Quanto è profondo il razzismo a Ravenna?
C’è quello dei politici di destra che si nascondono dietro il “prima gli Italiani” e subito si arrogano di poter stabilire “scientificamente” chi è italiano e chi no. Il tutto in un Paese attraversato da singoli e intere popolazioni migranti per millenni. Un Paese che ha conosciuto la vergogna di leggi dello Stato che discriminavano secondo la “razza” (altro concetto ammantato di pseudo-scienza), primo di una serie di passi che ha condotto tante persone a salire su un treno piombato. Secondo questi figuri l’italianità sarebbe il distinguo che dovrebbe decidere tra chi sono i poveri da aiutare, le famiglie titolate a ricevere un sostegno, la casa per chi è escluso dal “mercato”, il diritto di aspirare ad una vita migliore, i diritti di qualunque tipo.
Poi c’è quello profondo a cui i politici, quei politici, strizzano l’occhio. C’è quello di chi dice “io non sono razzista ma” e quello di chi invece non si fa problemi a metterlo fuori esplicitamente. Ogni tanto, solo quando accade qualcosa di veramente eclatante, arriva sui giornali. C’è il “caso” dell’avvocato che si presenta in Tribunale con un fascicolo dove campeggia in evidenza il termine “negro” per identificare la controparte del suo cliente. E poi fa “notizia” l’esclusione da un locale notturno di ragazzi selezionati sulla base del colore della pelle. I ripetuti “episodi” di insulti a chi si espone in politica, che siano persone candidate o elette o anche solo semplici attiviste. In genere accade sui social. Quello che fa la differenza è il colore del volto sulla fotografia, con una particolare virulenza se si tratta di donne. E poi ci sono le “vicende” in cui a sollecitare l’insulto è l’appartenenza ad una comunità con una identità riconoscibile, si tratti degli ebrei o dei sinti o…
Sono tutti “incidenti” quelli che citiamo sopra che hanno interessato il ravennate nell’ultimo paio di anni. Ne manca qualcuno e non esauriscono certo il numero di quelli che capitano nella vita che non finisce sui quotidiani ma bastano per rendere l’idea. L’ultima “contingenza” riguarda un lavoratore che dopo essere stato insultato perché “non stava al suo posto”, ha avuto l’ardire di reagire ricevendo in cambio del “brutto negro” ed un licenziamento perché non ha chinato la testa. Licenziamento respinto dal giudice del lavoro e da questo è venuto fuori tutto l’accaduto.
Nel programma presentato da Ravenna in Comune per le elezioni comunali del 2016, tra le altre cose, si diceva: “Ravenna sarà una città capace di dare spazio alle speranze e ai diritti di tutte e tutti, capace di fare il massimo senza esitazioni riguardo a temi come: testamento biologico, matrimonio tra persone dello stesso sesso. Un luogo dove tutti gli abitanti indipendentemente dalla nazionalità, dal sesso, dalla religione e dall’orientamento politico siano considerati Cittadini Ravennati, con gli Stessi Diritti e le Stesse Responsabilità, con una amministrazione in grado di rispondere alle domande e ai bisogni dei suoi abitanti, tramite la capacità di coordinare le emergenze, di fornire servizi e risposte a tutte e a tutti. Una Ravenna che dovrà essere laica perché proprio con lo strumento della laicità si potranno armonizzare le tante diversità e realizzare una società rispettosa ed accogliente verso coloro che qui hanno deciso di vivere e lavorare. Un impegno comune che coinvolge la collettività perché tutti siamo costantemente ospiti e ospitanti”.
Sono passati 5 anni ma queste parole restano profondamente attuali. E questo è un problema. Da risolvere. E anche in fretta.
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Ravenna, licenziato dopo insulti razziali viene reintegrato