L’occasione è stata l’inaugurazione del reparto dialisi, all’ospedale di Lugo. Ieri il direttore generale dell’AUSL Romagna, Tiziano Carradori, è stato nuovamente chiamato a spiegare lo spaventoso ritardo accumulato a livello di liste di attesa nel nostro sistema sanitario. Ad inizio 2020 in campagna elettorale Bonaccini decantava la presunta eccellenza del modello regionale. Solo pochi mesi dopo “grazie” al Covid non si potevano più nascondere le carenze cui questo sistema è pervenuto: meno risorse al pubblico a tutto vantaggio di convenzioni con il privato. Ossia meno risorse umane e tecnologiche a disposizione per gestire i bisogni di quella comunità che non può metter mano ogni volta al portafoglio per un appuntamento nel dorato mondo delle cliniche private. E questo nonostante il bilancio della regione sia “fatto” prevalentemente di capitoli che riguardano la sanità.
Domanda del giornalista: «Qual è la situazione oggi anche in relazione al recupero delle visite e delle operazioni che sono state rimandate nel tempo?».
Risponde Carradori: «Ci vogliono più risorse: umane e tecnologiche. Se non ci sono più risorse sarà ben difficile che noi recuperiamo in tempi adeguati a quelle che sono le nostre aspettative».
Un anno fa sempre Carradori annunciava: «i cittadini dovranno armarsi di pazienza e convivere ancora con disagi e disservizi. È questa la dura realtà in un paese che ha deciso negli ultimi 20 anni di disinvestire nella Sanità Pubblica».
Dove sia stato lo stesso Carradori in questi vent’anni lo racconta il suo invidiabile curriculum: dentro o al vertice dei centri decisionali regionali che assecondavano questo disinvestimento. Per favorire il privato. Con modalità diverse ma secondo lo stesso schema che in Lombardia e in Veneto. La principale differenza è che in Emilia-Romagna a destrutturare il sistema sanitario, che 20 anni fa era di eccellenza, ha provveduto il PD e il centrosinistra e non il centrodestra.
Nel luglio scorso era la volta di de Pascale fare campagna elettorale. Cosa prometteva pochi mesi fa?
«L’uscita dalla pandemia deve vedere una crescita significativa degli investimenti nell’ambito socio sanitario, ovviamente principalmente nella sanità pubblica, fronte sul quale siamo attualmente molto impegnati come Amministrazione, quanto nella sanità privata convenzionata, alla quale non possiamo che guardare con attenzione e in maniera costruttiva per integrare l’offerta di servizi nel nostro territorio».
Ancora risorse al privato sottratte al pubblico, perciò. Non cambiano le politiche, dunque, che hanno portato al crollo del nostro sistema sanitario. Restiamo in attesa degli ulteriori “pianti” sull’ineluttabilità della crisi da parte di chi l’ha provocata.
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Il punto sulla sanità e sulle liste d’attesa