La Cassazione ha completato con le motivazioni della sentenza conclusiva il processo Aemilia. Nel comunicato stampa che accompagna il deposito delle motivazioni, la Cassazione conferma quanto già noto, ossia la «complessiva correttezza dell’operato dei giudici di primo e secondo grado con le sentenze del Tribunale di Reggio Emilia del 31 ottobre 2018 e della Corte di appello di Bologna del 17 dicembre 2020 (Aiello + 118)». Soprattutto ha definitivamente riconosciuto l’esistenza di «un articolato e differenziato programma associativo di carattere criminoso, supportato da un’ampia dotazione di uomini e mezzi, finalizzato ad accrescere il controllo sul territorio in settori nevralgici del tessuto imprenditoriale emiliano, quali gli autotrasporti e l’edilizia, anche attraverso il riciclaggio di capitali illeciti. Il complesso iter processuale ha accertato come, nell’arco decennale di attività, l’associazione mafiosa abbia compiuto una progressiva evoluzione strutturale, passando dagli schemi tradizionali della ‘ndrangheta verso un più sofisticato metodo di penetrazione criminale nel tessuto sociale, contraddistinto anche dalla prospettiva di realizzare progetti dominanti in svariati settori imprenditoriali e della società civile».
Tra i procuratori che hanno sostenuto la pubblica accusa nell’appello confermato dalla cassazione figura l’attuale Procuratrice Generale reggente di Bologna, in dirittura di arrivo per il ruolo di Procuratore Generale delle Marche, Lucia Musti, fatta oggetto di due episodi di intimidazione di chiara matrice. All’inaugurazione dell’anno giudiziario aveva definito la nostra Regione “distretto di Mafia”: «Uso questo termine perché, dalla corretta lettura delle indagini e dei processi contro la ndrangheta che si sono svolti nella regione Emilia Romagna, è evidente che non è più una questione di presenza di mafiosi, di diffusione della mentalità, ma piuttosto di condivisione del metodo mafioso anche da parte di taluni cittadini emiliano-romagnoli, imprenditori e colletti bianchi, ovverosia professionisti, i quali hanno deciso che “fare affari” con la ndrangheta è utile e comodo».
Lo conferma la Cassazione: «Alla progressiva e massiccia penetrazione nel tessuto produttivo non è riuscito a porre un tempestivo ed efficace argine il ceto imprenditoriale sano». Anzi gli imprenditori hanno spesso avuto «comportamenti di interessata tolleranza, sfociati talvolta in un consapevole ricorso alla forza della cosca» vista come un affidabile “fornitore di servizi”: dalle minacce al recupero crediti, della falsa fatturazione allo sfruttamento lavorativo.
Nelle ultime settimane è stata pubblicata la relazione della Direzione Antimafia che riassume l’andamento per il secondo semestre del 2021. In essa leggiamo che in Emilia Romagna «la condotta delle cosche parrebbe indirizzata sempre più verso l’infiltrazione dell’economia abbandonando quasi del tutto l’atteggiamento basato sul tradizionale controllo del territorio e sulle manifestazioni di violenza. […] La penetrazione nel tessuto economico e imprenditoriale tenderebbe a connettere la ‘ndrangheta alla c.d. zona grigia in cui orbitano professionisti e imprenditori. Questi ultimi a loro volta rappresenterebbero un contatto privilegiato con quegli ambienti funzionali ad ottenere anche sostegno finanziario e a realizzare nuove e strumentali iniziative economiche». Ancora più netta era stata la DIA nella relazione per il primo semestre dove evidenziava che nella nostra regione «I sodalizi criminali pertanto tenderebbero a confondersi nel tessuto sociale cercando di utilizzare le liquidità illecitamente accumulate in investimenti nelle attività imprenditoriali ed economiche legali e nel tradizionale target d’elezione costituito dagli appalti pubblici adottando condotte di basso profilo per non destare sospetti».
Questo non riguarda la sola ‘ndrangheta ma anche altre consorterie criminali. Né per questo si sono abbandonati i filoni più tradizionali di “investimento” da parte delle mafie. Non per niente la relazione al parlamento cita espressamente Ravenna come centro di interesse dei clan casertani per la gestione delle slot machine e delle scommesse sportive online come confermato dall’operazione “Nautilus”…
È essenziale che alle Istituzioni e, in particolare all’Amministrazione Comunale, non sfugga la dimensione del problema. Il Sindaco aveva parlato di istituire un apposito osservatorio nel suo programma elettorale. È scomparso dai radar e, comunque, non sarebbe una risposta adeguata. Specie se poi venisse depotenziato come ha fatto con il “nostro” Osservatorio sulla legalità e sicurezza del lavoro. L’attenzione va posta innanzi tutto ai bandi pubblici, a come costruirli e implementarli ed è di assoluta priorità. Dovrebbero costituire un monito le interdittive antimafia che continuano ad abbattersi sugli esiti delle aggiudicazioni degli appalti comunali. Ravenna in Comune chiede alle Istituzioni di dimostrarsi all’altezza della sfida, adottando un approccio amministrativo consapevole dei rischi che il metodo mafioso comporta per il territorio. Ravenna non rappresenta una felice anomalia ma risulta pienamente inserita nel distretto di mafia regionale.
[nella foto di Massimo Argnani: i resti dell’auto di scorta al giudice Giovanni Falcone esposti in Piazza Garibaldi a Ravenna il 29 marzo di quest’anno]
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Aemilia: ‘ndrangheta è “autonoma e radicata”, dagli imprenditori “consapevole ricorso alla cosca”. Le motivazioni della Cassazione