Quindici anni fa, durante il turno di notte, tra il 5 e il 6 dicembre 2007 l’avidità senza freni reclamava la vita di sette lavoratori. Si è ricordato ieri “l’incidente” della ThyssenKrupp di Torino. Le mancate manutenzioni, le carenze alla sicurezza, i risparmi per evitare di girare risorse ad un impianto destinato alla chiusura stanno alla base del rogo in cui morirono gli operai.
Risparmi sulla sicurezza e produttività spinta evitando misure di protezione, ingordigia verso gli utili da realizzare e disinteresse per le possibili conseguenze delle violazioni alle norme sono le cause di morti, feriti e danni vari a lavoratrici e lavoratori. Vale per la ThyssenKrupp di Torino quindici anni fa, come per la Mecnavi di Ravenna trentacinque anni fa. Dove i morti furono quasi il doppio di quelli di Torino: tredici.
Dopo il rogo e i processi si disse che niente sarebbe stato più lo stesso. Che la sicurezza sarebbe stata messa davanti a tutto. Se non muore più nessuno a Torino nella ThyssenKrupp è per lo stesso motivo per cui non muore più nessuno a Ravenna nella Mecnavi. Non c’è più l’acciaieria piemontese in mano ai tedeschi come non ci sono più i grandi cantieri romagnoli di proprietà degli Arienti.
Per il resto non sono cambiati i fondamentali che provocano questi fatti. A Bologna venne aperto il 1° gennaio 2008 da Carlo Soricelli, proprio per non dimenticare i sette operai della ThyssenKrupp di Torino morti poche settimane prima, l’Osservatorio Nazionale dei morti sul lavoro che, dopo 15 anni di monitoraggio, chiuderà alla fine dell’anno. Aggiornato a ieri in Italia l’Osservatorio indicava 1382 morti tra i lavoratori durante il 2022, 720 di questi sui luoghi di lavoro e gli altri sulle strade e in itinere.
Lavoratrici e lavoratori continuano a morire perché i padroni continuano a non andare in galera. I padroni veri, i proprietari che fanno cassa sui risparmi e intascano gli utili sono sempre al riparo dietro alle responsabilità dei manager, pagati apposta per assumersele. Uno dei rari casi in cui un manager di quelli importanti è stato condannato ad una pena detentiva in grado di fare la differenza è avvenuto al termine dei processi per il rogo della ThyssenKrupp. L’amministratore delegato Harald Espenhahn dopo 15 anni dal rogo e a 8 dal passaggio in giudicato della sentenza che lo condannava a 9 anni e 8 mesi di carcere non ha mai passato nemmeno un giorno in carcere. Più o meno lo stesso è accaduto agli Arienti dello stabilimento Mecnavi. E lo stesso continua ad accadere su e giù per l’Italia quando i processi si riescono a fare e le sentenze sono di condanna. Perché più spesso nessuno viene condannato. Al limite finiscono per pagare colleghi di lavoro del morto. I padroni mai.
Il 14 gennaio 2021, di notte, è morto un ravennate, Christian un ragazzo di 26 anni, che lavorava nella stazione di trasferenza di Hera Ambiente a Cervia. Lavorava per la ditta Ravenna Chimica, azienda del gruppo Ciclat quando fu travolto da una pala meccanica. Su quattro persone inizialmente indagate per omicidio colposo, la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio solamente per il datore di lavoro, nella figura del legale rappresentante di Ravenna Chimica. Niente giudizio per il legale rappresentante di Hera, nonostante la multiservizi fosse la proprietaria dell’impianto. Nessun giudizio nemmeno per il rappresentante dell’impresa che aveva fornito la pala nonostante sia risultato che la stessa era frutto di un assemblaggio con pezzi non originali. Ad undici mesi è stato invece condannato il collega di Christian. Secondo la ricostruzione del PM quest’ultimo informò il datore di lavoro che la benna del mezzo meccanico si era rotta e venne incaricato insieme a Christian, benché nessuno dei due fosse manutentore e fosse già concluso il turno di lavoro, di sostituire il componente rotto. Riporta la stampa che: «L’intervento – hanno appurato le indagini – sarebbe stato svolto in assenza di procedure aziendali e attrezzature idonee, nonché in condizioni ambientali sfavorevoli […] la benna si ribaltò, la pala gommata retrocesse di circa un metro e il 26enne fu travolto da queste componenti meccaniche, riportando lesioni mortali. […] Oltre all’omicidio colposo, al datore di lavoro sono contestate una serie di violazioni al testo unico sulla sicurezza sul lavoro, per l’omessa valutazione dei rischi e adozione di misure organizzative idonee, nonché per la mancata formazione e qualificazione dei lavoratori per l’esecuzione delle operazioni di riparazione». Siamo solo all’inizio: la prima udienza del processo si è svolta pochi giorni fa. La morte di Christian, però, ne ha chiamata un’altra sette giorni dopo, il 21 gennaio dello scorso anno. Un suo amico non ha retto al dolore e si è tolto la vita lanciandosi dal tetto dell’Itis di Ravenna.
Subito dopo la morte di Christian scrivevamo: «I sindacati e le istituzioni hanno subito scritto che è inaccettabile e intollerabile. Anche i sindacati e le istituzioni, come noi, si ripetono. Noi e loro sappiamo che fino a quando non capiterà che un padrone sarà condannato a pena grave per aver prodotto lo spegnimento di una vita e sconterà quella pena, le morti continueranno a succedersi, anche se non dovrebbero, perché tutte potenzialmente evitabili». Come Ravenna in Comune, a 15 anni dal rogo della Thyssen, ci sentiamo costretti a ripeterlo, perché è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un padrone vada in galera per la morte di un lavoratore. Così lavoratrici e lavoratori continuano a morire di lavoro.
[Nell’immagine: il rogo della ThyssenKrupp di Torino]
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Rogo Thyssenkrupp, le famiglie delle vittime “15 anni senza giustizia, Italia codarda”
Fonte: Il Fatto Quotidiano del 6 dicembre 2022
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Morì nella discarica travolto dalla pala Chiesto rinvio a giudizio del datore di lavoro