Il clima instabile e le criticità del territorio mantengono alta la soglia di attenzione, con l’allerta gialla per gran parte della provincia e arancione nelle zone più occidentali per criticità idraulica, emanata dall’Agenzia regionale di Protezione civile e Arpae Emilia-Romagna per la giornata di oggi, lunedì 15 maggio, che ha sostituito quella rossa di ieri (salvo i comuni di Ravenna e Cervia che erano “arancioni”).
Il livello idrometrico dei fiumi è mantenuto sotto attento monitoraggio in vista del forte maltempo previsto per questa settimana. Nelle giornate di domani e mercoledì si prevedono forti piogge paragonabili a quelle del fenomeno del 2 maggio scorso. Resta dunque di piena attualità il tema della fragilità del territorio prima che venga di nuovo occultato dalla stagione “buona” fino all’inevitabile e facilmente prevedibile prossimo disastro autunnale. Ricordiamo, allora, che come Ravenna in Comune abbiamo detto che tra le posizioni del Sindaco e Presidente della Provincia de Pascale e le nostre ci passa in mezzo una voragine. Quella voragine che le frane che stanno imperversando praticamente dovunque rende visibile anche fuor di metafora.
Siamo al ridicolo quando lo si sente dichiarare che «Questa esperienza ci porta su una dimensione in cui mai più potremo ascoltare le lamentele di chi non vuole che si abbattano alberi dentro agli alvei fluviali o voglia soprassedere al controllo delle specie alloctone come le nutrie, che vanno azzerate». E per denunciare gli evidenti limiti di una affannosa ricerca del capro espiatorio senza minimamente indagare le cause autentiche del disastro, è utile un ottimo articolo appena uscito. Lo firma Linda Maggiori, di cui altre volte abbiamo letto su quotidiani nazionali, che ha intervistato Daniele Zavalloni, del parco nazionale Foreste casentinesi, monte Falterona e Campigna, Giovanni Damiani biologo, presidente del Gruppo Unitario per la difesa delle Foreste Italiane e Leonardo Marotta, docente di “Sistemi Ambientali e Biomimetica” a Venezia, che da anni si occupa di gestione del territorio, dei fiumi e delle coste. Linda Maggiori poi, che ben conosce il nostro territorio, è intervenuta per calare i riferimenti scientifici generali nello specifico locale. Ne riproduciamo alcuni stralci che riteniamo significativi, rinviando per l’integrale all’originale che, comunque, pubblichiamo anche sul nostro sito.
«Le esondazioni sono in natura qualcosa di funzionale e benefico – spiega Daniele Zavalloni – noi però abbiamo creato le città intorno ai fiumi, abbiamo creato argini sempre più alti, costringendo i fiumi lì dentro. Per assurdo sono proprio gli argini sempre più alti a non permettere il deflusso veloce dell’acqua, ma lo stazionamento in quartieri cementificati, che vengono allagati per giorni, con le fognature che si intasano per il troppo fango e non sanno come scolarlo. Il vero problema quindi è prima; prima che il fiume si ingrossi e scavalchi gli argini. Perché finisce tutta questa acqua dentro ai fiumi fino a farli arrivare a 11 metri? I cambiamenti climatici sono un motivo, l’altro problema è che la terra assorbe sempre meno acqua, perché cementificata o sfruttata dall’agricoltura intensiva. Si possono pulire gli argini in maniera non invasiva, togliere i legni morti, gli alberi secchi, i tronchi per traverso sull’alveo, con un lavoro costante fatto anche da squadre di volontari. Le amministrazioni però preferiscono affidare il taglio a raso una volta ogni tot anni, ad aziende e cooperative che poi vendono il legno alle centrali a biomassa. Dopo il taglio a raso, si lascia nell’incuria totale negli anni successivi, fino ad un nuovo taglio drastico. Gli alberi che crescono sulle aree golenali o sugli argini, sono benefici, soprattutto quelli grandi che sostengono gli argini con le radici e rallentano la corsa dell’acqua. Dobbiamo capire che un fiume in piena lanciato a tutta velocità senza nulla che lo freni o filtri, è estremamente pericoloso».
«Pioppi e salici hanno apparati radicali che possono stare in immersione per lunghi periodi nell’acqua, senza che le radici marciscano; – spiega Giovanni Damiani – questo tipo di vegetazione riesce a sopportare le piene dei fiumi. Questa vegetazione:
- Protegge l’acqua dal riscaldamento favorendovi un adeguato tenore di ossigeno, necessario per la vita che ospita;
- Consolida le sponde contrastandone l’erosione e il franamento;
- Con la sua “rugosità”, unitamente alla vegetazione erbacea e ai salici arbustivi, frena l’impeto della corrente.
Insomma tagliando tutta la vegetazione, avremo come risultato un fiume morto, inquinato, surriscaldato e privo di vita, che non sarà esente da frane e esondazioni, alle quali si alterneranno momenti di grave siccità perché le falde non riusciranno a ricaricarsi».
«Inoltre è proprio negli argini privi di vegetazione che le tane scavate dagli animali scavatori possono creare instabilità e smottamenti; – spiega Leonardo Marotta – dove si lascia un’adeguata copertura forestale e arborea, le tane degli animali sono un valore aggiunto e non pregiudicano la stabilità degli argini. Questi animali aiutano anzi a ripulire dalla vegetazione in eccesso, creando un equilibrio. Se alteriamo questo fragile ecosistema, poi rischiamo di non risolvere alcun problema ma di crearne altri. Le amministrazioni devono prendere una decisione: se vogliono argini di terra privi di alberi e animali, allora tanto vale gabbionarli con cemento. Ma è davvero questo quello che vogliamo? Ricordiamoci che le enormi quantità di acqua cadute e l’incapacità della terra di assorbirle, sono causate proprio dalla grave mancanza di alberi, e dall’eccesso di cemento».
Ravenna in Comune sollecita le istituzioni, Sindaco in testa, a non limitarsi ad invocare risarcimenti per i danni per poi spegnere l’attenzione. I risarcimenti sono certo importanti ma, ovviamente, non toccano in alcun modo le criticità. Occorre affrontare innanzi tutto alla radice, senza nascondersi le difficoltà ma neanche ingigantendole ad arte, il problema del riscaldamento climatico, spostando progressivamente la produzione di energia sulle fonti rinnovabili e sostenibili. Poi è indispensabile prima arrestare e poi invertire il consumo di territorio, ritornando a rendere i suoli capaci di assorbire le acque. Infine serve la manutenzione continua del territorio secondo le indicazioni che abbiamo sopra riportato. Attenzione, però, perché non basta dirlo: bisogna farlo veramente! Bisogna attuare immediatamente quel cambio di passo annunciato dal Sindaco ancora nel 2019 e lasciato lettera morta, perché avrebbe danneggiato gli interessi dei soliti noti, petrolieri e palazzinari in testa. L’alternativa è quella di prenotare sin d’ora l’appuntamento con il prossimo disastro.
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Alluvioni, argini, alberi, istrici e… uomo
Fonte: Pressenza del 12 maggio 2023