Ravenna in Comune è l’unica forza politica del capoluogo ad occuparsi dei rischi che sta correndo il nostro potenziale nono sito Unesco: la vena del Gesso. È stata candidata un anno fa a Patrimonio dell’Umanità ma potrebbe essere respinta la domanda a causa delle distruzioni operate dalla cava di gesso sfruttata dalla Saint-Gobain. È vergognoso il disinteresse che circonda l’argomento di quanto accade poco fuori i confini comunali visto che proprio a Ravenna se ne decideranno le sorti. È stato de Pascale, infatti, col berretto di Presidente della Provincia, ad attivare la fase di partecipazione e consultazione sul polo estrattivo di Monte Tondo, ai fini dell’elaborazione del Piano infraregionale delle attività estrattive (Piae) della Provincia di Ravenna. Piano che dovrà decidere vita o morte di quell’inestimabile patrimonio rappresentato dalla vena e dalle grotte per le quali la Saint-Gobain, da “brava” multinazionale, rivendica la possibilità di sfruttamento per almeno altri 20 anni. Fa il suo liberistico e padronale “lavoro”: pretende di avere tutto il gesso che le serve come risorsa da consumare per produrre cartongesso. Infarcisce i propri documenti di economia circolare ed altre utili paroline a far mandar giù quello che significherebbe in concreto: distruzione. In cambio, naturalmente, “garantisce” posti di lavoro. Il solito ricatto a cui rispondono positivamente il sindacato e le rappresentanze comunali.
La Federazione speleologica risponde con il suo presidente Massimo Ercolani: «chi mi conosce sa che ho fatto il sindacalista per una vita. Nessuno si azzardi ad accusare la Federazione speleologica di non avere a cuore le sorti dei dipendenti dell’impianto di Casola Valsenio. Siamo stati noi gli unici a evidenziare le problematiche occupazionali di quella vallata, mentre la politica guardava dall’altra parte. Dopo 17 anni, si provvede ora a fare un piano del Parco della Vena del Gesso solo per poterla distruggere. Gli amministratori sanno che appena un anno fa hanno candidato la Vena del Gesso a Patrimonio dell’Umanità Unesco? Già ora si stanno intaccando grotte che per legge non dovrebbero essere toccate: sfido chiunque a smentirmi. Gli amministratori sono mai entrati nella cava per vedere cosa stesse succedendo?». In precedenza lo aveva già detto: «Occorre subito un piano di riconversione per l’impianto di lavorazione del gesso di Casola Valsenio, in modo da tutelare il futuro occupazionale della vallata. La politica ha tergiversato per vent’anni, ignorando il problema. Sappiamo che ai ritmi attuali di escavazione sarà possibile estrarre gesso fino al 2032. Il tempo per trovare una soluzione c’è: bisogna mettersi al lavoro, per evitare di aprire un’emorragia occupazionale e per sanare la ferita ambientale inferta a Monte Tondo».
La nostra posizione è chiara e lo è sempre stata: “Monte Tondo, con le sue grotte, non deve essere distrutto. Non deve essere consentito l’ampliamento e deve subito essere fissata una data definitiva come termine ultimo dei lavori di estrazione per consentire di programmare la riconversione dell’azienda. È una multinazionale che si occupa di tante cose: non sarebbe certo difficile con un’azione politica seria. Siamo assolutamente solidali con la richiesta della Federazione regionale speleologica che facciamo nostra. Come Ravenna in Comune, per quanto residui nella competenza della Provincia, esigiamo un intervento in tal senso dal Sindaco di Ravenna, che della Provincia è Presidente. Se significa qualcosa quel “cambio di passo” che il Sindaco ha più volte evocato parlando di sostenibilità ambientale, la salvaguardia di Monte Tondo è un passaggio ineludibile».
[La foto da “La cava nei gessi di Monte Tondo ovvero documenti e immagini di una montagna che non c’è più”, luglio 2020 a cura della Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia-Romagna]
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Botta e risposta all’incontro sulla cava. Monte Tondo, ieri la discussione on line con la Provincia sull’aggiornamento del piano per le attività estrattive