Scrivevamo nei giorni scorsi della necessità ed urgenza di iniziare già ora, durante la crisi sanitaria, a ragionare sul dopo, partendo dagli errori commessi prima e durante e da non ripetere, appunto, quando inizierà il dopo. In modo che il postCovid-19 non risulti in continuità con la globalizzazione del capitalismo finanziario spremitutto che ha aiutato a trasformare uno dei tanti virus in una pandemia epocale. Se si lascia fare, infatti, tutto congiura a che nulla cambi (a dispetto del ritornello: nulla sarà più come prima), salvo per le file, il divieto di abbracciarsi e le mascherine, naturalmente (che invece non vorremmo proprio conservare).
Il primo contributo al ragionamento che pubblichiamo ci sta particolarmente a cuore, in quanto sviluppato da Raffaella Sutter. Raffaella Sutter, 65 anni, è sociologa, è stata dirigente del Comune di Ravenna dove ha lavorato per 30 anni occupandosi prima di servizi sociali, poi di politiche giovanili, pari opportunità, immigrazione, cooperazione decentrata, progetti di cittadinanza attiva. Svolge tuttora un’attività di consulenza e ricerca per organismi che si occupano in particolare di cooperazione internazionale. E poi, nel 2016, ha partecipato alle elezioni comunali, candidata a Sindaca per Ravenna in Comune. Eletta in Consiglio Comunale, ha rappresentato la lista come capogruppo ed ha ricoperto il ruolo di vicepresidente del Consiglio sino al giugno 2017. L’intervento è stato pubblicato ieri sull’edizione settimanale di Ravenna&Dintorni con il titolo: «Il rischio è il diffondersi della già preesistente cultura dell’obbedienza volontaria per paura».
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«Spesso si sente dire che “niente sarà più come prima” finita la pandemia, che la crisi è un momento di catarsi che cambierà i valori, comportamenti e le relazioni tra le persone; ma probabilmente non li cambierà in meglio. Neanche usare la metafora della guerra ci aiuta a capire gli scenari futuri, perché non siamo in guerra, anzi il linguaggio bellico del Covid-19 come nemico ci impedisce di comprendere cosa sta succedendo: un’emergenza sanitaria si trasforma in emergenza sociale ed economica non perché c’è un nemico ma perché siamo in un sistema fragile che non è in grado di farsi carico delle sue componenti più deboli da punto di vista della salute, dell’età, della malattia psichica, della fragilità sociale, della precarietà economica. La pandemia ci mostra tutte le criticità del nostro sistema sociale e politico e gli strumenti con cui la affrontiamo sono in perfetta continuità con esse. E lo scenario futuro che si configura è un aggravarsi della crisi che già era in atto.
La pandemia evidenzia ancora di più le disuguaglianze economiche, la precarizzazione del mercato del lavoro, l’esistenza di sacche di povertà soprattutto al sud; le misure emergenziali decise dal Governo cercano di tamponare gli esiti più tragici per chi si ritrova senza alcun reddito, ma anche fossero efficaci, non modificano strutturalmente la situazione preCovid-19, che ritroveremo aggravata nel post. Anche la didattica a distanza, con la chiusura delle scuole, amplia le disuguaglianze già esistenti e non include tutti e tante altre sono le misure di emergenza che, per tutelare la salute di tutti, hanno aggravato le condizioni di salute psichica di tanti; i lutti, la violenza domestica, il carico di cura di famiglie con disabili, il disagio psichico, l’isolamento che tanti si trovano ad affrontare, lasciano un segno e prefigurano ulteriori situazioni di disagio psichico e sociale nel postCovid19. Il sistema sanitario smantellato, frammentato, privatizzato, con poco personale e posti letto, non ha retto l’urto e si è rivelato fragile in due nodi cruciali, la prevenzione e le terapie intensive, ma difficilmente in futuro ci saranno le risorse per ripristinare un sistema sanitario pubblico ed equamente distribuito, né per sostenere l’occupazione dei tanti giovani medici e infermieri precari oggi catapultati nell’emergenza. È prevalsa poi una logica della sicurezza di tipo poliziesco e limitativo delle libertà personali, che ha allentato i legami sociali, annullato i riti collettivi, indotto a denunciare come untore chi esce di casa, a sanzionare i senza tetto. Il clima d’odio c’era già (prima verso i migranti) ed è stato acuito dalla pandemia, ma, in una situazione di precarietà, paura, diffidenza, colpevolizzazione dei cittadini, rischia di consolidarsi e prevalere la logica del controllo sociale rispetto alle iniziative solidaristiche pur esistenti.
La limitazione delle libertà personali ed il controllo poliziesco dei comportamenti, la sorveglianza coi droni o il prospettato tracciamento digitale della mobilità, insieme all’adozione di procedure normative d’emergenza (DPCM) e alla riduzione del ruolo del Parlamento, aprono anche per il futuro uno scenario inquietante per la democrazia; dice il garante della privacy Soro che proporzionalità e ragionevolezza degli interventi oltre alla loro temporaneità sono la chiave per tornare alla normalità e per evitare il rischio di “scambiare per efficienza la rinuncia ad ogni libertà e la delega cieca all’algoritmo”. Ma il rischio per il futuro è il diffondersi della già preesistente cultura della obbedienza volontaria per paura e insicurezza; come dice il filosofo M. Benasayag, l’epidemia è il sogno del tiranno».
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