Sabato 23 maggio in 19 città italiane abbiamo assistito alla prima mobilitazione dopo il confinamento, a dimostrazione che sarà difficile, e forse impossibile, silenziare la società tramite l’emergenza e la paura. Nella nostra provincia l’iniziativa nata da “Priorità alla scuola” si è svolta a Faenza. 150 o 200 partecipanti? Forse di più? Con il distanziamento non è semplice fare i conti, ma senza dubbio c’è stata una adesione importante vista la giornata estiva, la scarsa copertura mediatica e la paura degli assembramenti.
La sensazione entrando dalla piazza è forte: tornare in piazza, assieme a tante e tanti per rivendicare e agire collettivamente rappresenta già una vittoria in sé, perché l’isolamento, la separazione sociale è uno dei più pericolosi effetti collaterali che abbiamo davanti a noi. Non sempre è facile riconoscersi con le mascherine e la distanza rende tutto un po’ più freddo, ma fortunatamente ci sono le parole di Gramsci, sullo striscione dietro agli oratori, a confermare di essere nel posto giusto: «Istruitevi perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza».
Non è semplice seguire il flusso di parole, associazioni e soggetti che intervengono, anche per il vento che spesso si porta via le parole. Però il risultato complessivo è di una piazza che non chiede un semplice ritorno alla normalità, ma la consapevolezza diffusa che la normalità era il problema e che la didattica a distanza è una sua logica estensione. Lo sguardo parte inevitabilmente dalla scuola e dai suoi protagonisti, docenti, educatori e studenti, ma poi si allarga senza dimenticare le questioni ambientali e le manifestazioni di Fridays for the future. Questo sguardo largo è del resto lo scopo dell’educazione che dovrebbe spingere sempre ad adottare un metodo e un approccio critico alla realtà che ci circonda. Lo ricorda, meglio di qualsiasi intervento, la studentessa del liceo Torricelli che interviene alla fine e racconta come la didattica a distanza sia invece il trionfo di una scuola autoreferenziale, chiusa e priva di relazioni, dove il docente parla ad uno schermo e gli studenti muti cercano di arrangiarsi. Lei conclude ricordandoci come “chi crede nella didattica a distanza pensa che la scuola serva ad accumulare nozioni e ci distoglie dal vero valore che la scuola ci insegna: imparare per vivere”
Fin qui le impressioni e le sensazioni di una piazza e di una mobilitazione. Ma perché si ricomincia dalla scuola? Le giornate di oggi mostrano chiaramente come la priorità politica sia stata posta nel far ripartire il tessuto economico nel suo complesso, con un’enfasi schizofrenica sulle distrazioni, le vacanze e il divertimento. La scuola è stata dimenticata, come ricordato da un’intervista a Stefano Merler del 22 maggio su Il Manifesto. La politica sta discutendo da settimane se tenere un concorso in estate per assumere gli insegnanti che dovrebbero parzialmente sostituire l’enorme mole di precari e supplenti. Ora come un test a crocette possa avere la capacità di scegliere buoni insegnanti non è dato sapere e nemmeno come un concorso a luglio o agosto possa essere concluso rapidamente, soprattutto nelle condizioni attuali.
Le scuole richiedono personale e spazi per poter rispondere alle domande poste dalle piazze di ieri. L’immobilismo delle istituzioni è sospetto perché sembra considerare che classi sovraffollate, plessi congestionati e poco decentrati, e precarietà del corpo docente possano essere nuovamente non affrontate nella speranza che l’epidemia regredisca definitivamente.
Le necessità sono semplici: riduzione degli alunni per classe, limitazione degli scambi fisici e quindi indicazioni per favorire l’accorpamento delle cattedre e non lo spezzettamento (meno docenti per consiglio di classe=meno contatti), individuazione di spazi fisici nuovi, promozione di una scuola democratica e inclusiva che respinga i tentativi, e non sono pochi, di fare della didattica a distanza la forma normale dell’educazione.
Le istituzioni per ora appaiono molto lente nel recepire le questioni e senza dubbio è essenziale che il governo centrale si muova velocemente. Tuttavia, come Ravenna in Comune, credo che dovremmo chiedere alla provincia e al comune di agire autonomamente per individuare nuovi spazi e soluzioni per poter proporre un modello a livello nazionale. Il Sindaco de Pascale si era già mosso, purtroppo senza successo, sul versante della scuola dell’infanzia, ora credo che nostro compito sarebbe quello di spingere affinché il nostro territorio si assuma questo impegno e questa responsabilità.
Giorgio Stamboulis
#GiorgioStamboulis #RavennaInComune #Ravenna #Faenza #scuola
__________________________________________________________
FAENZA: Proteste di insegnanti, studenti e genitori “No alla didattica online”
Sorgente: Le proteste degli insegnanti
L’articolo è certamente giusto in alcune sue parti , ma nella stesura dell’articolo vi sono alcune dimenticanze che mi piacerebbe approfondire con il relatore, ovviamente se possibile
per eventuali contatti: manzolimassimo@gmail.com