevenire e limitare i danni. Occorre anche bloccare l’espansione edilizia in queste aree. I programmi a lungo termine prevedono veri e propri piani di bacino con interventi di varia natura dal rimboschimento delle zone collinari al maggior assorbimento delle acque piovane nei centri urbani. L’importante è agire con decisione e in fretta”
Il Sindaco di Bagnacavallo, Mazzotti: “un sistema non sempre condivisibile di urbanizzazione risalente agli anni ‘50-’60”.
Sulla costa, che come oggi ebbe importanti problemi di erosione, Werther Bertoni, responsabile del servizio geologico del Comune di Ravenna: “A Punta Marina la pineta appena dietro gli stabilimenti è molto trascurata. E allora, mi chiedo, perché non portare più dietro le strutture, all’altezza della fascia pinetale? Dovevamo farlo cinque o sei anni fa. Avremmo risparmiato miliardi in interventi poi rivelatisi inutili. E ora avremmo una splendida spiaggia. Questo mi creda è un concetto che va perseguito. Soprattutto a Punta Marina. Barriere e ripascimento sono utili, ma alla lunga non argineranno l’avanzata del mare”. Ed invece, ancora nel 2022, la Regione Emilia-Romagna insisteva con un progetto di ripascimento delle coste per circa 23 milioni di euro prontamente ripresi dal mare.
Il Presidente della Regione La Forgia: “gli interventi di assetto idrogeologico sono stati progettati nell’immediato dopoguerra. Sono opere un po’ datate” e poi “le falde sotterranee, il fenomeno della subsidenza, l’espansione urbanistica piuttosto consistente in queste zone … E anche, ma non lo dico perché sembri una giustificazione, l’evidente modificazione climatica. Il fenomeno di questi giorni è effettivamente straordinario: in 12/13 ore in certe zone sono caduti 25 centimetri di acqua. Sono valori, spiegano i tecnici, doppi rispetto a qualsiasi situazione anomala verificatasi negli ultimi 20/30 anni”.
Un politico che oggi ha una responsabilità importante, come l’essere vice Sindaco di Ravenna, Eugenio Fusignani, 27 anni fa, da consigliere repubblicano di opposizione: “Mi chiedo cosa sarebbe successo se anziché sugli scoli, la furia degli elementi si fosse concentrata sui fiumi”.
Chiedeva anche “l’istituzione di una Commissione comunale con l’incarico di valutare accuratamente le documentazioni degli eventi e ai danni alluvionali perché, senza sterili polemiche, si possa far luce su una calamità i cui confini naturali appaiono sempre più labili mentre si delineano sempre più marcatamente quelli dovuti all’incuria ed alla scarsa sensibilità dell’uomo”
Chi sa cosa pensa il vice Sindaco Fusignani ora che ha responsabilità amministrative e che la furia degli elementi si è concentrata anche sui fiumi. Senza sterili polemiche.
Il Sindaco di Ravenna, Pierpaolo D’Attorre: “Vi è poi un ragionamento di più lunga prospettiva da aprire. Riguarda i fondi e le competenze per la difesa dei suoli, per la sistemazione idraulica di comprensori delicati come il nostro – per non dire della costa – sui quali conviene accelerare iter legislativi e scelte politiche che noi ravennati quasi unanimemente sosteniamo da tempo. L’acqua in casa è anche il frutto di un uso selvaggio del territorio. I danni sono stati più gravi in Italia ed in Emilia-Romagna, laddove i comuni non hanno investito in impianti fognari seri o hanno ignorato politiche attive contro la subsidenza. Da qui, da quanto abbiamo fatto ed imparato in questi giorni, dobbiamo partire per recuperare case e campi alla normalità, che facciano sì che le piogge, anche straordinarie, come quelle di questo ottobre, non si trasformino più in cataclismi”.
E allora vediamo cosa si impegnò a fare la parte politica che, in forme diverse, amministra ininterrottamente da oltre 50 anni Comune, Provincia e Regione.
Il PDS, partito che espresse poi il Sindaco Mercatali, nel materiale informativo in occasione delle elezioni comunali del 27 aprile 1997 informava gli elettori che: “A fronte dei gravi danni causati dalle piogge del 1996, l’impegno degli Enti Locali ha consentito di attivare 50 miliardi per l’adeguamento della rete idrica della nostra Provincia”
L’anno precedente le elezioni comunali del 2001, il Comune di Ravenna produceva una pubblicazione patinata che riferiva come: “Molti sono già gli interventi eseguiti ed altri sono attualmente in corso, da parte degli enti preposti, per prevenire i danni alluvionali. L’Amministrazione comunale in questi anni si è particolarmente adoperata per tutelare il nostro territorio a fenomeni alluvionali. La Regione ha stanziato oltre 90 miliardi per la realizzazione di opere e, tra queste, la protezione dei maggiori canali di scolo (il Lama, il Fosso Ghiaia, il Dismano, la Canala), del fiume Bevano, delle zone di Castiglione e Mezzano, dei fiumi Montone e Reno.”
Ed infine, nel 2005, una pubblicazione della Provincia di Ravenna rassicurava gli abitanti che:
“La fragilità strutturale della rete pubblica di scolo, legata spesso al mancato reciproco coordinamento fra Consorzi ed Enti Locali, ha comunque permesso di dare avvio, partendo da situazioni di emergenza, ad una serie di programmi strutturali di messa in sicurezza del sistema, in parte già realizzati ma che dovranno trovare progressiva attuazione secondo una nuova logica di prevenzione attiva, finalizzata sia alla “minimizzazione” del rischio idraulico che alla individuazione di infrastrutture (invasi) idonee a mitigare la vulnerabilità in caso di eventi siccitosi”
Trascorsi 27 anni da una alluvione unanimemente definita “eccezionale” non siamo da capo. Siamo addirittura al negazionismo del ruolo che ha il consumo di suolo. Nel 1996 c’era la consapevolezza di una situazione datata e inefficiente. Oggi prendiamo atto di impegni disattesi di messa in sicurezza del territorio. A tutto questo si aggiunge che oggi siamo tornati in balia del destino cinico e baro. La collettività non può che subire le forze possenti e indomabili della Natura che si manifesta con il cambiamento climatico.
Con una certa temerarietà, il Sindaco de Pascale, dichiara che: “mentre il tema dei cambiamenti climatici è un tema centrale rispetto all’alluvione, il tema del consumo di suolo c’entra poco”. Si nega quel che quasi trenta anni fa ammettevano senza difficoltà amministratori e tecnici già citati. Se i terreni da cui canali e fiumi raccolgono le acque sono sempre più impermeabilizzati dovrebbe essere chiaro che è più problematico gestirne le piene perché l’afflusso è più intenso e copioso.
Antonio Cederna, nel 1971 sul Corriere della Sera, notava che “Lo sviluppo dei centri urbani ha ubbidito sola alla casualità della distribuzione della proprietà: ai privati è lasciata libertà assoluta nella scelta delle localizzazioni e nell’utilizzazione delle aree, le lottizzazioni sono sorte a casaccio; ed è ad esse che si deve in gran parte il dissesto delle finanze comunali, in quanto i comuni devono poi rincorrerle portando strade, servizi, attrezzature, rovesciando sulla collettività il loro costo”. Nel Comune di Ravenna si è permessa e si permette la costruzione di edifici residenziali in frazioni e capoluogo, addirittura con garage sotterranei e tavernette, senza considerare la fragilità idrogeologica di questo territorio. Al Comune ora, non solo l’obbligo di tutelare queste zone abitate ma anche il restringersi delle possibilità di avere terreni liberi con cui gestire le alluvioni da cui le nostre terre non sono mai state “tutto sommato sicure” come afferma de Pascale.
Ravenna in Comune ritiene che si debba fermare il consumo di suolo e che l’investimento per la sicurezza del territorio deve essere una certezza e non una promessa come ripetuto da trenta anni.
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