Ricorre oggi il 36esimo anno da quel 13 marzo 1987 in cui 13 lavoratori non uscirono vivi dall’Elisabetta Montanari. Ravenna in Comune li ricorda ogni anno. Morirono Filippo Argnani, Marcello Cacciatore, Alessandro Centioni, Gianni Cortini, Massimo Foschi, Marco Gaudenzi, Domenico Lapolla, Mosad Mohamed Abdel Hady, Vincenzo Padua, Onofrio Piegari, Massimo Romeo, Antonio Sansovini, Paolo Seconi. Molti erano dei ragazzi ed erano tanti al primo giorno di lavoro. Tante anche le violazioni a tutte le norme possibili, da quelle di sicurezza sul lavoro a quelle di regolare assunzione, rapporto di lavoro, contributi… Tutti accomunati dalla morte. Una morte talmente orrenda da suscitare parole di durissima condanna da parte di un vescovo, poi cardinale, non certo di sinistra: Ersilio Tonini. Stigmatizzò al funerale dei 13 morti chi aveva posto i lavoratori di fronte «a un ricatto: o trascinarsi in una disoccupazione logorante, spregevoli a sé e agli altri, o mostrarsi disponibili a tutto, al lavoro nero, alle prestazioni più umilianti, al rischio di morire come topi in trappola».
Dopo 36 anni sono cambiate tante cose. Sono cambiate le norme sulla sicurezza nel lavoro, ad esempio. È cambiato anche il porto ravennate, che ha visto la scomparsa di cantieri come quello Mecnavi. Non sono invece venute meno le cause profonde di quella orrenda strage: l’indifferenza nei confronti di chi lavora, la cui sicurezza è considerata incomparabilmente meno importante del far soldi a qualunque costo umano. Né è venuta meno l’assenza di effettiva sanzione contro questa indifferenza. Valgono ancora oggi, dopo 36 anni, le parole di Tonini in quell’omelia: «Non è vero che il mondo del lavoro è ormai del tutto in ordine. Proprio lì si svelano zone di sofferenza estrema e autentica disumanità». Vale ancora di più “l’insegnamento” arrivato a padroni di oggi dalla lunga vicenda processuale dei padroni di allora. Gli Arienti, che possedevano la Mecnavi e la dirigevano, hanno “pagato” un conto assai modesto alla Giustizia per quella strage. I padroni di oggi sono “più bravi” a mettere “filtri”, ossia manager, tra loro e quelli che vengono ancora chiamati “incidenti” sul lavoro. Le indagini non arrivano mai a raggiungere chi intasca i profitti a prezzo della vita. Si fermano a manager che, per lo più, non subiranno mai un giorno di carcere anche se (e accade rarissimamente) dovessero infine venire condannati in via definitiva. Più probabile è che resti impigliato nei giudizi un qualche collega delle vittime, condannato sostanzialmente per il solo fatto di essere rimasto vivo dopo la morte dell’altro lavoratore.
Non è stato il destino infame a pretendere in sacrificio la vita di 13 lavoratori 36 anni fa. E nemmeno la superstizione legata al numero 13 o alla giornata del venerdì ha giocato un qualche ruolo. Sono stati i padroni per «il guadagno, il successo, la riuscita, la propria gratificazione» scambiati, come disse allora Tonini, con «quell’attenzione all’onestà che gli stessi atei della nostra Romagna hanno conservato come tesoro prezioso da trasmettere ai propri figli». Onestà, intesa come rispetto delle regole poste a tutela della vita, di cui gli “imprenditori” romagnoli sono stati lieti di sbarazzarsi come di un inutile gravame. Ravenna in Comune chiede al Sindaco e alle altre istituzioni di fare la propria parte, 36 anni dopo, per stigmatizzare i comportamenti disumani dei padroni. Se la Giustizia non li processa e li incarcera, le istituzioni democratiche possono almeno evitare di onorarne il valore economico perdendo completamente di vista il disvalore etico.
Un esempio tra i tanti possibili: nello stabilimento di proprietà dei fratelli Marcegaglia di Ravenna, negli anni, si sono avuti molteplici accadimenti pericolosi che hanno messo a rischio l’incolumità di lavoratrici e lavoratori. Alcune volte ci sono state conseguenze in termini di infortuni su lavoro. In altre l’evento ha avuto la morte come esito. Tutto questo continua, implacabilmente, eppure i due padroni, fratello e sorella, ricevono solo lodi per i loro investimenti nella fabbrica lungo il Candiano. Né il Sindaco, né gli Assessori della Giunta de Pascale, hanno mai speso anche solo due parole per denunciare le persistenti problematiche in fatto di sicurezza del polo ravennate, l’enorme sperequazione nel trattamento dei lavoratori dovuto al massiccio impiego di appalti e subappalti, i comportamenti asociali emersi in più occasioni e giunti persino alla sostanziale disincentivazione della donazione di sangue, eccetera. Anzi, i due Marcegaglia sono stati accolti con tutti gli onori a Palazzo Merlato.
È inutile allora perder tempo nelle commemorazioni per la ricorrenza del 13 marzo 1987, sotto lo scalone di Palazzo Merlato, se anche dalle istituzioni vengono onorati più i soldi delle vite dei lavoratori. Lasci perdere il PD le fregnacce sul cambio di nome del partito quando al presunto interesse per “il lavoro” non corrisponde un reale interesse per le lavoratrici e i lavoratori in carne, ossa e dignità in quanto persone piuttosto che “risorse umane”. Il ricordo di 13 vite spezzate in un venerdì 13 del 1987 non merita una tale presa in giro.
[nella foto: l’Elisabetta Montanari in navigazione prima di arrivare al cantiere Mecnavi di Ravenna]
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Ricordare la Mecnavi. 36 anni fa 13 operai morirono asfissiati all’interno della nave Elisabetta Montanari. La celebrazione in Municipio