Torniamo sui numeri che esprimono la crisi economica che procede fianco a fianco a quella sanitaria. I dati più recenti relativi al ricorso alla cassa integrazione sono aggiornati ad una settimana fa, al 23 febbraio.
Li snocciola la Segretaria Generale della Camera del Lavoro di Ravenna: «In poco più di una settimana siamo saliti da 4.100 a 6.546 lavoratori, oltre 2mila in più». Si tratta di lavoratori con contratto a tempo indeterminato, vale a dire, in considerazione della enorme frammentazione delle tipologie di rapporto di lavoro, che si parla di chi, almeno in teoria, è maggiormente garantito rispetto ai rapporti più precari. Almeno 3.000 appartengono al settore dei servizi e del commercio e provengono da una miriade di piccole aziende; 1.700 sono metalmeccanici con un progressivo interessamento delle industrie maggiori, 830 del comparto ceramica-energia. Altri 110 lavoratori operano nei settori della cultura e dello sport. E poi tra le grandi aziende che ricorrono agli ammortizzatori ci sono anche mense e imprese di pulizie.
Dopodiché si passa al primo stadio della precarietà comunque contrattualizzata: ossia i lavoratori con contratto a termine. I posti persi la scorsa estate, ossia le mancate assunzioni effettuate nel ravennate, si stimano nella misura di 5.400 assunzioni in meno. Fuori da ogni stima sta chi è senza lavoro provenendo da attività a partita IVA o con profili di irregolarità, il “nero” che per quanto sfrutti chi lo subisce è anche fonte di reddito. Che con la pandemia si è perso.
Tutto questo deve tenersi in considerazione, specie da parte della locale Amministrazione Comunale, approssimandosi la scadenza del 31 marzo: in mancanza di una proroga nel blocco dei licenziamenti, al terremoto già in atto si aggiungerebbe l’ondata dello tsunami. Come detto tante altre volte: stia allerta la Giunta. Da parte nostra, come Ravenna in Comune, garantiamo collaborazione ma anche critica e ferma opposizione nel caso di sottovalutazione del momento storico.
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«Cig, in 7 giorni duemila lavoratori in più». Melandri (Cgil): «Siamo saliti da 4100 a 6546. Preoccupa il crescente numero di grandi aziende che ricorrono all’ammortizzatore»
«Servono uno shock di investimenti e una forte collaborazione sul piano provinciale con le Istituzioni per guidare la ripresa». Marinella Melandri, segretaria generale della Cgil ravennate, ha in mano i più recenti dati relativi alla cassa integrazione, risalgono al 23 febbraio. Ci sono alcune tendenze, rispetto a precedenti rilevazioni, che preoccupano particolarmente. «La prima è sicuramente la velocità con la quale aumenta il ricorso agli ammortizzatori sociali. In poco più di una settimana siamo saliti da 4100 a 6546 lavoratori, oltre 2mila in più. Altra preoccupazione deriva dal crescente numero di grandi aziende che fanno ricorso alla cassa integrazione». Nel mondo del lavoro a tempo indeterminato sono in ‘cassa’ 6546 lavoratori: almeno 3mila appartengono al settore dei servizi e del commercio e provengono da una miriade di piccole aziende; 1700 sono metalmeccanici con un progressivo interessamento delle industrie maggiori, 830 del comparto ceramica-energia. «Poi c’è un numero di lavoratori che quantitativamente può sembrare basso, ma che percentualmente, rispetto agli occupati, è molto elevato. Sono i 110 dipendenti che operano nella cultura e nello sport. Parliamo di persone che non percepiscono lo stipendio da mesi e mesi», aggiunge Melandri. Tra le grandi aziende che ricorrono agli ammortizzatori ci sono anche mense e imprese di pulizie. «Le aziende non hanno più la possibilità di programmare la produzione, fino a quando non avremo una percentuale elevata di persone vaccinate contro il virus, non potremo pensare di tornare alla normalità. E gli effetti si fanno sentire – dice ancora la segretaria della Cgil –. Aspettiamo di vedere se ci sarà la proroga dei licenziamenti, la cui scadenza è ora fissata al 31 marzo, e un ulteriore prolungamento della ‘cassa’, non vorrei che l’impennata della cig fosse il prologo della prossima interruzione dei rapporti di lavoro». A questi numeri vanno poi aggiunti i posti a tempo determinato persi la scorsa estate, qualcosa come 5400 assunzioni in meno. C’è un calo delle domande di Naspi (la vecchia ‘disoccupazione’), per importi comunque più bassi e per periodi inferiori. «C’è una maggiore precarietà anche nell’integrazione del reddito» aggiunge Melandri, che introduce un altro tema: l’aiuto alle imprese. «Faccio un esempio chiaro: l’elettromeccanica della Bassa Romagna. E’ un settore in rapida evoluzione, con un indotto molto importante. Ci sono trasformazioni in atto sui mercati che impongono alle nostre aziende di reagire o usciranno di scena. Anche perché i mutamenti erano in atto già prima della pandemia e ora tutto è accelerato. Serve una ‘regia’ per la ripresa». Il patto per il lavoro sottoscritto a livello regionale «già dà delle indicazioni, speriamo che il Recovery Fund produca veramente una scossa, ma la Romagna e Ravenna hanno bisogno di uno shock di investimenti con il contributo delle istituzioni locali per guidare la ripresa». Lorenzo Tazzari
Fonte: Il Resto del Carlino del 28 febbraio 2021