Il Convegno tenutosi (con modalità da remoto) nella giornata di sabato 20 marzo, sul tema “Dal CCS alla vera transizione energetica” non solo ha offerto molti spunti sui quali il mondo politico ravennate dovrà confrontarsi, ma ha anche rafforzato – auspichiamo – il nuovo ciclo di mobilitazione sociale, scientifica e culturale nato con i Fridays for Future e con la quale tutta la società dovrà volente o nolente fare i conti.
Sul contenuto dei vari interventi del Convegno, che confidiamo sia stato seguito da molte persone, invitiamo tutte e tutti all’ascolto delle registrazioni integrali reperibili su youtube e facebook, oppure cliccando qui:
- Dal CCS alla vera Transizione Energetica – 1° Parte (mattina)
- Dal CCS alla vera Transizione Energetica – 2° Parte (Pomeriggio)
Ci interessa qui soffermarci su alcune considerazioni, più generali ma a nostro avviso strettamente correlate al tema specifico del CCS. Quando si affronta il tema della transizione ecologica entrano in campo diverse visioni, fra le quali bisogna che ci sia un confronto serrato e chiarificatore, perché esiste il rischio di considerare “transizione” un periodo dai confini indeterminati, in cui – pur con qualche aggiustamento che singolarmente può anche risultare interessante – le cose restano sostanzialmente invariate. Chi scrive ha un’età sufficientemente avanzata per aver vissuto varie fasi della vita politica e dello scontro sociale, e ricordare con la massima nitidezza che nei primi anni ottanta, quando cominciava a prendere forza il primo movimento ambientalista politicamente organizzato, ad ogni proposta di cambiamento del modello di sviluppo, che indicasse le vie maggiormente ecosostenibili, si rispondeva che non si poteva “da un giorno all’altro” rivoluzionare il modo di produrre, di smaltire, di consumare, e che “nel frattempo” si dovevano trovare le modalità per avviare la transizione verso un orizzonte che – a chiacchiere – chiunque diceva di sostenere. Effettivamente, quaranta anni orsono, anche se esistevano già allora pregevolissimi studi e interessanti forme di sperimentazione che ancor oggi risultano totalmente valide (basti pensare agli appunti sul cambiamento climatico, sull’invasione dei rifiuti, sul consumo di suolo, sulle possibilità alternative redatti dai compianti Enzo, Boschi, Giorgio Nebbia, Antonio Cederna e Laura Conti, ma si potrebbero ricordare molte altre personalità), effettivamente – dicevamo – il panorama riguardante la tecnologia, le filiere di consumo e le modalità di produzione era acerbo e non in grado di far fronte a un rapido e massiccio cambiamento. Per cui il concetto di “transizione” venne sostanzialmente accettato anche dalle componenti radicali del mondo ambientalista e dai suoi referenti scientifici. E si convenne che “nel frattempo” si sarebbe passati per una fase intermedia che avrebbe poi portato all’utilizzo generalizzato delle fonti energetiche rinnovabili, alla drastica riduzione di rifiuti, l’espansione del trasporto pubblico, lo stop al consumo di suolo, e stili di vita solidali e non distruttivi.
Proprio a Ravenna, nel 1983, con la mobilitazione popolare, per la prima volta capeggiata dal movimento ambientalista, si bloccò il progetto di costruzione di una centrale a carbone che sarebbe stata lesiva per la salute e gli interessi della nostra area, e si decise (anche con una spaccatura nel mondo politico) che il metano doveva essere lo strumento di questo periodo di transizione , e il ventunesimo secolo avrebbe salutato l’avvento di un nuovo modo di produrre, e segnatamente produrre e utilizzare l’energia.
Ora, a distanza di quasi quarant’anni, nel corso del Convegno sopra nominato, il nostro Sindaco, accennando alla prospettiva del parco eolico-fotovoltaico avanzato dal gruppo Agnes e tendenzialmente sostenuto dall’ambientalismo, ha detto con forza che quella prospettiva non è la transizione, ma il punto di arrivo, il futuro che tutti auspichiamo, ma che “nel frattempo” bisogna porsi il problema del ridurre l’anidride carbonica che viene emessa e cercare di non mandarla in atmosfera. Di più, dice il Sindaco, dato che per alcune lavorazioni dell’industria pesante per quanto si voglia non si riuscirà neppure in futuro a fare a meno del gas, bisogna attrezzarsi perché il gas che si continuerà ad utilizzare produca e mandi in giro meno CO2 possibile. Come dire che se un domani si butterà ancora CO2 nell’atmosfera la colpa sarà di chi avrà osteggiato l’impianto di sequestro.
Allora, noi che avevamo, quando si contestò la centrale a carbone, circa l’età che ha oggi il Signor Sindaco, siamo costernati di dover attraversare la nostra vecchiaia subendo per l’ennesima volta la politica del “frattempo”, la politica dei due tempi. Ogni volta che si tratta di prendere il toro per le corna, c’è sempre un “prima bisogna che” destinato a rinviare sine die le decisioni che servono veramente. Il fatidico quinquennio 2030-2035 (in cui non solo si dovranno pur rispettare normative stringenti, ma soprattutto rischieranno di essere irreversibili le conseguenze dell’attuale modello per la salute, il benessere e la vita di tutte e tutti, comprese/i coloro che verranno) è terribilmente vicino, e temiamo fortemente che se si continua a ragionare con la politica del “frattempo”, ci troveremo ancora nel 2029 a dire che bisogna iniziare la transizione. La filosofia del “frattempo” rischia di diventare una vera e propria maledizione.
Le cose bisogna iniziare a farle, questa è la vera transizione. E che doveva già oggi essere in fase avanzata. Il vero “frattempo” vuol dire che le pratiche dei percorsi vanno facilitate a chi vuole costruire gli impianti di rinnovabili, non all’impianto di stoccaggio dell’anidride carbonica. Vuol dire assumere un piano di riforestazione che comporti la messa in terra nel nostro territorio di almeno centomila piante nei prossimi cinque anni, vuol dire fare basta rapidamente con il consumo di suolo, impegnarsi per coordinare una generalizzata ricopertura fotovoltaica dei tetti di capannoni e abitazioni, abbattere alla fonte la produzione di rifiuti. Vuol dire programmare una riduzione di almeno il cinque per cento l’anno degli allevamenti intensivi di tutta la Padania. Il vero “frattempo” vuol dire varare un piano per la riduzione della plastica che in dieci o quindici anni porti questo genere merceologico ai minimi termini. Cominciare da domani a riscrivere la politica del trasporto senza procedere a fare nuove superstrade, ma mettendo attorno al tavolo tutti che coloro che si devono coinvolgere nella realizzazione del trasporto su rotaia. E così via. Su tutte queste cose il nostro Paese è indietro (e Ravenna non brilla certamente), eternamente intrappolato nella logica di un “nel frattempo” che ha rallentato, ostacolato e talvolta fatto fare passi indietro alle decisioni importanti.
Avremmo compreso (messo in discussione lo stesso, ma compreso) il ragionamento opposto, e cioè: “se fra dieci anni, nonostante l’affermazione dell’energia da rinnovabili e nonostante la svolta ecologica complessiva, vedremo che le emissioni di CO2 saranno ancora troppe e che per alcune lavorazioni l’uso del gas sarà ancora indispensabile ed elevato, allora bisognerà porsi il problema di sequestrare le emissioni”. Ma quello del rinviare sempre a un domani la svolta è un ragionamento che riusciamo a capire solo se ammettiamo fuor di ipocrisie che a farla da padroni siano sempre alcune “grandi potenze” che mai e poi mai vogliono “mollare l’osso” dei propri interessi.
Oggi, rispetto a quaranta anni fa, abbiamo moltissimi strumenti in più – scientifici, tecnologici ed esperienziali – per prendere con decisione strade nuove. Quello che manca, per ora, è il livello di mobilitazione di allora. Dobbiamo cercare di ritrovarlo e ricostruirlo. E saremmo felici di vedere alla testa di questa mobilitazione proprio il Sindaco di Ravenna, con la sua fascia tricolore.
Pippo Tadolini , Campagna “Per il Clima – Fuori dal Fossile”
consigliere territoriale di Ravenna in Comune
[nell’immagine: la locandina del convegno]