Domani tutti i porti italiani resteranno chiusi. Nessuno caricherà o scaricherà. Navi bloccate. Tutto fermo. Il sindacato unito ha proclamato lo sciopero generale per tutta la giornata di giovedì. Era un anno che non accadeva. Accade purtroppo spesso che uno sciopero fermi per qualche ora un singolo scalo. Accade quando muore qualcuno che pensava di essere andato a lavorare e invece è ucciso per un rischio non gestito correttamente. Accade raramente che sia indetto uno sciopero generale. Perché in un Paese circondato quasi completamente dal mare, povero di materie prime e votato all’esportazione per sopravvivere (il commercio interno ristagna da tempo), bloccare i porti significa bloccare pressoché tutta l’economia.
Si è trattato di un passaggio fortemente voluto in un momento in cui tutte le trattative per il rinnovo del contratto unico dei porti sono state interrotte. La ragione superficiale, dunque, è di natura conflittuale. E già questa è una novità, visto che da tempo CGIL-CISL-UIL usano ogni mezzo possibile per evitare il conflitto. Che, invece, è dinamica sana nel rapporto tra chi il lavoro lo presta e chi lo paga: tutte le conquiste e i diritti sono stati ottenuti attraverso il conflitto e si sono persi quando al conflitto si è preferita la concertazione prima e la sottomissione poi.
La ragione più profonda è originata dalla volontà di stravolgere il mondo del lavoro nei porti, portata avanti da tempo dai “padroni del vapore” con determinazione e che, al momento, appare sul punto di risultare vincente. È l’automazione delle operazioni portuali con il capovolgimento dell’ordinario movimento che vede, sino ad oggi in via normale, il terminal agire sulla nave e che vuole porre, invece, la nave al centro del processo: la nave che si carica e scarica da sola, ossia utilizzando il lavoro di marittimi a bordo e in “unità” dislocate nel terminal, invece che essere caricata e scaricata dal terminal con il lavoro dei portuali. Sindacalizzati e strutturati i portuali; deboli e sindacalmente frammentati i marittimi. Questo e nient’altro si intende parlando di autoproduzione. Meno sicurezza, meno garanzie, più sottomissione.
Lo stravolgimento del mondo del lavoro nei porti si appoggia poi ad un progetto, presentato come inevitabile, di privatizzazione dei porti, dalle banchine ai terminal (dove già non lo sono, come a Ravenna), allo stesso organismo pubblico di controllo e regolazione, quell’ente pubblico chiamato AdSP che dovrebbe trasformarsi in società per azioni.
Lo stesso progetto vede l’indebolimento del lavoro portuale, specifico e alto professionalmente, padrone di sé, sostituito dal lavoro marittimo intercambiabile. E poi toccherà alle altre attività, dal pilotaggio al rimorchio, all’ormeggio, anche loro da sostituire con l’autoproduzione: la nave (cioè i marittimi) che fa tutto da sola in ogni porto, senza riguardo ai rischi insiti nelle specificità di ciascun porto. In un universo portuale in cui scioperare diventi qualcosa di inimmaginabile. Già oggi, con la pratica di abbassare il conflitto ad ogni costo, si è consentito che altre porzioni del lavoro fossero svolte dal facchinaggio delle cooperative spurie o meno, comunque portatrici di lavoro debole. Non a caso sono questi facchini i primi a cadere vittime di “incidenti” nei piazzali, sotto i grandi mezzi di movimento… Facchini e marittimi…
A Genova il sindacato, i camalli e la società civile hanno chiuso il porto alla possibilità di caricare una nave militare con materiale destinato all’impiego in guerra. Questa operazione, spesso svolta come una normale attività portuale (a Ravenna si è svolta in tante occasioni senza alcuna protesta) è stata fermata da uno sciopero. La nave è ripartita senza il suo carico. È stata costretta a lasciare l’Italia.
Uno sciopero può significare davvero tanto. Perché da uno sciopero si può partire per arrestare e invertire il processo. Perché i finanziamenti pubblici non siano arraffati dai privati, interessati alla sola spartizione dei soldi e non, ovviamente, a creare le condizioni per uno sviluppo, temuto perché potenzialmente in grado di alterare gli equilibri tra “padroni”, che incrementi e qualifichi i traffici. Perché si faccia finalmente manutenzione nel porto. Per tutto questo Ravenna in Comune è solidale con i lavoratori dei porti italiani e con quelli di Ravenna in particolare.
[nelle foto: il corteo dei portuali a Ravenna nello sciopero generale del 2015; lo sciopero “contro” la Bahri Yanbu a Genova nei giorni scorsi]
#MassimoManzoli #RavennaInComune #ravenna #porto
Si è trattato di un passaggio fortemente voluto in un momento in cui tutte le trattative per il rinnovo del contratto unico dei porti sono state interrotte. La ragione superficiale, dunque, è di natura conflittuale. E già questa è una novità, visto che da tempo CGIL-CISL-UIL usano ogni mezzo possibile per evitare il conflitto. Che, invece, è dinamica sana nel rapporto tra chi il lavoro lo presta e chi lo paga: tutte le conquiste e i diritti sono stati ottenuti attraverso il conflitto e si sono persi quando al conflitto si è preferita la concertazione prima e la sottomissione poi.
La ragione più profonda è originata dalla volontà di stravolgere il mondo del lavoro nei porti, portata avanti da tempo dai “padroni del vapore” con determinazione e che, al momento, appare sul punto di risultare vincente. È l’automazione delle operazioni portuali con il capovolgimento dell’ordinario movimento che vede, sino ad oggi in via normale, il terminal agire sulla nave e che vuole porre, invece, la nave al centro del processo: la nave che si carica e scarica da sola, ossia utilizzando il lavoro di marittimi a bordo e in “unità” dislocate nel terminal, invece che essere caricata e scaricata dal terminal con il lavoro dei portuali. Sindacalizzati e strutturati i portuali; deboli e sindacalmente frammentati i marittimi. Questo e nient’altro si intende parlando di autoproduzione. Meno sicurezza, meno garanzie, più sottomissione.
Lo stravolgimento del mondo del lavoro nei porti si appoggia poi ad un progetto, presentato come inevitabile, di privatizzazione dei porti, dalle banchine ai terminal (dove già non lo sono, come a Ravenna), allo stesso organismo pubblico di controllo e regolazione, quell’ente pubblico chiamato AdSP che dovrebbe trasformarsi in società per azioni.
Lo stesso progetto vede l’indebolimento del lavoro portuale, specifico e alto professionalmente, padrone di sé, sostituito dal lavoro marittimo intercambiabile. E poi toccherà alle altre attività, dal pilotaggio al rimorchio, all’ormeggio, anche loro da sostituire con l’autoproduzione: la nave (cioè i marittimi) che fa tutto da sola in ogni porto, senza riguardo ai rischi insiti nelle specificità di ciascun porto. In un universo portuale in cui scioperare diventi qualcosa di inimmaginabile. Già oggi, con la pratica di abbassare il conflitto ad ogni costo, si è consentito che altre porzioni del lavoro fossero svolte dal facchinaggio delle cooperative spurie o meno, comunque portatrici di lavoro debole. Non a caso sono questi facchini i primi a cadere vittime di “incidenti” nei piazzali, sotto i grandi mezzi di movimento… Facchini e marittimi…
A Genova il sindacato, i camalli e la società civile hanno chiuso il porto alla possibilità di caricare una nave militare con materiale destinato all’impiego in guerra. Questa operazione, spesso svolta come una normale attività portuale (a Ravenna si è svolta in tante occasioni senza alcuna protesta) è stata fermata da uno sciopero. La nave è ripartita senza il suo carico. È stata costretta a lasciare l’Italia.
Uno sciopero può significare davvero tanto. Perché da uno sciopero si può partire per arrestare e invertire il processo. Perché i finanziamenti pubblici non siano arraffati dai privati, interessati alla sola spartizione dei soldi e non, ovviamente, a creare le condizioni per uno sviluppo, temuto perché potenzialmente in grado di alterare gli equilibri tra “padroni”, che incrementi e qualifichi i traffici. Perché si faccia finalmente manutenzione nel porto. Per tutto questo Ravenna in Comune è solidale con i lavoratori dei porti italiani e con quelli di Ravenna in particolare.
[nelle foto: il corteo dei portuali a Ravenna nello sciopero generale del 2015; lo sciopero “contro” la Bahri Yanbu a Genova nei giorni scorsi]
#MassimoManzoli #RavennaInComune #ravenna #porto