Il 12 giugno di dieci anni fa si andava a votare per l’acqua pubblica. Alla chiusura delle urne, il giorno dopo, per la validità del referendum aveva votato oltre la metà degli aventi diritto. Quindi il referendum (come tutti e 4 i referendum concentrati in quelle due giornate) era valido. Come dimostrarono altri referendum non si trattava di un risultato scontato. Quello dell’aprile 2016, ad esempio, sulle trivellazioni in mare, per quanto ampiamento vinto dai proponenti, non superò il quorum del 50% degli aventi diritto al voto. Sappiamo bene di come in Italia una trasversalità di interessi abbia concorso ad ostacolare l’esercizio delle forme di democrazia diretta. Per l’acqua pubblica non è andato così. Anzi, il voto fu doppiamente favorevole in quanto si espressero a favore non solo la maggioranza dei votanti ma addirittura degli aventi diritto al voto. A Ravenna, la partecipazione fu maggiore rispetto al resto del Paese (circa il 65% dei ravennati del Comune mise la scheda nell’urna) e per il 95% circa si dichiarò d’accordo con i proponenti.
Il Partito Democratico “nasando” la possibilità di dare una spallata al governo Berlusconi (che si era schierato contro, anche perché tra i referendum figurava quello contro il legittimo impedimento introdotto proprio a suo favore) saltò sul carro dei vincitori. Non era scontato a livello di contenuti, in quanto il referendum era stato indetto proprio al fine di demolire il sistema costruito, anche dal PD, attraverso l’eliminazione delle aziende municipalizzate, prima, e la devoluzione alle grandi società, poi, della gestione della distribuzione dell’acqua, bene pubblico per eccellenza. Fu l’apogeo della tutela di quei beni comuni teorizzati da Rodotà. E fu, anche, la vicenda che convinse molte e molti di noi, che avevano partecipato allo sforzo referendario, che la “gamba” della rappresentanza politica era indispensabile quanto la “gamba” dei movimenti per far andare avanti le cose. Questo perché il voto referendario da dieci anni non trova applicazione per l’opposizione ferma di partiti come il PD.
Ravenna in Comune non c’era ancora dieci anni fa. E proprio per rispondere alla necessità di una rappresentanza politica delle istanze dei movimenti è nata. L’acqua pubblica è parte integrante dell’appello che lanciammo: è pertanto nella nostra carta dei valori, la nostra Costituzione. https://www.ravennaincomune.it/wp/index.php/appello/
Il nostro programma elettorale già cinque anni fa prevedeva di “dare reale attuazione al referendum del 2011 avviando un percorso di ripubblicizzazione della gestione dell’acqua mediante la costituzione di una nuova società, interamente pubblica, per la gestione della distribuzione”. https://www.ravennaincomune.it/wp/index.php/mind-map-programma/
Nel 2021 alcune forze politiche, che pur hanno sottoscritto lo stesso appello, sostengono che il modo migliore di onorarlo sia allearsi con il PD che, invece, fa del sostegno alla multiutility Hera il proprio fine politico. Ravenna in Comune, invece, pensa che il modo migliore di onorare la volontà popolare sia di continuare a ricordare chi è che quella volontà continua a calpestare.
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