Entro la cornice delle riflessioni post Covid-19, presentiamo un’intervista effettuata per Tracce Migranti da Maurizio Masotti a Jean-René Bilongo. Maurizio Masotti (che di Tracce Migranti è curatore e fotografo) ha guidato il seminario realizzato il 27 novembre 2019 da Ravenna in Comune sul caporalato in Romagna. Il seminario aveva come suo punto di partenza il monitoraggio svolto dall’Osservatorio Placido Rizzotto della FLAI-CGIL (alla serata partecipavano relatori della FLAI-CGIL e dell’Osservatorio) e il periodico rapporto che, con cadenza biennale, aggiorna la situazione di Agromafie e, appunto, caporalato. Jean Jean-René Bilongo è coordinatore dell’Osservatorio. Jean-René Bilongo è un sindacalista, attivista e giornalista di origine camerunense, trapiantato in Italia da vent’anni, di cui oltre la metà nel difficile contesto di Castel Volturno, nel casertano. Proprio lì comincia il suo impegno socio-civile, nelle realtà sussidiarie locali e nella Flai-Cgil. Il suo ultimo libro è “Spezzare le catene. Un lavoro libero tra centri commerciali e caporalato”, edito lo scorso anno da Città Nuova.
***
J-R B: L’emergenza coronavirus impone che si adottino misure di salvaguardia del Paese, in tutte le sue accezioni. Non si può certo pensare che alcune fragilità sociali siano trascurate né neglette. Gli immigrati sono indispensabili in questa fase: sono prevalentemente loro che continuano a lavorare nei campi per garantire la sicurezza alimentare dei cittadini rintanati in casa. L’appello promosso dalla Flai-Cgil e l’associazione Terra!, in questo senso è la voce dei senza voce, quegli invisibili che sono esclusi da interventi e misure tutelari.
M M: In alcune realtà a Castel Volturno e S. Ferdinando la situazione può esplodere…
J-R B: Proprio per questo chiediamo tutele e interventi specifici per i migranti delle ampie e diffuse fragilità territoriali come Castel Volturno, oppure degli invisibili degli insediamenti rurali informali come San Ferdinando in Calabria, ghetti come Borgo Mezzanone o ancora quelli delle aree a trazione agro-pastorale come Metaponto, la Piana del Sele o l’Agropontino. Il numero di invisibili in tutte queste zone è compreso tra 160 e 180mila. A questi numeri vanno aggiunte le vittime del decreto sicurezza. Un pezzo di umanità che non si può abbandonare.
M M: Qual è la situazione dei migranti delle campagne e nei bacini a forte vocazione agro-pastorale?
J-R B: I migranti continuano a lavorare alla giornata come se non ci fosse il coronavirus, senza dispositivi di protezione, alla mercé dei caporali e sfruttatori che li stipano all’inverosimile nei mezzi. C’è bisogno di grande disponibilità di generi alimentari freschi, all’occorrenza frutta e verdura, per la sicurezza alimentare dei cittadini chiusi nelle proprie abitazioni. Parliamo di manodopera strategica in questa difficile fase che attraversa il Paese.
M M: Gli sfruttatori e caporali, come si pongono in questi tempi di emergenza?
J-R B: Più che mai sono presenti, ghignanti e sovrani. L’ombra dissuasiva degli Ispettori del lavoro è venuta meno con il coronavirus. Gli Ispettorati in questa fase si limitano all’espletamento telematico delle loro funzioni. La probabilità che si facciano verifiche e controlli in situ è pari a zero. I caporali e gli sfruttatori l’hanno capito molto bene.
M M: Ci sarebbero le condizioni per una regolarizzazione?
J-R B: Non solo ci sono tutte le condizioni, ma ora come mai bisogna pensare a unA regolarizzazione semplificata. Tanti immigrati sono senza permesso di soggiorno perché silurati dal Decreto Sicurezza. Molti richiedenti asilo respinti si ritrovano intrappolati, consegnati di fatto ai caporali e agli sfruttatori. La stessa regolarizzazione può paradossalmente fare leva sulle disposizioni del Decreto Sicurezza stesso: “in situazione di contingente ed eccezionale calamità”, va rilasciato il Permesso di Soggiorno. Nella sua volontà di ostracismo e di debilitazione senza via di fuga dei migranti, Salvini pensava probabilmente di aver incardinato un sotterfugio difficilmente accessibile. Eccoci al tempo del Covid-19, è la prima calamità glocal, contemporaneamente globale e locale. Non risparmia nessun continente, paese o comunità. La norma è esigibile. I correttivi per la convertibilità dei permessi di soggiorno per calamità potranno essere il passo successivo, dopo il cataclisma, per consentire ai beneficiari di continuare a vivere e lavorare dignitosamente. Peraltro anche in Francia e in Belgio, sulla scia dell’appello lanciato dalla Flai-Cgil per gli “invisibili”, si sta chiedendo al Governo di prendere in carico le situazioni di estrema fragilità dei “sans-papiers”.
#MauroMasotti # JeanRenéBilongo #RavennaInComune #Ravenna #postCovid19