Molte, troppe, imprese si fanno beffe delle regole che le vincolerebbero ad un comportamento corretto per il bene della collettività. Lo vediamo da quanto accade sul territorio.
Nel mondo del lavoro, per cominciare. Si tratta di una situazione che, invece di calare in presenza del fenomeno pandemico, prende sempre più piede. Il problema è di estrema gravità, anche perché, alla debolezza dei lavoratori sul fronte del riconoscimento dei propri diritti, corrisponde un incremento dei rischi nello svolgimento in sicurezza del lavoro. In altri termini: aumenta il nero, il grigio, il caporalato ecc. e parallelamente incrementano gli “incidenti” sul lavoro. Al punto che, in alcuni casi, si assiste (e anche questo lo abbiamo denunciato) alla messa in scena di malori dove invece i lavoratori hanno subito le conseguenze della mancata adozione delle misure di sicurezza. E quando questo avviene con la complicità di altri lavoratori ci si rende conto di quanto grande sia diventato lo squilibrio di forze tra padrone e lavoratore.
Abbiamo riportato nei mesi scorsi le vicende delle pseudo cooperative e finte aziende, costituite all’inizio di ogni estate, la cui unica funzione è di stipulare appalti con alberghi e locali di ristorazione. Apparentemente figurano come datori di lavoro, mentre, in realtà, l’appalto consiste nell’assunzione per finta, perché direttive, tempi e metodi di lavoro sono sempre stabiliti dai titolari degli esercizi commerciali. Il più grosso dei bubboni scoppiati, però, riguarda un caso apparentemente diverso, quello di Mib Service: 6 milioni di euro la quantificazione del danno da parte della Procura con più di cento imprese coinvolte. Così riportava la stampa locale il 10 luglio scorso: “Mib, quei dipendenti fantasma. Frodati i lavoratori e lo Stato” di Andrea Colombari per Il Resto del Carlino; “Inchiesta sulla Mib a Ravenna, trema il settore del turismo” di Alessandro Cicognani per il Corriere di Romagna. In questo caso i lavoratori erano assunti direttamente dalla Mib Service, una piccola società nascosta tra gli edifici della Darsena, che ha “servito” decine e decine di ristoranti, pub, alberghi, stabilimenti balneari e discoteche del ravennate (ma si era anche estesa al resto della riviera). Secondo i giornali, che riportavano le dichiarazioni della Procura, la Mib sostanzialmente operava in prima battuta con una consulenza, per poi prendere in mano tutta la gestione dei dipendenti attraverso lo strumento dell’appalto di servizi. L’operazione sarebbe stata del tutto fittizia, dato che i lavoratori continuavano ad essere assunti, gestiti e poi licenziati direttamente dalle imprese clienti. Qual era dunque l’utilità di Mib per le imprese clienti? Risparmi di imposta, illeciti sgravi contributivi, oltre a detrazioni Iva e ritorno di utili extracontabili. Ecco perché i clienti erano tanti.
Aveva perciò stupito qualcuno l’accoglimento della richiesta della difesa di Mib di ridurre considerevolmente l’importo del sequestro sui conti correnti degli indagati: da 6 milioni a 500.000 euro. Non significava però uno sgonfiarsi del caso, anzi. È stata riconosciuta l’impossibilità di chiedere a Mib di pagare quanto evaso anche dai clienti. Ne è conseguita l’inizio di un’azione penale direttamente nei confronti delle imprese clienti, chiamate a rispondere in prima persona. Si susseguono pertanto in questi giorni le notizie dei sequestri che interessano direttamente le imprese: dal Papeete all’ex Ca’ del Liscio. Del resto tanti sono i nomi, alcuni molto noti, spuntati dalle pagine dell’inchiesta. E, come scrive Alessandro Cicognani su Il Corriere di Romagna del 4 novembre (“Inchiesta Mib, nuovo sequestro”): “in totale sono 122 le società che avevano chiuso contratti con la Mib e che, ora, riceveranno sicuramente la visita della guardia di finanza, in quando tutti indagati per reati di natura fiscale”.
Come Ravenna in Comune avevamo già stigmatizzato il comportamento di imprese che vantano a parole di essere l’eccellenza del turismo e commercio romagnoli. Ma avevamo anche criticato il disinteresse manifestato dalla Giunta Comunale nel criticare questi comportamenti. È anche dai segnali o dai mancati segnali dell’Amministrazione che discendono certi comportamenti.
E non ci sembra che questo tipo di violazioni condizioni più di tanto l’atteggiamento del Comune nei confronti delle imprese che li pongono in essere.
Finita l’emergenza credo che si debba aprire una seria riflessione su questi temi anche nelle sedi istituzionali del nostro Comune.
Come Ravenna in Comune non mancheremo di ricordarlo al Sindaco.
Massimo Manzoli
Capogruppo Ravenna in Comune
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Inchiesta sulla Mib, sequestro da mezzo milione al Papeete