Andrea Maestri, nato nel 1975, avvocato ravennate, con un nutrito curriculum nella tutela di minori, immigrati ed altre soggettività “deboli” è una figura nota negli ambienti della cultura e dell’associazionismo di sinistra a Ravenna. Antifascista, consigliere comunale a Ravenna dei DS prima e del PD poi, riveste il ruolo di capogruppo di quel partito prima di uscirne. È stato deputato nella scorsa legislatura. Autore de “L’uomo nero” di critica alle politiche di contrasto all’immigrazione messe in campo dal PD prima ancora che se le intestasse il governo successivo. Non potendo dire tutto quello che lo riguarda, ci piace ricordarne, tra le altre cose, le sue imprese nelle cucine delle feste estive di Ravenna in Comune. Di seguito un suo contributo all’attualissima necessità di riflessione che la situazione sempre più richiede.
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C’è consapevolezza, al Ministero dell’Interno, che il disagio sociale ed economico rischia di tracimare in conflitto, anche in forme radicali e violente, con pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico.
La Ministra Lamorgese arriva persino a chiedere ai Prefetti, uffici territoriali del Governo, articolazione su base provinciale del Ministero dell’Interno, di svolgere “un’opera di sensibilizzazione rivolta agli enti territoriali competenti ad adottare ulteriori misure di sostegno a situazioni di disagio sociale ed economico e di assistenza alla popolazione anche attraverso l’attivazione di sportelli di ascolto e la promozione di iniziative di solidarietà a vantaggio delle fasce di cittadini con maggiori difficoltà. In tale ambito, una particolare premura dovrà essere prestata, tra gli altri, al tema del disagio abitativo che nell’attuale scenario è destinato a subire un incremento significativo, a maggior ragione in quei contesti territoriali nei quali più alto è il rischio di tensioni”.
A me sembra allarmante che i Prefetti debbano essere coloro che sollecitano i Sindaci a prendersi cura delle fasce più deboli.
La pandemia, le restrizioni, la legislazione dell’emergenza, la perdita del pane quotidiano da parte di un numero enorme di cittadini hanno certamente acuito le condizioni di difficoltà estrema in cui già viveva una parte significativa della popolazione.
Tuttavia, la povertà e l’esclusione non sono solo effetti collaterali del coronavirus ma malattie endemiche del modello economico dominante, in cui troneggiano diseguaglianze esasperate, ingiustizia sociale, sfruttamento lavorativo, prevaricazione del capitale finanziario sulla dignità e libertà dei lavoratori, precarizzazione contrattuale, stupro della natura, dell’ambiente e del territorio per assecondare uno sviluppo vorace, che arricchisce pochi e danneggia moltissimi.
E allora mi preoccupa molto che dal Ministero dell’Interno si chieda di “contenere le manifestazioni di disagio che possono verosimilmente avere risvolti anche sotto il profilo dell’ordine e sicurezza pubblica”.
Le manifestazioni di disagio devono essere disvelate, comprese e affrontate con politiche radicali, coraggiose e innovative, non con la militarizzazione dello spazio pubblico dove si svolge il conflitto sociale regolato dai principi cardine della Costituzione.
L’attuale legislazione dell’emergenza ha giustamente limitato temporaneamente la libertà di circolazione delle persone perché in ballo c’è la salute, bene primario, individuale e collettivo che la stessa Costituzione (art. 16) indica quale legittima ragione di limitazione.
Ma l’ordine pubblico non può essere il masso che schiaccia col suo peso le libertà costituzionali.
In ambito giudiziario, per esempio, potrebbe accadere che dopo avere testato per qualche mese le “udienze cartolari” (un ossimoro!) dove al confronto delle parti in contraddittorio davanti al giudice terzo, si sostituisce lo scambio a distanza di note scritte, il modello dell’emergenza diventi sperimentato modello ordinario del processo.
In ambito sociale, parimenti, potremmo assistere a limitazioni del diritto di sciopero, del diritto di riunione, della libertà di manifestazione del pensiero dissenziente, “giustificate” dall’emergenza e dalla tutela dell’ordine pubblico.
Ebbene, la Costituzione non contempla ipotesi di sospensione dell’ordine democratico o dello stato di diritto e, anche laddove il Governo, in casi straordinari di necessità e urgenza, adotti decreti-legge, questi devono comunque essere sottoposti al Parlamento per la conversione in legge, per stabilizzare i loro limitati effetti.
E allora, i Prefetti facciano i Prefetti, i Sindaci facciano i Sindaci, esercitando le loro specifiche e distinte prerogative senza interferenze improprie.
Il compito di ” intercettare ogni segnale di possibile disgregazione del tessuto sociale ed economico, con particolare riguardo alle esigenze delle categorie più deboli” spetta ai Comuni, non alle Prefetture.
Non sia mai che con la scusa dell’ordine pubblico si tornasse surrettiziamente ad una impropria ed illegittima gerarchizzazione e ad un contenimento militare del conflitto sociale.
Restiamo a casa, ma restiamo vigili.
Andrea Maestri