Riprendiamo a ragionare della società post Covid-19 ripubblicando l’intervista realizzata da Fausto Piazza, per Ravenna&Dintorni, a Piera Nobili. Architetta dello Studio OTHE di Ravenna, Piera Nobili è presidente del CERPA Italia Onlus di Trento (Centro Europeo di Ricerca e Promozione dell’accessibilità) e co-responsabile del CRIBA-ER (Centro regionale d’Informazione sul Benessere Ambientale) che ha sede a Reggio Emilia. Sul piano istituzionale ha il ruolo di vicepresidente dell’Ordine degli Architetti PPC della provincia di Ravenna. Oltre alla professione, si è impegnata nello sviluppo e nella tutela della cultura di genere come socia fondatrice dell’associazione Femminile Maschile Plurale di Ravenna e dell’associazione Liberedonne che gestisce la Casa delle donne di Ravenna.
Poiché è un intervento lungo e denso di contenuti, abbiamo ritenuto opportuno pubblicarla integralmente ma suddivisa in due parti. Oggi la prima parte.
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Qual è dal punto di vista professionale il problema principale che ha dovuto affrontare in questo periodo di confinamento?
«La necessità di essere più organizzati sotto il profilo informatico e l’uso, non sempre agevole, degli strumenti di comunicazione. L’evoluzione delle reti web in Italia è avvenuta in modo parziale, frammentario e diversificato per quanto ai territori, creando discriminazioni nei confronti degli e delle abitanti, senza contare coloro che non possono permettersi l’acquisto di dispositivi. Il Paese soffre di un divario digitale sia sul piano infrastrutturale che su quello della formazione e conoscenza degli strumenti e programmi applicativi. Ciò è accaduto anche per la mancata capacità di gestione dei finanziamenti messi a disposizione dall’Europa per implementare e ammodernare il sistema e consentire a chiunque di potersi connettere facilmente. Inoltre, sarebbe importante semplificare i programmi e le interfacce per renderli accessibili non solo ai professionisti, e in prospettiva futura per lo sviluppo del lavoro agile, ma anche a tutti i cittadini, affinché la comunicazione informatica possa diventare un vero servizio di “prossimità”. La casa può essere un nodo di rete capace di supportare le attività del quotidiano tramite il telesoccorso, la telemedicina, la teleassistenza, il telemonitoraggio, già diffusi in molti paesi del Nord Europa. Servizi informatici fondamentali in particolare per sostenere le persone più fragili: anziani, persone con disabilità e familiari che ne hanno quotidianamente cura».
Allora è il momento giusto per ripensare alle nostre città, ai sistemi urbani, alla vita di comunità?
«Sperando che questa epidemia venga superata al meglio e prima possibile, ci dobbiamo aspettare che emergenze del genere si possano ripetere. Non mi riferisco solo a ulteriori e diverse pandemie, ma anche all’emergenza climatica che a sua volta produce ricadute negative sulla salute. Uso massiccio di energie rinnovabili, riforestazione, rigenerazione dell’esistente, interventi di resilienza, consumo zero del suolo sono solo alcune delle azioni che potrebbero contrastare ciò che oggi ci appare come un processo di degenerazione ambientale irreversibile. Ma non solo, dovremmo rivedere anche i nostri stili di vita trasformandoci da coartati consumatori in cittadine e cittadini consapevoli, adeguando i consumi individuali, usando sistemi di mobilità alternativi all’automobile, rispettando lo spazio pubblico che è bene comune. Siamo chiamati individualmente ad assumere responsabilità che riguardano la cura della propria e altrui esistenza, la cura del luogo ove si vive e quella del mondo».
In questo ambito rientra anche la sfera della mobilità, degli spostamenti necessari, personali e collettivi…
«La questione della mobilità è fondamentale. Oggi più che mai è necessario che sia sostenibile per l’ambiente e socialmente inclusiva. Da tempo circolano belle idee ma sul piano operativo si è fatto poco. Per fare un esempio locale, chi come me vive distante dal luogo di lavoro subisce le carenze del trasporto pubblico, dalle fermate agli orari, per cui è quasi impossibile non usare l’auto. Questa situazione è sostenuta anche dalla mancanza di piste ciclabili che rappresentano un’opportunità di benessere per la popolazione, di vita attiva, e al contempo di sviluppo locale se pensate anche in funzione del cosiddetto turismo lento. Il tema della mobilità pubblica s’intreccia inoltre col tema della qualità di fruizione delle città e dei territori da parte di chiunque. Liberare le strade dai mezzi di trasporto privato significa riappropriarsi dello spazio pubblico, rendendolo più vivibile e accessibile. Occorrono progettazioni integrate che sappiano considerare i diversi temi che contemporaneamente definiscono il buon funzionamento urbano e il benessere degli e delle abitanti. La mancata integrazione limita anche la progettualità di comunità. In questo momento la società è parte attiva e proponente nel guardare al futuro, tant’è che molti progetti di qualità nascono dal basso».