Non sarebbe una notizia la morte di un uomo a Lugo, in provincia di Ravenna, se non fosse che quell’uomo era su un tetto a 9 metri da terra per dei lavori di manutenzione. Questa morte di lavoro è la prima in quest’anno in provincia di Ravenna.
Non ci sembra molto importante, dal nostro punto di vista, approfondire la dinamica dell’accaduto e spaccare il capello in quattro sul ruolo rivestito da chi è rimasto ucciso nella azienda che curava l’intervento manutentivo, diversa dall’azienda titolare del capannone. Ci sembra utile, invece, rimarcare la correttezza, anche in questo caso, della legge di Murphy: se qualcosa può andar male prima o poi si verificherà (o qualcosa del genere). E non la citiamo per “alleggerire” il tema che, per noi (auspicabilmente per tutti, istituzioni comprese), è atroce e intollerabile. Quanto per il fatto che l’illusione di arrivare a fine anno senza decessi di lavoro nel ravennate era una speranza affidata al caso e non ad intrinseca differenza nella conduzione delle ispezioni su lavoro o nell’applicazione delle norme di sicurezza o nell’andamento delle dinamiche lavorative.
“Dall’inizio dell’anno in Emilia Romagna nel settore delle costruzioni sono avvenuti 280 infortuni sul lavoro denunciati all’Inail e rispetto all’anno precedente aumentano gli infortuni che coinvolgono lavoratori edili con più di cinquant’anni”, come hanno fatto presente Davide Conti e Renzo Crociati, segretari generali di FILLEA (Federazione Italiana dei Lavoratori del Legno, dell’Edilizia, delle industrie Affini ed estrattive) CGIL, rispettivamente, di Ravenna e Rimini. Sono complessivamente una trentina le vittime di lavoro nel 2019 in Emilia-Romagna secondo i dati forniti dall’Osservatorio indipendente di Bologna e riguardano le morti su luogo di lavoro, escluse quindi quelle in itinere.
C’è chi, anche in questa occasione, ha posto l’attenzione sulla necessità di una “crescita” della cultura della sicurezza. Come se fosse tutto (solo) un problema di carenza culturale. La formazione è essenziale, ovviamente. Come l’applicazione della normativa esistente. Assolutamente. Senza ombra di dubbio. Ma con altrettante certezze si può sostenere che, senza alterare lo squilibrio nel rapporto tra chi chiede il lavoro e chi lo presta, tra committente e appaltatore, ovvero tra chi paga il lavoro e chi è pagato per il proprio lavoro, contrattualizzato come lavoratore dipendente o meno, non c’è speranza di ridurre l’entità dell’eccidio. Senza alleggerire il coacervo di pressioni che fanno mettere in secondo piano al fornitore di lavoro le misure di sicurezza e fanno mettere in secondo piano al padrone del lavoro le indispensabili procedure perché il lavoro sia svolto in sicurezza, non si avrà mai garanzia di applicazione effettiva della normativa vigente. Se “l’infortunio” (da cui consegua o meno la morte del lavoratore) non cesserà di essere una voce di minor interesse nelle preoccupazioni imprenditoriali rispetto ad altri elementi, quali la celerità di lavorazione, la riduzione dei costi, la produttività, ecc., non basterà un aumento (per quanto da rivendicare) delle ispezioni a produrre una sensibile variazione di approccio al problema.
Servirebbe non nascondersi dietro il termine di morti “bianche” e iniziare a sanzionare specificamente come reato di omicidio, dopo quello stradale, anche quello compiuto su luogo di lavoro? Secondo Conti e Crociati sì: “Non basta più l’indignazione, dobbiamo passare a fatti concreti. Dobbiamo iniziare a parlare della proposta di legge sull’omicidio sul lavoro, proposta che è stata presentata ma che è rimasta ancora al punto di partenza. Non vogliamo aspettare il prossimo infortunio, per questo motivo nei prossimi giorni chiederemo la convocazione di un tavolo con tutti i soggetti istituzionali e non coinvolti sul tema sicurezza sul lavoro”.
Come Ravenna in Comune siamo d’accordo sulla introduzione dello specifico reato nel codice penale, così come concordiamo con le parole pronunciate, ancora all’inizio dell’anno dal Presidente della Repubblica: “L’apertura ai mercati non significa allentamento di norme di tutela della dignità e della integrità delle persone. Quelle sul lavoro sono morti inaccettabili. Dobbiamo ribadire che la sicurezza sul lavoro è un diritto fondamentale di cittadinanza”. Tuttavia siamo parimenti consapevoli che senza un’azione effettiva sulle cause che producono morti e feriti (e anche eventi di potenziale danno rimasti, solo per fortuna, senza conseguenze, come fino a ieri a Ravenna), le uccisioni e i ferimenti continueranno ad avvenire. E se il sindacato ha sicuramente il compito di “far pesare” l’elemento della sicurezza dei lavoratori nei rapporti con la controparte padronale, anche la politica ha una parte fondamentale per ottenere il cambiamento. Quella nazionale, certamente, con azioni opportune sul piano normativo, con interventi di finanziamento e con interventi sul piano di efficacia dell’azione punitiva, ad esempio. Ma anche la politica locale ha un ruolo importante. Non da ultimo sotto l’aspetto del “far pesare”, anch’essa, l’elemento della sicurezza al momento dell’intrattenimento delle relazioni con imprese che subordinano nei fatti la sicurezza ad altri valori, letteralmente, da un punto di vista economico. Non limitandosi, dunque, al plauso per la promessa di investimenti sul territorio e di sponsorizzazioni sportive. Non facendosi “comprare” in buona sostanza.
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Sorgente: Lugo: morte sul lavoro