Giovedì 12 agosto un automezzo ha perso parte del carico lungo la strada e due mezzi che si sono trovati a passare subito dopo hanno perso il controllo fermandosi in un fosso. Nessun ferito. Questa la notizia che abbiamo letto nei giorni scorsi. Il motivo dell’incidente è stato attribuito subito alla natura della merce trasportata: centinaia di litri di fanghi centrifugati. Per il resto la notizia si è concentrata sull’aspetto della violazione del codice della strada.
A noi, però, interessa anche un altro aspetto. L’autotreno, infatti, era diretto a Ravenna. Il carico qualificato come fanghi centrifugati consisteva, in questo caso, di rifiuti speciali derivanti dalla depurazione dei reflui di lavorazione di un’azienda vitivinicola di Faenza. Erano stati centrifugati per ridurre la frazione umida anche se, come dimostrato dall’incidente di giovedì scorso, il risultato finale era tutt’altro che solido. Soprattutto, però, i fanghi sono rifiuti e vanno smaltiti secondo legge. Va detto che una delle modalità di smaltimento consentite è quella dello spandimento sui campi come fertilizzanti a condizione però che i valori chimico-fisici rientrino nei limiti imposti dalla normativa. Altrimenti possono essere destinati ad impianti di compostaggio o a discariche autorizzate, inceneriti da soli o con altri rifiuti, o infine essere inseriti nella produzione di asfalti e calcestruzzi. Il problema principale quindi, riguarda proprio il corretto smaltimento finale di tali fanghi. Appare di per sé evidente perché lo spandimento sui campi sia il metodo preferito da chi li ha prodotti.
Numerosi convegni hanno celebrato in questi anni questa “economia circolare” dei rifiuti provenienti da acque reflue che si trasformerebbero in risorsa per l’agricoltura. In realtà, i campi non hanno tratto grandi benefici da un punto di vista della fertilità, mentre è cresciuto il livello di inquinamento dei suoli. Lo spandimento dei fanghi di depurazione è diventato una delle attività più redditizie, con forti pressioni sugli agricoltori per convincerli a mettere in atto questa pratica.
Una indagine della Procura di Brescia ha portato alla luce le dimensioni di un disastro ambientale che si è prodotto in vaste aree agricole a causa dell’impiego di fanghi tossici. Dalla mappa dei territori contaminati emerge che è il cuore produttivo dell’agricoltura italiana ad essere colpito. Tra il 2018 e il 2019 ben 150 mila tonnellate di fanghi tossici, sono stati sparsi su 3 mila ettari di terreni di 176 aziende agricole di Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna. In queste regioni si è affermata una agricoltura intensiva che ha messo al centro di tutto la produttività, obiettivo perseguito facendo ricorso a un grande impiego di fertilizzanti sintetici e pesticidi. Anche il massiccio utilizzo di fanghi di depurazione, per fertilizzare i terreni a costi contenuti, rientra in questa logica.
Secondo il Manifesto (“I «concimi» tossici che avvelenano i suoli”, 8 luglio 2021) «manca una tracciabilità dei fanghi, i controlli sono casuali, non si sa cosa contengono e quando e dove vengono sparsi». Nel caso dell’inchiesta bresciana i fanghi tossici sono di diversa provenienza. A Sant’Alberto, però, ci si ricorda bene dell’arrivo dei fanghi di distilleria provenienti da Perugia. Si era nell’agosto di nove anni fa. «Perché a Perugia no ma a Ravenna si?» fu la legittima domanda posta allora alle istituzioni. Il Sindaco dell’epoca fu costretto a fornire chiarimenti rispetto a quello che appariva come un improprio smaltimento di rifiuti. Come Ravenna in Comune crediamo sia indispensabile che analoghi chiarimenti siano forniti quanto prima da Michele de Pascale. Riteniamo indispensabile che la popolazione sia rassicurata circa il fatto che Ravenna non sia interessata da inquinamenti analoghi a quelli scovati dall’indagine partita da Brescia.
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Perdita di fango centrifugato: due mezzi nel fosso
Fonte: Ravenna24Ore del 13 agosto 2021
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“Fanghi non pericolosi ma non si possono spandere”
Fonte: RavennaToday del 24 agosto 2012