Abbiamo contestato le posizioni di un Sindaco e di una Assessora sull’inflazione ravennate e, purtroppo, la nostra è stata ricondotta alla categoria delle “polemiche”. Nulla di tutto ciò. Ben lontana dall’essere “polemica”, quella di Ravenna in Comune è stata una nota “politica”. Nel senso più alto e trascurato (purtroppo) del termine, ossia di quell’insieme di pratiche che hanno a che vedere con l’amministrazione della cosa pubblica: la téchne della polis che è poi l’arte di governo della Città. Proprio quella che a Ravenna latita da troppo tempo, purtroppo.
Al Sindaco abbiamo fatto presente che, in un contesto di particolare fragilità della comunità del nostro Comune, parlare come se nulla fosse di aumentare le tasse concorre già di per sé ad aumentare la criticità dell’ambiente economico in cui viviamo. Figurarsi poi se all’annuncio dovesse far seguito l’effettivo aumento della tassazione locale. Già lo abbiamo sperimentato con la TARI 2022 appena versata, ben più cara di quella versata per l’annualità 2021. Ma per il prossimo futuro la pressione fiscale in genere dovrebbe tutta aggravarsi stando al Sindaco. A Piangipane, infatti, giusto un mese fa, de Pascale lo ha anticipato. La domanda era chiara e riguardava «l’eventuale aumento di tributi e imposte locali. Come si comporterà in questo caso l’amministrazione ravennate?». Anche la risposta del Sindaco è stata altrettanto chiara: «Margini nella fiscalità ne esistono. Negli ultimi 5 o 6 anni siamo riusciti a non intervenire, ma questa volta non escludo di dovervi ricorrere».
Gli ha dato manforte l’Assessora comunale con deleghe a bilancio, politiche per le famiglie, l’infanzia e la natalità sostenendo, in altra intervista, di non vedere «differenze fra la nostra città e altrove. Al momento in Giunta non abbiamo in previsione particolari approfondimenti su eventuali ragioni specifiche che causino l’inflazione ravennate». Il mancato appesantimento del caro vita ravennate, malauguratamente, non trova conferme, visto che, non solo Ravenna in Comune, ma lo stesso Sindaco dichiara: «Ravenna ha avuto uno degli incrementi più alti a livello nazionale e questo preoccupa». E allora, però, bisognerebbe essere conseguenti ed adottare, da un lato, politiche che aggrediscono il fenomeno, e, dall’altro, misure che consentano di ridurne la portata specialmente nei confronti di chi lo subisce in modo particolarmente pesante. Era stato lo stesso Sindaco a riconoscere «che a farne le spese è la popolazione con i redditi più bassi. Dobbiamo essere pronti ad aiutare chi andrà in difficoltà per via di questa dinamica». Tra il dire e il fare, però, c’è di mezzo il non fare. E dopo un mese, infatti, non si è ancora fatto nulla secondo le linee di non azione anticipate dall’Assessora Molducci: «Il Comune, come noto, non ha possibilità di intervenire sulle dinamiche che determinano l’inflazione».
Intanto, però, è Federconsumatori Ravenna che «rileva variazioni tendenziali assai preoccupanti per il territorio del comune» nell’ambito dell’indagine sull’andamento dei prezzi nella Regione Emilia-Romagna che l’organizzazione legata alla CGIL ha elaborato. Ha spiegato Vincenzo Fuschini, presidente di Federconsumatori Ravenna:
«A fronte di un indice regionale del 8,4%, l’indice medio annuale di Ravenna è del 9%, registrando aumenti di prezzo per tutti i settori, escluse le comunicazioni e l’istruzione. Di particolare rilievo gli aumenti dei generi alimentari (+10,2%), dei trasporti (+9%), dei servizi ricettivi e della ristorazione (+6,7%) e sanitari (+5%), fino al vero e proprio boom delle spese per abitazione, acqua, elettricità, gas e altri combustibili con un aumento di spesa per le famiglie del 36,1%. Risulta perciò evidente che l’aumento delle rendite immobiliari e dei mutui e, ancora di più, delle spese per l’energia trascina verso l’alto tutti i prezzi dei beni di prima necessità, che collocano Ravenna al quarto posto fra i capoluoghi di provincia della regione, dopo Forlì, Piacenza e Bologna, ma in sostanza allo stesso livello di queste, dato che le differenze percentuali fra i primi quattro capoluoghi sono dello 0,1- 0,2%. Ravenna è perciò attualmente una delle città più care della regione, con un aumento di spesa per una famiglia di tre persone di 2.910,81 euro annui, rispetto al 2021 (a livello regionale l’aumento è di 2.900,40 euro). Le spese per abitazione ed energia incidono in modo preponderante sull’aumento di spesa, per l’ammontare di euro 1.897,98 (a livello regionale 1.908,91 euro). Sostanzialmente alla pari con l’aumento di spesa regionale è l’incremento per i prodotti alimentari, pari ad euro 835,20. Il colpo per i redditi delle famiglie dei lavoratori dipendenti e dei pensionati è assai grave, ma è assai preoccupante anche l’aumento per i nuclei composti da una sola persona (più 1.922,54 euro), considerando che spesso si tratta di persone anziane. Il minor incremento di spesa per le famiglie di tre persone, ma con il capofamiglia disoccupato (più 2.617,24 euro, circa 300 euro in meno delle altre famiglie) deriva per quasi un terzo dalla minor spesa per generi alimentari, il che induce a riflessioni assai preoccupanti sul peggioramento dell’alimentazione delle famiglie economicamente fragili».
Ravenna in Comune chiede al Sindaco e alla Giunta di smettere di tergiversare mentre la situazione precipita a danno delle fasce più deboli della popolazione. La piantino i candidati alla segreteria del suo partito, il PD, di pontificare sul cambio del nome continuando a tutelare, di fatto, la posizione dei padroni a danno di quella di chi lavora o che è escluso dalla possibilità di procurarsi un reddito da lavoro. Ovvero chi non ha la possibilità di scaricare altrove il maggior costo che subisce per l’inflazione. Torniamo a chiedere l’introduzione di un Reddito di Cittadinanza Comunale che è indispensabile sia attivato immediatamente in sostituzione della prossima cessazione di quello nazionale.
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Federconsumatori Ravenna: Nel 2022 prezzi +8,4% in regione, +9% a Ravenna. Una famiglia di tre persone spende in più 2.910 euro annui