Ieri, 22 marzo, era la giornata internazionale dell’acqua, appuntamento fissato ogni anno dalle Nazioni Unite sin dal 1992 ad esito della conferenza di Rio. Il tema per quest’anno è il legame tra acqua e cambiamenti climatici. L’obiettivo della giornata è sensibilizzare Istituzioni mondiali e opinione pubblica sull’importanza di ridurre lo spreco di acqua e di assumere comportamenti volti a contrastare il cambiamento climatico. Un appuntamento che l’allarme per la crisi idrica resa esplosiva dalla siccità indotta proprio dal cambiamento climatico dovrebbe mettere al centro dell’agenda politica del Governo centrale ma anche delle Amministrazioni locali. È infatti a livello di territori che gli effetti ricadono più pesantemente. Invece a Ravenna l’Amministrazione de Pascale non ha trovato il tempo nemmeno in quest’occasione per dimostrare un sia pur vago interesse per la tematica idrica che vada al di là delle celebrazioni per i risultati economici di Hera.
Ecco, Hera sì che ha parlato. Ma solo per celebrare sé stessa: «Ai primi posti a livello nazionale nel ciclo idrico integrato per volumi d’acqua fornita, con oltre 3,6 milioni di cittadini serviti in circa 230 comuni», ecc. ecc. Inoltre ha appena celebrato pure i soldi che ha fatto nell’anno appena trascorso che sono poi i soldi di quegli stessi cittadini da cui Hera si fa pagare i servizi affidatile dalle Amministrazioni Comunali. Amministrazioni che a loro volta sono socie di Hera. Il Comune di Ravenna è socio di Ravenna Holding (77% delle azioni; un altro 7% è della Provincia) che detiene il 5% di Hera. Hera nel 2022 ha chiuso con ricavi per 20,08 miliardi di euro, raddoppiando quelli del 2021, e ha fatto utili per 373,3 milioni di euro. La prossima cedola sarà di 12,5 centesimi per azione. Nella nostra provincia Hera si è assicurata il servizio integrato acqua sino al 2027 (sarebbe dovuto cessare quest’anno) grazie ad una proroga “gentilmente” accordata dalla Regione.
Peccato che dall’acqua pubblica Hera dovrebbe rimanere fuori. Il Referendum del 2011 aveva ottenuto con stragrande assenso degli italiani la ripubblicizzazione dell’acqua sottraendo ogni possibilità di far cassa ai privati. Hera inclusa, naturalmente. Con disprezzo della democrazia, né i governi che si sono succeduti a Roma, né le amministrazioni regionali bolognesi e nemmeno l’amministrazione comunale di Ravenna hanno attuato la volontà popolare. Disprezzando gli esiti della democrazia diretta non ci si deve poi stupire se, anno dopo anno, gli elettori si domandano se, di andare a votare, ne valga veramente la pena.
Soprattutto, però, vien da chiedersi se, in cambio degli utili garantiti dai monopoli affidati dai comuni, Hera almeno sull’acqua svolga un buon servizio. E qui sono i dati a parlare. La rete di distribuzione ravennate, di cui Hera (secondo la convenzione che scadrà nel 2027) cura manutenzione ordinaria e straordinaria, perde per strada un quarto dell’acqua fornita da Romagna Acque (di cui Ravenna Holding detiene il 30%). Gli ultimi dati forniti dall’Istat risalgono al 2020 e per quell’anno aveva quantificato l’acqua potabile sprecata nella rete colabrodo provinciale in quasi 10 milioni di metri cubi.
Ravenna in Comune accusa de Pascale e Bonaccini di mantenere in capo ad una società privata il lucroso business di vendita di un’acqua che, invece, dovrebbe ritornare di pubblica disponibilità con gestione diretta pubblica. La nostra accusa va oltre, perché questa decisione, incostituzionale in quanto in palese violazione del referendum del 2011, causa un danno enorme in capo alla comunità attraverso la dispersione di una risorsa sempre più preziosa. E ciò è dovuto alle insufficienti manutenzioni della rete in capo a Hera per via della convenzione che le ha riconosciuto in cambio il monopolio del servizio. Gli annunci di Hera sulle proprie entrate record diffusi proprio nella giornata internazionale dell’acqua costituiscono l’ennesima beffa ai danni della cittadinanza.
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