Mentre oggi, in un tribunale a Londra, si decidono le sorti di Julian Assange e della libertà di stampa e di pensiero globali, noi di Ravenna in Comune vogliamo esprimere la nostra solidarietà a chi si è battuto per la verità e ora ne sta pagando le conseguenze.
Pubblichiamo un articolo tratto da liberopensiero.eu a firma Augusto Heras
Abbiamo così a cuore la libertà di espressione? Allora tuteliamo Assange
Nei tribunali britannici si sta decidendo sulla sorte di Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, e del giornalismo. Lo scorso 4 gennaio infatti è stata negata l’estradizione di Assange negli Stati Uniti, dove rischia 175 anni di carcere in una prigione di massima sicurezza per spionaggio e pirateria informatica ai sensi dell’Espionage Act del 1917. Intanto gli Stati Uniti ricorreranno in appello: la decisione finale determinerà il futuro della stampa mondiale e della libertà di espressione.
L’estradizione (per ora) respinta
La giudice distrettuale Vanessa Baraitser ha deciso che Assange non può essere estradato negli Stati Uniti, ma le motivazioni non hanno niente a che fare con i capi d’imputazione. Anzi, ha smontato le argomentazioni della difesa e ha accettato l’affermazione delle autorità statunitensi secondo cui le attività di cui è accusato Assange non rientrerebbero nel campo del giornalismo. Di converso ha accolto le considerazioni dei medici sulle precarie condizioni di Assange e con queste ha motivato la sua decisione: affetto da tendenze suicide, le carceri statunitensi (e soprattutto se soggetto al sistema delle Misure Amministrative Speciali, SAMs) non garantirebbero la sua sicurezza.
Molti giornalisti hanno accolto con favore la decisione, ma hanno anche evidenziato come la sentenza, accogliendo le argomentazioni dell’accusa, sia pericolosa per il giornalismo investigativo e la libertà di espressione: è solo “grazie” alla barbarie del sistema carcerario statunitense che Assange non è stato estradato. Owen Jones, editorialista del The Guardian, ha definito la sentenza come una giusta decisione, ma per le ragioni sbagliate. Secondo Nils Melzer, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, Assange presenta tutti sintomi associati a tortura psicologica e i suoi diritti sono stati severamente e sistematicamente violati per oltre un decennio.
Due giorni dopo la decisione sull’estradizione la stessa giudice ha respinto la richiesta degli avvocati di Assange (tra cui la sua compagna Stella Moris) di rilascio per preparare la difesa nel processo d’appello. Secondo la toga britannica, l’australiano avrebbe ancora «incentivo a fuggire dai procedimenti legali contro di lui, ancora irrisolti». Così, rimarrà ancora per molto nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, nel sud-est di Londra, in cui si trova ormai da 18 mesi. A peggiorare la situazione, Assange è in isolamento per lo scoppio di un focolaio COVID nel carcere.
La decisione finale sull’estradizione spetterà al Ministro degli Interni britannico, ma non sono esclusi colpi di scena, poiché i risvolti futuri sono ancora poco chiari. Se alla fine verrà negata l’estradizione, Assange sarà formalmente libero, ma estremamente limitato nella libertà di movimento al di fuori del Regno Unito per tutta la sua vita. In caso contrario, gli scenari sono molti: gli avvocati potrebbero ricorrere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo; il Presidente del Messico López Obrador avrebbe aperto alla possibilità di concedergli asilo politico; infine, si vocifera sulla grazia del Presidente degli Stati Uniti. Ormai scartato il perdono da mercimonio da parte di Trump, le speranze dei sostenitori di Assange sono riposte nel neo-presidente Biden, che aveva tuttavia paragonato Assange a un «terrorista high tech».
Il caso Assange, in breve
Ma perché Julian Assange si trova in carcere e sotto processo per essere estradato? Cittadino australiano, Assange nel 2006 fonda WikiLeaks, piattaforma criptata di raccolta di informazioni riservate. Tra il 2010 e il 2011 WikiLeaks sale alla ribalta mondiale della libertà di espressione con la pubblicazione, in collaborazione con le più importanti testate giornalistiche internazionali, di mezzo milione di documenti riservati USA sulle operazioni militari in Iraq e Afghanistan, cablo diplomatici e i Guantanamo Papers. Tutti documenti che dimostravano gli abusi del governo e dell’esercito statunitensi, con decine di migliaia di morti civili mai rivelate al pubblico: forse il più famoso di questi leak è il video Collateral Murder, che mostra la strage indiscriminata ad opera di due elicotteri USA a Baghdad nel 2007, dove furono uccisi diversi civili, tra cui due giornalisti Reuters. La fonte di tutti questi documenti è stata Chelsea Manning, whistleblower e analista d’intelligence, che nel 2013 è stata condannata a 35 anni di carcere in violazione proprio dell’Espionage Act. La sentenza è stata commutata nel 2017 negli ultimi giorni di presidenza Obama e Manning scarcerata, ma ricondotta in prigione nel marzo 2019, per un anno, per essersi rifiutata di testimoniare nel caso Assange.
Nel 2012, accusato di violenza sessuale in Svezia (caso archiviato nel 2017) e per evitare l’estradizione nel paese scandinavo, Assange si rifugia nell’Ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove ottiene asilo politico dall’allora presidente Correa. Il giornalista australiano ha sempre sostenuto che l’estradizione in Svezia celasse in realtà quella verso gli Stati Uniti, avendo il timore di essere accusato ai sensi dell’Espionage Act per aver pubblicato il materiale fornitogli da Manning. Paura che si realizzerà: dal 2010 sotto inchiesta del Grand Jury di Alexandria, Virginia, accusato prima per crimini informatici per un reato mai avvenuto, nel maggio 2019 gli è stata allungata dall’amministrazione Trump secondo l’Espionage Act la lista dei capi imputazione per i documenti pubblicati da WikiLeaks.
Nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra Assange vivrà per 7 anni, fino al 2019. «È come vivere in una stazione spaziale», dirà, mentre continuerà l’attività con WikiLeaks, fino ad essere accusato di aver influenzato le presidenziali USA 2016, associato al Russiagate e alle email trafugate al Partito Democratico. Inoltre, dentro l’Ambasciata dell’Ecuador Assange, i suoi collaboratori e i giornalisti che si sono occupati della vicenda (come Stefania Maurizi), sarebbero stati spiati per conto della CIA dall’azienda spagnola incaricata della sicurezza della sede diplomatica ecuadoriana. Ad aprile del 2019 l’Ecuador guidato dal presidente neoliberale Lenin Moreno (l’ironia) ha revocato l’asilo politico ad Assange per violazioni dei termini: così, Scotland Yard ha prelevato di peso da un’ambasciata straniera un cittadino e lo ha arrestato. Assange è stato poi condotto in carcere per violazione del rilascio su cauzione nel 2012, quando si era rifugiato nella sede diplomatica del paese latinoamericano. Scontata la pena, è rimasto in carcere per tutta la durata del caso per l’estradizione negli Stati Uniti, e ci rimarrà in attesa della sentenza d’appello.
Perché tutelare Assange è fondamentale
È importante ricordare che le accuse mosse dagli Stati Uniti contro Julian Assange non hanno nulla a che fare con le azioni di WikiLeaks nel 2016, per aver presuntamente influenzato le elezioni presidenziali USA, ma riguardano esclusivamente la pubblicazione da parte di WikiLeaks dei documenti statunitensi riservati ormai dieci anni fa. Ed è proprio per questo che chi ha a cuore la libertà di espressione dovrebbe tutelare Assange.
La posta in gioco infatti va oltre la sua sorte: con l’incriminazione di un editore/giornalista ai sensi dell’Espionage Act per pratiche giornalistiche piuttosto comuni si suggerisce in maniera neanche troppo velata che qualunque testata che riceva attraverso whistleblower documenti riservati e li pubblichi è altrettanto imputabile per spionaggio, anche quando le informazioni ottenute sono di interesse pubblico. In questo modo, un uso politico dell’Espionage Act potrebbe comportare un precedente pericolosissimo: come sottolinea Laura Poitras (Premio Pulitzer per il caso Snowden), ogni giornalista o editore, in qualunque parte del mondo, che si occupa di sicurezza nazionale e che pubblica materiale riservato può essere incriminato come spia dagli Stati Uniti, normalizzando la persecuzione, l’autocensura e il bavaglio alla libertà di espressione per tutto il mondo del giornalismo.
Per questi motivi, media, giornalisti e organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International si sono espresse con forza contro un’eventuale estradizione di Assange. Secondo The Guardian le accuse minano le fondamenta della democrazia e della libertà di stampa; il suo ex direttore Alan Rusbridger, collaboratore di Assange e aspro critico di alcune sue scelte, lo ha sempre difeso. Lo stesso vale per altri giornalisti, come James Ball e la stessa Laura Poitras, che hanno lavorato insieme ad Assange e non hanno mai nascosto i disaccordi e i rapporti non idilliaci con il fondatore di WikiLeaks: non deve piacere Julian Assange per poter difendere lui e ciò per cui è accusato.
La figura di Assange è molto controversa ed estremamente polarizzante e divisiva, tra idolatria religiosa e odio viscerale. Ma andando oltre questi aspetti, è intellettualmente onesto riconoscerne i meriti importantissimi: il caso WikiLeaks è stato un momento cruciale per il giornalismo, come anche un esempio di libertà di espressione al servizio dell’opinione pubblica. È diritto all’informazione sulle irregolarità dei governi, non informazione rubata e venduta a paesi stranieri. Non è spionaggio, è democrazia.