Il 22 marzo è la giornata mondiale dell’acqua. Il 13 giugno, invece, si celebra la giornata italiana del furto dell’acqua pubblica.
Il primo è il World Water Day, che, dal 1993 in avanti, è stato scelto dalle Nazioni Unite come appuntamento internazionale per catalizzare l’attenzione pubblica sulle risorse idriche e, in particolare, la crisi idrica globale. Nel corso degli ultimi cento anni, infatti, i consumi idrici a livello globale sono cresciuti di sei volte. Secondo l’ONU la domanda continuerà ad aumentare ad un tasso pari a circa l’1% l’anno. E questo continuerà ad aggravare la carenza di fonti potabili e sicure per tutte e tutti gli abitanti della Terra. A livello mondiale 2,2 miliardi di esseri umani continuano a non avere accesso ad acqua pulita, gestita in modo sicuro; 4,2 miliardi vivono invece senza servizi igienici gestiti in sicurezza. L’obiettivo stabilito dalla Nazioni Unite è quello di riuscire a garantire l’accesso universale all’acqua pulita e ai servizi igienico-sanitari entro la fine del decennio. Ed invece, anche a causa dell’emergenza climatica, le attuali stime prevedono che entro il 2050 più della metà della popolazione mondiale sarà a rischio a causa dello stress idrico.
Non aiuta certo il processo di progressiva privatizzazione dell’acqua che ha visto lo scorso anno l’abbattimento di un altro argine: la quotazione in borsa dell’acqua. Infatti nell’ambito dello scambio di future e derivati, in California è stato lanciato il primo contratto collegato ai prezzi dei diritti sull’acqua.
In Italia abbiamo fatto un referendum dieci anni fa per riportare in mano pubblica la risorsa idrica. Il voto ampiamente positivo degli italiani, avvenuto il 12 e 13 giugno del 2021, è stato altrettanto ampiamente disatteso. Le cosiddette multiutility continuano imperterrite nel processo appropriativo del bene comune, solo nominalmente pubblico, in quanto la distribuzione a pagamento avviene attraverso la loro gestione in regime di monopolio. E questo con la complicità diffusa di forze politiche che, dieci anni fa, si avvolsero nella bandiera dell’acqua pubblica al solo scopo di intestarsi, abusivamente, la vittoria referendaria.
Come Ravenna in Comune ci siamo presentati alle elezioni del 2016 con un appello che così si proponeva:
“Noi amiamo Ravenna e per questo la vogliamo pubblica e al servizio del cittadino. Le privatizzazioni, camuffate o meno, distruggono il tessuto delle relazioni e il benessere economico di una città. La nostra prospettiva è quella di un’amministrazione intelligente che aiuti a incentivare l’iniziativa dei cittadini e che non si ponga come freno spesso assurdo alle attività e alla creatività. Una città bene di tutti, quindi, che rispetti ad esempio la volontà popolare sull’acqua pubblica”.
Continuiamo a credere e a batterci per l’acqua pubblica: imprescindibile criterio per valutare l’operato effettivo anche delle forze politiche che formalmente si dichiarano di sinistra.
[Fontana dei giardini pensili del Palazzo della Provincia a Ravenna, quello che de Pascale voleva trasformare in albergo: «È così che ho immaginato nel futuro lo splendido palazzo della Provincia, pensando a quando, chiuse le Province, l’edificio verrà svuotato dagli uffici. Mi piacerebbe che nella prossima legislatura questo fosse un progetto realizzabile anche in onore alla storia di una città. L’idea potrebbe essere quella di bandire un project financing e dare in gestione ad un operatore privato la struttura per gli anni necessari ad ammortizzare l’investimento, ripristinando così un grande hotel in città e donando al centro di Ravenna una realtà di grande valore». Da un’intervista del 15 febbraio 2016 ]
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