NEGRO!

Non vorremmo proprio che diventasse una rubrica la prima cosa brutta di oggi, anzi di ieri. L’ha postata sulla propria pagina facebook un magistrato italiano, ravennate, della Corte di Cassazione, la cosiddetta Suprema Corte, Roberto Riverso. Riportiamo testualmente:
«L’avvocato, di Forlì, si presenta oggi in udienza davanti al gup ed al pm del Tribunale di Ravenna ed esibisce un fascicolo sul quale identifica la propria controparte (l’imputato di colore, nei cui confronti si costituisce parte civile ) non con le sue generalità ma chiamandola NEGRO…E qui devo sospirare profondamente. Perché le parole vengono meno….
Non è la commissione di un crimine o di un illecito disciplinare che vengono in mente; ma la confessione dell’estraneità di questo soggetto alla civiltà del diritto. Una barbarie. Che denuncia una regressione ad uno stadio pregiuridico. Commessa da uno che si definisce avvocato. Una cosa inimmaginabile. Fino a oggi».
Quello che segue, invece, lo riprendiamo da un articolo di Ravenna & Dintorni News:
«Raggiunto al telefono, Riverso ha ribadito a voce tutta la sua amarezza: «L’imputato è per definizione la parte debole in una condizione di minorità e in questo modo gli viene negata addirittura l’identità del nome da parte di un avvocato che dovrebbe essere il primo tutore della legalità».
Riverso, che ha postato la foto coprendo i nomi leggibili, sottolinea poi un dettaglio più tecnico: «Nella intestazione frontale il nome dell’imputato è riportato per esteso. “Negro” compare solo sul dorso e questa per me è un’aggravante perché l’avvocato ha scelto di scriverlo così pur avendo scritto il nome giusto poco distante. Ora che la vicenda è di dominio pubblico, mi auguro che qualcuno prenda provvedimenti: ci sono tutte le condizioni per un procedimento disciplinare ma non è nemmeno da escludere che ci siano gli estremi per una diffamazione aggravata dalla motivazione razziale». Il legale protagonista dei fatti è un 40enne del foro di Forlì, già noto alle cronache per vicende a sfondo razziale.
Il post del magistrato ha scatenato i commenti sul social. Diversi hanno chiesto – anche sperato per ridurre la portata del fatto – che Negro fosse da intendere con lettera maiuscola in quanto cognome e invece non è così. Qualcuno si è anche avventurato in una difesa d’ufficio della scelta linguistica».
E proprio perché non solo indignazione ma anche commenti razzisti, così come ci sono quelli fascisti (che è l’altra faccia della stessa medaglia), ha smosso il post del giudice, ci tocca sottolineare che, no, “negro” non è una legittima sfumatura linguista. Ma un epiteto che sottende una discriminazione. Che la Costituzione impone all’articolo 3 la pari dignità di fronte alla legge senza riguardo alla pigmentazione della carnagione. Che rivendichiamo anche noi con forza il diritto che vicende come questa siano definitivamente sospinte tra “le cose inimmaginabili”. Ma che, nel frattempo, non ci gireremo dall’altra parte. Contro il razzismo (e il fascismo), sempre!
Grazie, Roberto.
 
#MassimoManzoli #RavennaInComune #Ravenna #razzismo
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L’imputato è di colore e l’avvocato di parte civile scrive “negro” sul fascicolo

 

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